“The Good, the Bad and the Ugly” è solo che l’ultimo, folle, parto creativo delle nostre menti malate. Una rubrica nata per parlare di videogiochi, liberamente, senza filtri di sorta, andando magari a sviscerare titoli che non hanno beneficiato di una recensione apposita tra le nostre pagine, vuoi per ritardi dovuti alla ricezione di promo, vuoi per la nostra – oggettiva – impossibilità a giocarci, ecc. Insomma, una recensione in breve, ritardataria e priva di giustificazioni, che però servirà per fornirvi una panoramica su alcuni giochi passati un po’ più in sordina, a causa anche per l’elevato numero di uscite – ben più importanti – nello stesso periodo.

A segnare il debutto su questo nuovo format, Shadow Warrior 3, titolo su cui eravamo partiti carichi di aspettativi – vista anche la qualità delle due precedenti iterazioni – ma che, purtroppo, si è rivelato un flop senza precedenti. Uno scivolone che non ci aspettavamo quello dei Flying Wild Hog che con questo terzo capitolo hanno praticamente cancellato tutto ciò che di buono erano riusciti a fare con i primi due giochi: Shadow Warrior 3 è cortissimo, privo di originalità e assolutamente di pessimo gusto, sia nella realizzazione delle cutscene che nella qualità generale dei dialoghi.

Perchè? Ve lo spieghiamo nel dettaglio…

Il pirla e il dragone

Lo Wang è depresso.

Dopo aver liberato il dragone, per puro errore, la civiltà rischia il collasso totale: orde di demoni inferociti hanno invaso la Terra e solo un miracolo riuscirebbe a salvare la situazione ormai precipitata. Lo Wang decide così di allearsi con la sua ex nemesi, Orochi Zilla, formando una inusuale alleanza atta a fermare l’ondata distruttiva del dragone. Sotto il consiglio della strega Motoko, Lo Wang e Zilla decidono di sfruttare il potere residuo nella maschera di Hoji per combattere il dragone. Peccato che la situazione ci metterà pochissimo a precipitare…

Lato trama il gioco non offre particolari spunti narrativi. Le cutscene, orrende e pre-renderizzate, offrono alcuni dialoghi “simpatici”, ben lontani dallo stile dei due precedenti episodi. Pur non offrendo una narrativa degna d’essere chiamata tale, è opportuno essere a conoscenza degli eventi significativi dei due precedenti capitoli, tanto da non rimanere digiuni alle diverse citazioni e personaggi che vi si porranno a schermo nelle successive quattro ore, necessarie a portare a termine la campagna.

Quattro ore sono assolutamente poche per un titolo che, oltre alla storia, non ha davvero nulla da offrire a livello contenutistico, oltre che non invogliare in nessun modo il giocatore a re-iniziare da capo tutta la campagna proposta dai ragazzi polacchi di Flying Wild Hog.

Un Doom Eternal che non ci ha creduto abbastanza

A pochi giorni dall’annuncio del lockdown italiano, due anni or sono, siamo riusciti a mettere le mani su Doom Eternal, uno tra i titoli che, tutt’oggi, consideriamo un’eccellenza in quello che lo stile classico degli shooter in prima persona, portato in auge dai ragazzi di id Software. Un gunplay frenetico condito da un level design sopraffino ed un livello di difficoltà altresì impegnativo ma bilanciato al punto giusto, tanto da costringere il giocatore a ponderare con cura l’uso dell’armamentario a propria disposizione, hanno reso Doom Eternal il metro di paragone per gli shooter frenetici.

Ma perchè vi stiamo parlando di Doom Eternal quando il protagonista della nostra rubrica è il buon Shadow Warrior 3?

Bhe, intanto è opportuno parlarvi della chiara e pesante influenza che le recenti uscite targate id Software hanno avuto sul titolo in analisi: il gioco è, senza mezzi termini, un titolo che prova a riprendere, in toto, lo stile del sopraccitato Doom Eternal, proponendo il medesimo stile frenetico, intervallato da sequenze platform (di qualità piuttosto altalenante) e dall’enorme numero di nemici a schermo, pronti a porre fine alle nostre vite al minimo errore. L’armamentario a disposizione di Lo Wang non è qualitativamente paragonabile al Doom Eternal, di cui tanto amiamo raccontarvi, ma ci “prova”, proponendo comunque una varietà di bocche da fuoco in grado di sopperire alle nostre esigenze. Qui ci scontriamo con uno dei più grandi difetti del titolo: il gunplay.

Il feedback delle armi non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello visto nelle già citate produzioni id Software e anche il tentativo, abbastanza ridicolo, di inserire le esecuzioni dei nemici (che potranno essere eseguite solo ricaricando l’apposita barra gialla posta nella parte inferiore dello schermo) non riesce in nessun modo a garantire il medesimo divertimento nelle concitate fasi di gioco. Altro grosso limite della produzione di Flying Wild Hog è sicuramente imputabile al level design, caratterizzato sì da uno stile artistico convincente (e a tratti in grado di fornire scenari da urlo) ma poco funzionale al gameplay: alcune “arene”, se così le possiamo definire, sono talmente piccole e circoscritte che con uno stile di gioco così veloce e frenetico, capiterà diverse volte di finire al di fuori dei bordi e crollare, rovinosamente, in qualche burrone. Altri scenari riescono quantomeno a salvarsi per l’uso di trappole, attivabili dal giocatore stesso semplicemente sparando contro gli interruttori, che ci aiuteranno a far fuori con più semplicità le inferocite orde di demoni.

Il buono, il brutto o il cattivo?

Sicuramente il cattivo. Shadow Warrior 3 non è un titolo da bocciare in toto ma, sicuramente, la mancanza di personalità è uno tra gli aspetti che più influiscono negativamente sullo score globale del titolo Flying Wild Hog. Nonostante la durata risicata, non siamo riusciti a divertirci a dovere nelle circa quattro ore necessarie a portare a termine la campagna, andandoci a scontrare su grossolani difetti di level design, una varietà di situazioni abbastanza risicata e da un mood generale dell’avventura di pessimo gusto. Un accenno al comparto tecnico: sebbene alcuni scenari siano quantomeno belli da vedere (e vi assicuriamo che, in ultrawide su PC, il dettaglio è notevole), l’effettistica e il design di alcuni nemici lascia parecchio a desiderare (gli effetti del sangue, pessimi, specialmente). Un peccato, perchè le premesse per tirare su un buon prodotto c’erano tutte, considerato l’ottimo lavoro svolto con le due precedenti iterazioni.

Che dire? Non c’è tre senza quattro! Magari alla prossima andrà meglio…

CI PIACE
  • Lo stile orientale e la bellezza di alcuni scenari
  • La resa di alcune bocche da fuoco
  • Chi ha amato alla follia Doom Eternal potrebbe, moderatamente, apprezzarlo
NON CI PIACE
  • Longevità risicata e rigiocabilità praticamente nulla
  • Level design poco riuscito
  • Qualità delle cutscene e dialoghi abbastanza dubbia
VERDETTO

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Nerd purosangue classe 1992, si avvicina al mondo dei videogiochi grazie al SEGA Master System di sua madre. Destreggiandosi tra Alex Kidd e Sonic the Hedgehog, comincia a farsi una importante cultura videoludica a base di platform e beat ‘em up. Fedele seguace della “master race”, consuma giochi di ruolo dalla mattina alla sera, anche se la sua saga preferita rimane Grand Theft Auto degli inarrivabili Rockstar Games, che fin dal primo capitolo lo ha aiutato a diventare la brutta persona che imparerete a conoscere.

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