Intorno a Death Stranding si è creato tantissimo rumore. Un rumore che ha trasportato un marasma di pareri, estremamente diversi l’uno dall’altro, di pubblico e critica. Pareri positivi, bocciature clamorose ma, soprattutto, una community vasta intenzionata più che mai a “parlare” e confrontarsi sul criptico, quanto unico, immaginario del celebre game designer giapponese.
Hideo Kojima non ha di certo bisogno di presentazioni. Il suo nome è certamente associato ad una tra le saghe videoludiche più apprezzate dal grande pubblico, Metal Gear Solid, saga che, dopo un travagliato capitolo finale, è stato costretto ad abbandonare a causa di dissapori con il publisher giapponese Konami. Metal Gear Solid V: The Phantom Pain lasciò parecchi fan con l’amaro in bocca, a causa di alcuni evidenti tagli dovuti alla repentina interruzione di rapporti tra Kojima e Konami. La rottura tra il publisher e il game designer giapponese portò inoltre all’annullamento dell’interessantissimo Silent Hills, reboot della celebre e longeva saga horror che, fin dai tempi della primissima Playstation, è stata in grado di terrorizzare intere generazioni di videogiocatori. Dell’annullamento di Silent Hills sono rimaste solamente due cose: tanto amaro in bocca nei milioni di fan della saga e una “tech-demo” (se così la vogliamo definire), chiamata P.T., così unica da influenzare le produzioni survival horror a venire.
L’indipendenza di Kojima è coincisa con l’annuncio della sua nuova proprietà intellettuale, Death Stranding, titolo di cui – onestamente parlando – si è capito ben fino al lancio effettivo. Dopo uno sviluppo durato quasi quattro anni, abbiamo finalmente messo le mani su Death Stranding, grazie ad un codice review, gentilmente offerto al day-one dal publisher. Abbiamo così potuto provare a lungo il nuovo titolo della Kojima Productions, immergendoci – letteralmente – nella complessa narrativa offerta, per circa una sessantina di ore.
Death Stranding è una delle produzioni più difficili da recensire tra quelle che ci sono capitate. Un titolo atipico, capace di proporre un gameplay tanto coinvolgente quanto ridondante nei task e nello svolgimento. Un’opera di cui non vediamo l’ora di parlarvi, cercando sempre di fare attenzione a non svelarvi troppo sul comparto narrativo, vero e proprio cardine di questa produzione.
Agganciate il BB, raccogliete qualche cassa e seguiteci a riunificare l’America: buona lettura!
“Make America whole again” semi cit.
“Un tempo ci fu un’esplosione, uno scoppio che diede origine al tempo e allo spazio. Un tempo ci fu un’esplosione, uno scoppio che portò un pianeta a ruotare in quello spazio. Un tempo ci fu un’esplosione, uno scoppio che generò la vita così come la conosciamo. E poi arrivò un’altra esplosione.”
Il modo migliore per parlarvi della narrativa dell’ultima fatica di Hideo Kojima… è spiegarvi cos’è il Death Stranding.
Il gioco porta il nome del cataclisma che ha colpito la Terra in un futuro imprecisato. Non ci troviamo davanti al solito scenario post-nucleare, o alla una classica apocalisse zombie, il Death Stranding è andato ben oltre, assottigliando ancor di più il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Le conseguenze dello Stranding sono state disastrose: il riversamento sul pianeta di entità extracorporee ha provocato voragini, dovute al contatto tra la materia – dei vivi – e l’antimateria – dei morti. Intere città spazzate via, avamposti sparsi per gli stati totalmente isolati tra loro, questi sono alcuni degli esempi di scenario che ci ritroveremo ad affrontare durante la nostra avventure.
Le sequenze video iniziali ci permetteranno di fare subito la conoscenza di Sam Porter Bridges (interpretato in motion capture dalla star di The Walking Dead, Norman Reedus), un corriere impegnato nella consegna di pacchi tra una città e un’altra – lo Stranding, come già citato, ha provocato l’isolamento delle poche cittadine rimaste, che ora non possono più contare sui sistemi di trasporto a cui siamo abituati…e neanche sulle infrastrutture di collegamento, come strade o ferrovie.
Gli eventi iniziali ci porteranno alla capitale di quello che sembra essere l’ultimo avamposto degli ex Stati Uniti d’America. Qui Sam, dopo l’ennesima consegna effettuata con successo, verrà avvicinato da Bridget Strand, l’attuale Presidente, nonché madre adottiva di Sam, che in letto di morte gli chiederà di portare a termine un compito: riportare i territori un tempo appartenuti agli Stati Uniti d’America sotto un’unica bandiera, ricollegando le città un all’altra, sfruttando le potenzialità della rete chirale (il concetto di chiralità verrà approfondito sempre più, con l’avanzare della trama).
Vogliamo andarci piano con le spiegazioni a livello di trama, visto che il rischio di rovinarvi dei colpi di genio all’interno del gioco è decisamente troppo alto. Per Death Stranding, Kojima ha optato per un’esperienza di gioco interamente story driven, capace di tenere incollato il giocatore per una cinquantina di ore circa (il tempo necessario a portare a termine la storia principale, task secondari esclusi). Quando tutti i nodi vengono al pettine e quando viene, finalmente, tolto il velo alle più grandi “cripticità” del titolo, risulta arduo rimanere impassibili al nuovo macro universo narrativo creato da Hideo Kojima.
Death Stranding è un titolo peculiare dal punto vista meramente ludico, ed è richiesta un’immersione pressoché totale da parte del giocatore per godere appieno di ogni singola sfumatura della trama. Concentrarsi sulla sola giocabilità che, come vedremo più avanti, risulta tutt’altro che perfetta, è a parer nostro un errore: Death Stranding è un gioco travolgente, capace di far leva sulle emozioni del singolo giocatore in una maniera mai vista prima d’ora.
Social Strand System
Difficile attribuire un genere preciso a Death Stranding. Pad alla mano, dovremo controllare Sam all’interno del desolato mondo di gioco, vasto ed interamente esplorabile, aiutandolo a ricollegare alla rete tutte le principali cittadine degli Stati Uniti, formando il rinnovato UCA (United City of America). Lo scenario in cui muoveremo Sam non assomiglia neanche vagamente a quello statunitense a cui siamo abituati: intere distese desertiche che si estendono per chilometri, montagne innevate a dividere le regioni e fiumi, rigogliosi, colmi di acque insidiose: una delle conseguenze dirette del Death Stranding è la sostituzione delle normali precipitazioni atmosferiche con un fenomeno chiamato “cronopioggia” che, a contatto con gli oggetti e essere viventi, provoca un invecchiamento precoce. Durante le nostre consegne nei panni di Sam, dovremo quindi tenere sempre conto degli effetti della cronopioggia sul trasporto che rischia di danneggiarsi irrimediabilmente.
Con una visuale in terza persona simile a quella vista nell’ultimo Metal Gear Solid, muoveremo Sam all’interno di un’estesa mappa di gioco, consegnando carichi da una cittadina all’altra e collegando sempre più persone alla rete grazie a uno speciale dispositivo che porteremo sempre con noi. Il sistema di pesi e distribuzione dei carichi su tutto il corpo è stato reso in una maniera incredibilmente realistica: sovraccaricando Sam ne risentono il suo vigore e la sua mobilità. Se all’inizio potremo contare solo sulle nostre forze – e tanta, tanta pazienza – per portare a termine le consegne, avanzando nel gioco ci verranno messi a disposizione strumenti sempre più utili in grado di facilitare le consegne-e lasciando di conseguenza più spazio alla trama. Carrelli, robot, teleferiche, ponti: il building system offerto da Death Stranding è via via sempre più ricco di possibilità e combinazioni, dandoci così modo di plasmare a dovere il mondo di gioco per rendere più agevoli i nostri spostamente e le missioni di consegna.
Un altro effetto del Death Stranding sulla Terra è la presenza di entità dell’aldilà, riversate nel nostro mondo: le Creature Arenate o, come vengono spesso definite, C.A. Nelle zone “infestate” dalle C.A. entrerà in gioco una tra le componenti principali del gameplay: il Bridge Baby (o BB), un misterioso neonato incapsulato, che Sam si porta sempre appresso. Evitando dettagli narrativi sul BB, sul fronte gameplay risulta fondamentale per sopravvivere alle C.A.: trattandosi di bambini che viaggiano tra il mondo dei vivi e quello dei morti, possiedono la capacità di percepirne la presenza sul territorio, sfruttando l’Odradek, una strumentazione della tuta di Sam che, oltre a rivelare la presenza di elementi vicini nello scenario, lampeggerà in direzione di creature a noi invisibili. Sebbene inizialmente vi sono poche possibilità di confronto con le creature, con l’avanzare del gioco avremo a disposizione strumenti offensivi sempre più diversificati per respingere i loro attacchi. Oltre ai nemici soprannaturali, ci imbatteremo in accampamenti di MULI, una sorta di comunità di banditi a caccia corrieri per appropriarsi con la forza di carichi e materiali. Trattandosi di nemici umani, potremo fronteggiarli in maniera molto più “aperta” rispetto alle C.A., stando però attenti ad evitare spargimenti di sangue inutili :la morte di un umano causa necrosi e, conseguentemente, trasformazione in C.A.…
Pur non affacciandosi al genere action/stealth più puro, che abbiamo già avuto modo di affrontare in Metal Gear, Death Stranding offre diversi rimandi alle avventure di Solid Snake. In particolare molte meccaniche stealth sono state mantenute, dando la possibilità a Sam di abbassarsi nell’erba alta e scampare dalle incursioni dei MULI o sfuggire dalle pericolose prese delle C.A. Armi da fuoco sempre più evolute ci verranno in soccorso durante le boss fight che quasi mai rappresentano una vera e propria sfida per i giocatori. Death Stranding, infatti, non è tendenzialmente un gioco difficile (giocato a livello di difficoltà standard siamo morti solamente tre volte per tutta la durata dell’avventura): i combattimenti sono piuttosto semplicistici, così come le boss fight che non rappresentano una seria difficoltà.
Quando fu annunciata la componente multiplayer di Death Stranding, si sollevarono alcune preoccupazioni da parte di giocatori. Lo stesso Kojima, per descrivere il titolo, lo ha definito come un “Social Strand Game”, paragonando il termine al genere – da lui stesso coniato – di Metal Gear Solid, ovvero “Tactical Espionage Action”.
Come descrivere quindi la componente online di Death Stranding? Immaginate un enfatizzazione del sistema utilizzato da From Software per i vari Dark Souls dove i giocatori, durante la loro avventura, possono interagire con messaggi lasciati dagli altri player (che magari hanno già affrontato una particolare sfida o segreto all’interno del gioco), crearne di nuovi o, addirittura, “invadere” il nostro mondo di gioco per aiutarci o distruggerci.
Durante i loro viaggi nelle desolate distese americane, i giocatori di Death Stranding potranno “connettersi” tra loro in vari modi, attraverso il Social Strand System. Come all’interno di un mega social network, potremo apporre “Like” ai giocatori che lasciano equipaggiamenti e/o cartelli oppure costruzioni utili come ponti, teleferiche e rifugi. Approfittando del tema portante del gioco – ovvero le “connessioni” – Kojima ha creato un titolo in cui è impossibile sentirsi soli, nonostante il setting lasci intendere il contrario. Costruire strade, ponti e teleferiche insieme ad altri giocatori, e conseguentemente apprezzare la loro utilità nell’agevolare gli spostamenti, è il concetto alla base di questo sistema.
Alcuni, tuttavia, potrebbero non apprezzare la “confusione” che si viene a creare nell’interfaccia quando, molto spesso, ci ritroviamo davanti cartelli e etichette di ogni tipo, che di fatto sporcano un po’ il campo visivo.
Il marchio di Guerrilla
Sul fronte puramente grafico, impossibile non elogiare il lavoro svolto dai ragazzi di Kojima Productions. Oltre ad una qualità visiva di spessore, Death Stranding vanta un cast di primissimo ordine: il già citato Norman Reedus, nei panni del protagonista, è accompagnato da uno schieramento di attori del calibro di Mads Mikkelsen, Margaret Qualley (protagonista del film di Tarantino Once Upon a Time in Hollywood), Lindsay Wagner, Tommy Earl Jenkins e l’ex Bond-girl Léa Seydoux, oltre a due registi come guest star d’eccezione, ovvero Guillermo del Toro e Nicolas Winding Refn.
Nonostante la presenza di un buon doppiaggio in lingua italiana, abbiamo preferito portare a termine l’avventura in inglese, in modo da poter apprezzare a dovere le interpretazioni degli attori del cast. Le intensive sessioni di motion capture, unite alle potenzialità dell’incredibile Decima Engine di Guerrilla Games (già apprezzato in Horizon Zero Dawn), hanno reso Death Stranding un vero e proprio film interattivo: come ci aveva abituati Kojima in alcune sue precedenti produzioni, il quantitativo di film è importante, così come la loro durata, alcuni addirittura paragonabili ad una puntata di una serie tv.
Promossa anche la scelta musicale che vanta soprattutto brani della band statunitense Low Roar, che molto spesso ci accompagneranno durante le nostre lunghe camminate nella desolazione di Death Stranding.
Concludendo…
Arrivati ai titoli di coda di Death Stranding, siamo stati travolti da un marasma di emozioni mai provate fino ad ora. L’immaginario creato da Hideo Kojima ha dell’incredibile: narrativamente parlando il titolo rasenta quasi l’eccellenza, grazie ad intrecci avvincenti e un simbolismo rarissimo da trovare in produzioni videoludiche. Il gameplay del titolo, di cui si è tanto parlato in questo periodo, è indubbiamente ridondante nelle richieste e nell’esecuzione dei vari task ma, a nostro parere, assolutamente contestualizzato con quello che il gioco ha intenzione di offrire, narrativamente parlando. La componente multiplayer online asincrona,già sperimentata in altri titoli, viene portata all’ennesima potenza, mettendoci sempre in “connessione” con tutti e rendendo il mondo di gioco più vivo di ciò che sembra.
Sorvolando sul livello di difficoltà, generalmente troppo basso, e alcune semplificazioni sul sistema di combattimento, ci troviamo di fronte ad una delle produzioni videoludiche più importanti dell’ultimo periodo, un titolo di cui si parlerà e discuterà ancora a lungo (e fidatevi, c’è molto di cui parlare), nel bene o nel male e che sicuramente farà scuola. Lato nostro non possiamo far altro che consigliarne l’acquisto o, se sprovvisti di console, attendere con trepidazione l’uscita su PC, che avverrà l’estate prossima.