Questo platform dai toni goliardici proviene dalla Svezia, per essere precisi da Easy Trigger Games: una piccola società fondata nel 2016 da due appassionati sviluppatori, Tommy Gustafsson ed Andreas Rehnberg. Huntdown è la prima loro fatica ad approdare al mercato, dopo quattro anni di faticoso lavoro dietro agli adorabili pixel che compongono le vicende dei suoi aggueriti eroi. Inutile nascondere che abbiamo provato una certa goduria nel giocare fino in fondo questo titolo, che si è rivelato essere una piccola perla.
Ma ora, senz’altro indugio, ecco a voi la recensione della versione Switch, per gentile concessione di Coffee Stain Studios …
Retrò fino al midollo
La grafica nostalgica che suggella il sodalizio con Huntdown rappresenta l’ideale assoluto per la pixel graphic, per nulla banale e molto fedele all’era in cui è ispirata. In questo senso il titolo svedese ne delinea uno dei più fulgidi esempi: ogni cosa infatti è stata disegnata a mano, in vecchio stile. Gli autori tengono molto a precisare una differenza sostanziale rispetto a molti altri titoli che osannano grafica a 16-bit: qui non ci sono “pixel roteanti”! Easy Trigger non ha sfruttato volutamente tecnologie di rendering decisamente più moderne per gestire le animazioni, affinché l’esperienza sia più pura. A fine anni ‘80 (l’era principe per i 16-bit) non era possibile infatti ingrandire o roteare gli oggetti di gioco: se si desiderava farlo al povero grafico spettava l’ingrato compito di disegnare ogni singolo frame di animazione. E spesso con limitazioni sul numero di colori disponibili, sulla memoria o sulla dimensione degli oggetti.
Huntdown offre quindi un’esperienza visiva quanto più simile ad un vero gioco 16-bit anche se priva delle limitazioni di memoria o di colori menzionate prima, ma dopotutto ci si può anche concedere qualche vantaggio dopo 30 anni, no? Questo tratto è altresì apprezzabile nelle scene di intermezzo, anch’esse disegnate frame-per-frame senza l’ausilio di effetti grafici nelle transizioni. Sebbene questa particolarità potrebbe far storcere il naso, perché la resa finale è sicuramente meno fluida e d’impatto rispetto ad altri titoli, per un intenditore però si tratta di una vera finezza, che non può essere ignorata.
Hardcore
La storia di Huntdown presenta toni molto dark senza però prendersi troppo sul serio, esattamente come nei film d’azione più ignoranti degli anni ‘80. Non aspettatevi perciò alcuna introspezione dei personaggi, perchè fondamentalmente non ci interessa sapere cosa li ha portati qui od i particolari della loro infanzia. L’unica cosa importante è che ci sono dei buoni, una serie incessante di cattivi e che tra l’inizio e la fine della storia questi si scambieranno una massiccia dose di ultraviolenza digitale.
Il roster degli eroi conta ben tre personaggi selezionabili: la tostissima Anna Conda, l’ex sbirro John Sawyer ed il robot Mow Man. Questi non sono i classici eroi senza macchia, anzi, si tratta di veri e propri mercenari prezzolati, disposti a tutto pur di guadagnare la taglia posta sul cranio dei malcapitati bersagli che gli saranno assegnati. Gli atteggiamenti e le battute acide esplose dai vari protagonisti ci hanno ricordato, in più di una occasione, l’immortale Duke Nukem.
Nel futuro distopico in cui ci troviamo le gang regnano sovrane, il crimine è ai massimi livelli, mentre la polizia è inutile e corrotta. Alla squadra insubordinata dei nostri anti-eroi viene quindi assegnato il compito di porre fine al loro impero, perché sono gli unici in grado di gestire questo caos. Non appena si inizia, attraverso un monitor montato nelle macchine super-sportive dei nostri beniamini, viene fornito l’incipit di gioco. Il mandante della missione è la Shimamoto, una titanica società dai dubbi ideali, il cui portavoce è “miss Rose”, una enigmatica signora che tesse incessantemente la maglia. Ecco che, dopo un veloce briefing che fornisce un doveroso scenario ed alcune battute da parte dell’eroe prescelto, inizia il massacro.
Cavallo vincente non si cambia.
Huntdown – in soldoni – è un classico platform 2D che offre in tutto 20 livelli divisi in 4 macro-aree dove, in ognuna di esse, vi sono cinque taglie rappresentate da altrettanti boss. Molto pregevole il fatto che l’intera avventura possa essere giocata in coop locale da due giocatori, aumentando il divertimento. I livelli sono decisamente lineari, generalmente si procede verso destra per arrivare alla fine ma, tra un checkpoint e l’altro (potevano mancare?), sono liberamente esplorabili, talvolta dipanandosi su tutte le quattro direzioni cardinali, costruendo percorsi più intricati. I nostri eroi partono con una pistola dotata di munizioni infinite ed un’arma speciale ricaricabile (boomerang, coltelli), ma durante il tragitto è possibile raccogliere una nutrita collezione di armi. Queste spaziano da armi da mischia, quali mazze e spade, ad armi da fuoco come fucili, mitragliatori e cannoni laser: non ci si annoia. Anche l’arma speciale da lancio può essere sostituita da armamentario variegato che include granate, molotov, bombe a grappolo, torrette automatiche e molto altro ancora.
Purtroppo le armi raccolte sono sempre dotate di munizioni limitate, quindi alla fine l’unica certezza per sgominare gli avversari rimane sempre la pistola base del personaggio. Per aumentare il fattore rigiocabilità (ahimè con scarso successo), in ogni livello sono presenti tre valigie che, specialmente nelle aree più avanzate, sono state opportunamente nascoste e vengono conteggiate a fine livello per calcolare il completamento raggiunto.
Come anticipato poche righe sopra alla fine di ogni livello si trova la taglia, che qui si traduce in un classico boss-fight. Si potrebbe pensare che 20 boss di fine livello possano difficilmente variegare a sufficienza il gameplay, ma per fortuna i nostri amici svedesi sono riusciti a costruire personaggi e situazioni molto esclusivi, rendendo ogni scontro realmente unico e divertente. Insomma non siamo ai livelli di Cuphead, ma ci andiamo molto vicino.
Comparto Tecnico
La grafica del titolo in esame è evidentemente ispirata all’era 16-bit ed è senza dubbio di ottima fattura. Oltre ai personaggi molto ben animati, ogni paesaggio è ricco di piccoli dettagli che li rendono interattivi, dinamici e mai noiosi; l’unico appunto è che talvolta alcuni particolari possano risultare leggermente confusi, specialmente quando si gioca in coop locale. L’engine che muove tutto è il solito Unity, utilizzato ormai da tantissimi indie, che ha anche permesso ad Easy Trigger di rilasciare il titolo contemporaneamente su più piattaforme. Da questo punto di vista sulla piccola Switch non ci sono mai stati rallentamenti o bug di nessun tipo. Il comparto audio include una colonna sonora elettronica che incalza l’azione a dovere, anche se spesso risulta poco ispirata, mentre il comparto effetti sonori eccelle offrendo una pletora di suoni per ogni azione o tormento inferto ai malcapitati nemici. Il doppiaggio delle cut-scene è ovviamente in inglese, ma interamente sottotitolato in italiano ed è di buon livello; apprezzabile che cambiando personaggio principale sia possibile ascoltare dialoghi differenti con la misteriosa emissaria che assegna le missioni.
Concludendo…
Huntdown è un titolo divertente, vario e realizzato con cura maniacale, degno della massima attenzione. Giocando a “normal” la curva di difficoltà è ottimamente calibrata e siamo riusciti a finire il gioco in circa 8-9 ore morendo parecchie volte. L’unico appunto che ci sentiamo di potergli fare è che il fattore rigiocabilità sia piuttosto basso perché, dopo averlo completato, è possibile solo sbloccare una modalità “badass” per veri masochisti. In questo senso sarebbe stato carino poter sbloccare nuovi personaggi o modalità di gioco più fantasiose, come ad esempio avviene in Valfaris. In questo modo solo a pochi perfezionisti verrà voglia di rigiocarlo per “platinarlo” a dovere, oppure per giocarlo a difficoltà più elevata. Comunque, se il buongiorno si vede dal mattino, Easy Trigger Games va tenuta senz’altro d’occhio nei prossimi tempi…