Piuttosto prolifico questo finale di estate 2020 per gli amanti dei videogiochi di strategia che, tra una partita a Total War Saga: Troy e una a Crusader Kings III, hanno avuto di che gioire anche per il buon livello raggiunto dall’industria in questa congiuntura storicamente delicatissima. Ad aggiungersi alla sopracitata folta schiera di giochi di strategia arriva anche Iron Harvest 1920+, interessantissima creatura dei KING Art Games, casa di sviluppo con sede in Germania conosciuta ai più per le avventure della saga di The Book of Unwritten Tales.

Sin dal suo primissimo annuncio era chiaro che il gioco avrebbe voluto essere qualcosa di più di una semplice accozzaglia di regole da plasmare per dar vita a meccaniche sì soddisfacenti, ma prive di anima, tant’è che durante il crowdfunding su Kickstarter del 2018 riuscì a raccogliere oltre 1 milione e mezzo di dollari in pochissimo tempo, soldi ottenuti da un folto numero di appassionati che gli avevano già dato fiducia a scatola chiusa. Parte delle promesse sono state mantenute, soprattutto per quel che concerne la direzione artistica, la narrazione e l’aspetto tecnico del gioco, e il risultato, al netto di qualche disattenzione nella calibrazione di alcune dinamiche, è davvero degno di quella fiducia.

Vediamo insieme nel dettaglio come si è comportato Iron Harvest durante la nostra prova.

Universi dieselpunk come non si erano mai visti

Siamo nella porzione più a Nord dell’Europa centro-orientale in cui tre nazioni, la Polania, la Rusviet e la Saxony (identificabili senza troppi sforzi nella Polonia, l’Unione Sovietica e la Germania) continuano ad attraversare un periodo di conflitti dopo una Prima Guerra Mondiale capace di mettere a dura prova le economie, e la fragile speranza di convivenza, dei tre paesi. Il plot è davvero uno dei punti di forza dell’intera esperienza, ricavato dall’universo alternativo del mondo 1920+, opera di quel Jakub Rozalski conosciuto anche per aver ideato l’ambientazione di Scythe, uno dei giochi da tavolo più apprezzati degli ultimi anni. Tra le caratteristiche principali della sua produzione vi è la coesistenza di elementi storicamente verosimili con tutta una serie di inserti fantascientifici davvero ben concepiti: gli scorci dal sapore rurale, in cui l’agricoltura tenta di risollevare le sorti di comunità ridotte alla fame, sono attraversati da mezzi meccanici di svariate fogge, da autocarri con gambe a ragno a grandi mech armati di tutto punto, e ciò avviene quasi sempre enfatizzando la violenza che quell’apparato tecnologico e “dieselpunk” porta con sé.

La trama, malgrado la scrittura non eccezionale è comunque comprensiva di qualche delizioso colpo di scena e di qualche personaggio caratterizzato a dovere, è raccontata lungo le tre campagne – una per fazione – disponibili nell’offerta single player, ognuna di esse ci permetterà di affrontare le sette missioni di cui si compongono con uno stile di gioco altamente caratterizzato dal background. Scegliere la Polania significa avere a disposizione un minor numero di automacchine e quelle poche a disposizione sono realizzate partendo da scarti di mezzi agricoli, ciò a causa del fatto che è la nazione che più di tutte fonda la propria economia sull’agricoltura ed è stata, per questo, quella che ha iniziato a produrre le automacchine più tardi. Di contro avremo a disposizione una fanteria meno robusta ma più dinamica, capace di attacchi a distanza e grande velocità sia negli spostamenti che nel recupero dei punti ferita; La Saxony è praticamente agli antipodi, unità resistenti e dalla grande potenza di fuoco ci permetteranno di resistere ad attacchi nemici soverchianti dal punto di vista numerico, ma avremo qualche penalità quando sarà richiesta mobilità negli spostamenti sulla mappa. Retta da una rigida monarchia assoluta, in Europa è la nazione industrialmente più avanzata, per questo le automacchine a nostra disposizione saranno le più potenti ma anche le più costose del gioco; I Rusviet, anch’essi un regime monarchico assoluto al cui capo vi è lo Zar Nicola II (nell’universo alternativo raccontato non è mai avvenuta la rivoluzione bolscevica), un burattino nelle mani del suo consigliere Rasputin che siede nella vera sala dei bottoni, offrono un gameplay più o meno a metà strada tra le due fazioni precedenti, inclini maggiormente a usare la fanteria per scontri ravvicinati ma che non disdegnano l’utilizzo delle automacchine per “smuovere” avversari particolarmente dediti all’occupazione di postazioni fisse.

Bellissimo da vedere e ascoltare ma…

Iron Harvest sotto il profilo del gameplay è un gioco strategico che vira pesantemente sulla componente tattica, in modo molto simile a quanto visto nella saga di Company of Heroes di Relic Entertainment. Avremo a disposizione tre tipi di unità da selezionare e gestire, le automacchine, la fanteria e gli eroi, questi ultimi dotati di abilità specifiche. Tutti, attraverso il loro utilizzo, acquisiranno punti esperienza spendibili per il loro potenziamento ed è proprio la gestione delle unità nel corso della partita a diventare fondamentale per l’economia di gioco. Fondamentale è anche la gestione della mappa, in particolar modo delle coperture che essa offre, poiché tutto si regge proprio sulla dinamica “spara-riparati”. Di gestionale c’è solo la conquista di alcune zone sulla mappa in grado di aumentare le risorse che permettono a loro volta di reclutare armate migliori, non sarà richiesta la costruzione di alcun edificio, quelli utilizzabili sono già presenti ed è possibile occuparli per sfruttarli a nostro favore.

L’aspetto tecnologico viaggia invece su livelli davvero clamorosi. Non abbiamo mai visto uno strategico restituire in modo così realistico la distruzione di una struttura, pericolosissima feature poiché quando avrete abbastanza risorse da reclutare un mech la sensazione di onnipotenza potrebbe darvi alla testa. Ma non è solo la fisica a lasciare sbalorditi: i dettagli degli eroi, dei modelli delle unità, dei mezzi, gli scorci paesaggistici, insomma tutto il visibile – coadiuvato da un lavoro artistico di prim’ordine – risulta piacevole come pochi altri titoli, ben una spanna sopra la concorrenza.

Il sonoro è infine eccellente. Partiamo dalla colonna sonora che, alla luce di cotanta cinematograficità, non poteva che essere altamente epica ed evocativa, la degna cornice di un sonoro preciso nella sua complessità e di un doppiaggio davvero superlativo: degno di nota quest’ultimo punto, poiché disponibili ben due tipologie di doppiaggio, una in inglese in cui i personaggi vengono interpretati enfatizzando l’accento della propria nazione, e una “modalità nativa” in cui l’intero doppiaggio è realizzato partendo dalle lingue madri delle fazioni (quindi Russo, Tedesco e Polacco), particolarmente affascinate e necessaria, secondo il parere di chi scrive, per vivere a pieno quanto di bello il gioco ha da offrire.

Purtroppo abbiamo riscontrato un paio di piccole imperfezioni che non permettono al titolo di KING Art Games di accaparrarsi il titolo di capolavoro: innanzitutto l’intelligenza artificiale, che non è tra le più raffinate che si possano vedere in giro, è spesso aiutata da qualche tipo di script che rende più semplice e veloce il reclutamento di nuove unità da parte della CPU, almeno ai livelli più alti di difficoltà; nonostante la differenziazione così marcata delle tre fazioni, tutte condividono le stesse unità e gli stessi alberi di aggiornamento tecnologico che riducono, di molto, le possibilità di caratterizzazione delle stesse; infine il multiplayer, che a causa delle meccaniche del gioco, si riduce spesso a delle partite poco cerebrali, molto più vicine alle dinamiche proprie di uno sciame di zerg che a una guerra di trincea della Prima Guerra Mondiale, con la conseguente ripetitività che non aiuta il fattore longevità.

Concludendo…

Che dire? A noi questo Iron Harvest 1920+ è piaciuto tanto ma è innegabile la necessità di un perfezionamento in quei – pochi a dire il vero – punti che avrebbero reso necessario un lavoro più profondo, su tutti una mancata caratterizzazione degli alberi tecnologici delle tre fazioni, un multiplayer che si riduce quasi sempre a dei rush brevi e poco ragionati e un livello difficoltà alto ma poco leale.

Chiudere un occhio però vi permetterà di apprezzare uno degli universi più ispirati che il panorama videoludico contemporaneo sia capace di offrire, tratteggiato da una mano sapiente come quella di Jakub Rozalski, da sola capace di dare personalità a una narrativa che, pur non brillando di luce propria, riesce a delineare personaggi memorabili. Il doppiaggio nella “modalità nativa” aggiunge ulteriore fascino a un quadro sonoro decisamente riuscito.

Giusto per fare qualche paragone Iron Harvest non raggiunge i livelli del mai dimenticato Company of Heroes dal punto di vista della raffinatezza delle meccaniche di gioco, ma lo surclassa a mani basse sotto quello artistico.

CI PIACE
  • Artisticamente superbo e fisica sbalorditiva per uno strategico
  • Caratterizzazione dell’universo narrato di alto livello
  • Tattica senza fronzoli…
NON CI PIACE
  • …alla lunga ripetitiva, soprattutto in multiplayer
  • Intelligenza artificiale sleale
  • Si poteva fare qualcosa in più in termini di differenziazione delle fazioni
Conclusioni

Iron Harvest è un gioco tecnicamente e artisticamente superbo, immerso in un universo dieselpunk tratteggiato in modo sapiente dalla mano di Jakub Rozalski. Qualche piccolo difetto come la profondità di un’intelligenza artificiale stimolante in modo sleale o un multiplayer poco vario non gli permettono di ottenere il titolo di capolavoro. Peccato.

7.9Cyberludus.com

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Studente di "Archeologia e Culture Antiche" all'università di Salerno, passa il suo tempo interessandosi di tante, troppe cose. Nulla però è in confronto della sua passione per i videogiochi, quasi insana. Predilige il gioco su PC, il retrogaming, gli RPG e gli strategici, ma non disdegna tutto il resto, ad esclusione dei simulatori di guida che evita neanche fossero debiti.

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