I Supermassive Games bussano alle porte della next gen con questo terzo capitolo della loro antologia horror The Dark Pictures Anthology. Dopo due capitoli mediocri, ma comunque godibili, con House of Ashes il team inglese prova a correggere il tiro, proponendo alcune interessanti novità lato gameplay e una trama caratterizzata da una scrittura più solida.

Saranno bastate queste semplici ma, sulla carta, efficaci novità per riportare l’antologia horror dei Supermassive sulla “retta via”. A darci una mano è accorso il publisher, Bandai Namco, che ci ha fornito un codice review relativo alla versione PC del gioco. Siamo quindi pronti, come di consueto, a fornirvi il nostro finale responso sul titolo.

Buona lettura!

Dove ci ha portato il destino questa volta?

House of Ashes segue lo stile narrativo dettato dai due precedenti episodi, proponendo una storia standalone che affonda le sue origini nel passato.

Siamo nel regno mesopotamico di Akkad – anno 2231 a.c – e gli accadiani, stremati dalla fame, dalle epidemie e dall’assedio incessante dei Gutei, sono ormai sull’orlo della sconfitta. Il re, Naram-Sin, rinchiuso nel suo tempio, è ormai sull’orlo della follia e “costretto” a compiere inutili sacrifici umani per placare l’ira degli dei.

Una misteriosa eclissi di sole, giunta alle porte del tempio di re Naram-Sin, risveglia un antico male, sotto forma di esercito di creature dell’ombra che, senza troppi indugi, entrano con forza all’interno del tempio, ultimo baluardo di resistenza accadiana.
Qui assumeremo i panni del generale accadico Balathu che, suo malgrado, si ritroverà a collaborare con un soldato guteo, Kurum, per cercare di raggiungere le catacombe e sfuggire alle creature.

In questi primi minuti di gameplay prenderemo confidenza con il sistema di gioco che, a conti fatti, è rimasto pressoché invariato rispetto alle due precedenti iterazioni. Dialoghi a scelta multipla, interazione con alcuni elementi dello scenario ma, importante novità, una telecamera in terza persona che ci permetterà di muovere la visuale liberamente (non esultate troppo presto, negli spazi stretti manovrare la telecamera sarà una vera tortura).

Dopo aver completato il prologo nei panni di Balathu – ed eviteremo ulteriori spoiler sul suo destino, anche se non farete fatica ad immaginarlo – il gioco ci riporterà al presente, o quasi. Il setting è l’anno 2003, il culmine della guerra in Iraq. Qui prenderemo il controllo, a turno, di uno dei cinque componenti della squadra di Forze Speciali, intenzionata a scovare nel deserto iraqeno, le armi chimiche nascoste da Saddam Hussein.

Come potrete facilmente intuire, la ricerca delle armi porterà la squadra speciale proprio all’interno delle famose catacombe esplorate del prologo…

Sul fronte trama, House of Ashes è probabilmente il capitolo più riuscito dei tre, con un solido cast di personaggi, dialoghi scritti in maniera discreta e un’ambientazione indubbiamente originale per un horror di questo genere.

Passione QTE

Se da un lato, abbiamo apprezzato i miglioramenti lato trama e coesione del cast di comprimari, dall’altro stiamo iniziando a trovare un po’ stantia la formula di gameplay collaudata dal team di Supermassive Games. Se da un lato troviamo alcuni miglioramenti alle fasi esplorative, grazie ad una telecamera in terza persona ruotabile e la possibilità di accendere e spegnere – a piacimento – le torce, dall’altro il “core” gameplay che ha contraddistinto fino ad oggi questa Dark Pictures Anthology, sta iniziando a mostrare tutti i suoi – pesanti – limiti.

In soldoni, House of Ashes è tranquillamente identificabile nel genere delle avventure grafiche dove, a farla da padrone, ci saranno le scelte del giocatore. Pur senza la fatidica schermata del “game over”, all’interno del gioco è possibile compiere decisioni errate che, in qualche modo, apriranno bivi narrativi differenti. In ogni caso, come già detto in precedenza, il titolo non offre particolari interazioni con il mondo di gioco, costringendo il giocatore a percorrere aree dal design estremamente lineare, a tratti interagendo con elementi come documenti, reperti storici o particolari manufatti che “triggerano” le cosiddette premonizioni, ovvero piccole visioni del futuro che, in qualche modo, ci suggeriranno che scelta compiere nelle fasi successive dell’avventura.

Anche i dialoghi, come in Man of Medan e Little Hope, non offrono poi tante possibilità: il giocatore, nei momenti “clou” della partita, potrà infatti scegliere tra sole due risposte disponibili, senza contare una “terza” dove potremo evitare di rispondere direttamente.

Il gioco, come da tradizione della serie, offre la possibilità di affrontare l’avventura in compagnia di amici, nella cosiddetta modalità Serata al cinema. Non si tratta di una vera e propria coop ma una sorta di turnazione, dove ad ogni giocatore sarà assegnato un personaggio principale diverso, ad ogni turno saremo quindi tenuti a “passare” il controller all’amico che deve controllare quel determinato personaggio, e così via. Giocato in compagnia il gioco riesce sicuramente a dare il meglio di sé: è sempre esilarante effettuare scelte che possono compromettere il futuro del nostro compagno e vedere la sua reazione nel mentre.

Una next-gen “rimandata”

Nonostante la disponibilità su console di vecchia generazione, PS4 e Xbox One, il titolo Supermassive Games è il primo ad approdare anche sulle next-gen targate Microsoft e Sony. Purtroppo le novità in termini tecnici non sono poi così tante e il gioco fatica molto a nascondere la propria natura cross-gen, specialmente per quanto concerne i volti dei comprimari, di cui avevamo già notificato le carenze nella recensione del precedente capitolo. La plasticità dei volti e le animazioni non sempre al top, rendono il cast di personaggi una sorta di “bambole inanimate”, dove a spiccare è la mancanza di espressività dei volti. Il gioco utilizza, in sostanza, la medesima tecnologia di motion capture vista in Until Dawn e meriterebbe, a tutti gli effetti, una svecchiata, specialmente in vista del prossimo capitolo – The Devil in Me – che dovrebbe vedere la luce il prossimo anno.

Discreto il doppiaggio – in italiano – anche se ci sentiamo, in questo caso, di affrontare l’avventura in lingua originale, decisamente più in sincrono con il labiale dei personaggi.

Concludendo…

Nonostante i passi avanti sul fronte narrativo, nemmeno House of Ashes è la svolta che ci aspettavamo per la Dark Pictures Anthology. Le novità in termini di gameplay non sono ancora abbastanza e, senza dubbio, il gioco meriterebbe una svecchiata per quanto concerne il comparto tecnico. Riponiamo quindi tutte le nostre speranze sul successivo capitolo, The Devil in Me, “etichettato” come season finale per questa prima stagione antologica.

Configurazione di prova:
Monitor: AOC CU34G2X/BK
Scheda video: GeForce RTX 3080 Ti
Processore: Intel Core i7-11700K
RAM: 16 GB DDR4

CI PIACE
  • Trama superiore a quella dei due precedenti capitoli
  • Ottime ambientazioni, sul fronte tecnico
  • Giocato in compagnia, riesce a dare il meglio di se
  • Si intravede la volontà del team di migliorare la formula di gioco…
NON CI PIACE
  • …ma non è abbastanza
  • Espressioni facciali e volti meriterebbero una maggior cura
  • Come sempre, l’interazione con il mondo di gioco è ridotta all’osso
  • Ritmo di gioco non proprio equilibrato
Conclusioni

Un terzo capitolo riuscito, almeno, sul fronte trama, che deve però fare i conti con un gameplay rimasto pressocchè invariato dai due precedenti capitoli. House of Ashes non sarà un gioiello tecnico ma, se giocato in compagnia, saprà comunque regalarvi un sufficiente numero di ore di divertimento, in attesa del “season finale” The Devil in Me.

7Cyberludus.com

Articolo precedenteEcco tutti i Giochi PlayStation Plus per novembre 2021: Knockout City, First Class Trouble, Kingdoms of Amalur: Re-Reckoning e tanti altri!
Prossimo articoloMICROIDS svela le prime immagini e il teaser di Goldrake!
Nerd purosangue classe 1992, si avvicina al mondo dei videogiochi grazie al SEGA Master System di sua madre. Destreggiandosi tra Alex Kidd e Sonic the Hedgehog, comincia a farsi una importante cultura videoludica a base di platform e beat ‘em up. Fedele seguace della “master race”, consuma giochi di ruolo dalla mattina alla sera, anche se la sua saga preferita rimane Grand Theft Auto degli inarrivabili Rockstar Games, che fin dal primo capitolo lo ha aiutato a diventare la brutta persona che imparerete a conoscere.

E tu che ne pensi? Facci conoscere la tua opinione!