Da circa un mese siamo ufficialmente entrati nella nuova generazione di console. Tra macchine che si sfidano a colpi di frame rate, tempi di caricamento e risoluzione, noi di Cyberludus – nel pieno della della digestione post-Natalizia – ci siamo riuniti per fare una sorta di “punto della situazione”, andando così a parlare di quelli che, per noi, sono stati i titoli più significativi di questa generazione di videogame ormai passata. Un vero e proprio viaggio, tra i nostri migliori ricordi videoludici che, in questi ultimi sette anni, hanno rappresentato per noi il vero e proprio culmine, qualitativamente parlando, generazionale.
Ma senza perderci in ulteriori chiacchiere, diamo il via alla nostra lista!
Mattia Giangrandi (Half Life Alyx)
Half Life Alyx, per me, non solo rappresenta il culmine generazionale di questa “era videoludica”, ma anche uno tra i picchi più alti mai raggiunti dai videogame in VR. Valve, rischiando il tutto per tutto, ha riportato su PC uno tra i brand più apprezzati dai videogiocatori, impazienti da anni di mettere mano ad un nuovo capitolo di Half Life, e lo ha fatto rendendo il nuovo capitolo esclusivo per visori di realtà virtuale che, come ben sappiamo, su PC rimane un mercato abbastanza di nicchia. Con Alyx, i ragazzi di Valve sono riusciti pienamente nell’intento di portare sul mercato la prima – vera – killer application per realtà virtuale, uno di quei titoli che, a mio parere, valgono appieno il prezzo di un visore (ricordiamo che nonostante le feature aggiuntive per Valve Index, il gioco è compatibile con una vasta gamma di headset, di fasce di prezzo estremamente variabili), grazie ad un gameplay immersivo e incredibilmente curato che, per la prima volta, riesce a dare un “peso” alle nostre mani all’interno del mondo di gioco. Inoltre, tecnicamente parlando Alyx è mostruoso: vivere e respirare City 17 è senza dubbio una tra le più incredibili esperienze di gioco mai provate nella nostra vita. Chissà se, in futuro, Sony proverà a portare su PS5 il titolo Valve sul proprio visore…
Gabriele Priarone (The Legend of Zelda: Breath of the Wild)
Senza dubbio The Legend of Zelda: Breath Of The Wild, per molteplici ragioni. I maghi giapponesi di Nintendo hanno rilasciato un titolo che non ha solo rivoluzionato la saga di Zelda cambiando radicalmente stile, ma lo stesso genere open-world, concedendo una libertà di azione e movimento senza precedenti. E sono riusciti a farlo su due piattaforme, Wii U e Switch, dotate di un hardware decisamente modesto se comparato alle altre console della stessa generazione.
Si tratta di un’opera fondamentalmente perfetta, emozionante, che finalmente dona alla serie una visione più matura e seriosa; evidentemente rivolta alle vecchie generazioni che sono, loro malgrado, cresciute seguendo le gesta di Link e della sfortunata principessa Zelda. La narrativa non è esageratamente innovativa, forse anche scontata, ma riesce saggiamente a mantenere un giusto equilibrio tra il passato e la nuova direzione della serie, riuscendo anche ad emozionare grazie ad una serie di cut-scene degne dei migliori OAV giapponesi.
Fabrizio Giardina (The Last of Us Parte II)
Una memorabile storia di vendetta, capace di ergersi a vero e proprio punto di riferimento per le esperienze videoludiche di stampo narrativo. Con The Last of Us Parte II, Naughty Dog raggiunge un incredibile livello qualitativo portando su PS4 un capolavoro sublimato da una trama ruggente ed un gameplay dinamico ed estremamente gratificante. Un’avventura epocale che non si fa scrupoli nello sconvolgere il giocatore con una violenza pungente e dilaniante, fredda ed improvvisa, tanto evitabile quanto necessaria. Il tutto elevato grazie ad un gameplay sopraffino in cui ogni scontro è carico di tensione, in una struttura ludica che mescola egregiamente azione, stealth, survival e persino horror… Eccellendo fondamentalmente sotto ogni punto di vista. Era tutt’altro che semplice raccogliere l’eredità del capostipite, The Last of Us Parte II non solo non ha deluso le aspettative ma si è già imposto come un’opera imprescindibile, che lascia un segno indelebile e racconta uno spaccato di umanità, di vita e di morte estremamente vero. Ed è per questo che fa così male.
Donato Marchisiello (Death Stranding)
Il gioco più meritevole della generazione? A mio giudizio, Death Stranding. Chi mi conosce, inarcherà più di un sopracciglio e penserà si tratti di uno scherzo. In realtà, non lo é: il titolo di Kojima è a mio avviso ben lungi dall’essere il capolavoro e il tripudio di 10 e 11 a cui una buona fetta della critica si è abbandonata. Seppur possa esser annoverato fra uno dei più alti esempi di “arte” videoludica. Con tutti i difetti e i limiti più squisitamente meccanici e ludici, Death Stranding ha però il pregio indiscutibile di tentar d’esser gioco… senza esserlo fino in fondo. Un ottimo esperimento con limiti evidenti e insuperabili, ma sicuramente il punto più alto di quella parte di settore che vuol scrollarsi di dosso l’etichettatura da “giochino elettronico”.
Paolo Lo Cascio (The Legend of Zelda: Breath of the Wild)
Avrei potuto tranquillamente scegliere una serie numerosa di altri titoli considerando tanti motivi diversi, dalla perfezione narrativa di The Last of Us – Parte II, al rigore logico dell’ultima iterazione del Civilization di Sid Meier, passando per il livello di sfida offerto da Bloodborne – quest’ultimo anche campione per quel che concerne le atmosfere. Tuttavia scegliere il miglior gioco della generazione si è rivelato più semplice del previsto alla luce del fatto che mi son dovuto arrendere davanti alla maestosità ludica di The Legend of Zelda Breath of the Wild, davvero fuori parametro rispetto all’agguerrita concorrenza. È un titolo sicuramente perfettibile in qualche suo aspetto, ma più di ogni altro è riuscito a rivoluzionare il genere a cui appartiene, ibridandolo magistralmente con elementi ruolistici e free roaming, il tutto calibrato senza sbavature, come solo mamma Nintendo sa fare (quando vuole). Merita il premio anche perché l’intera industria è stata costretta a misurarsi con una riflessione, grazie proprio all’impatto che questo gioco ha avuto sul mercato e sui giocatori, ovvero che il game design deve viaggiare di pari passo con le conquiste tecnologiche e che queste ultime non sono che la ciliegina su una torta costituita dalla forza delle idee e dalle meccaniche di gioco, ultimamente immolate in nome di una corsa forsennata all’FPS in più.
Manuel Di Giorgio (Monster Hunter World: Iceborne)
Pubblicato nel 2019 sulle console di attuale generazione e giunto su PC successivamente, a distanza di pochi mesi, nel gennaio scorso, Monster Hunter World: Iceborne si configura come un contenuto aggiuntivo della versione base, comportando l’ampliamento di quest’ultima con una produzione contenutisticamente a sé stante ed estremamente ricca. Configurandosi come un reboot della saga, sdoganato dalla ristretta cerchia di videogiocatori legata a questi prodotti, l’incontro con possenti e feroci creature risulta appagante per l’intero corso dell’avventura. Nonostante questa produzione presenti una serie di errori, appartenenti principalmente alla sfera del bilanciamento di alcune meccaniche di gioco, l’offerta proposta da Capcom è, pad alla mano, una delle migliori di quella appartenenti al macrocosmo degli rpg dalle tinte action, che con la nuova iterazione amplifica maggiormente la capacità di immersione nel mondo di gioco ed il senso di caccia in multigiocatore.