Da amante dei “Grand Strategy Games” ho letteralmente amato alla follia Crusader Kings II, macinando una serie gargantuesca di ore di gioco senza mai cedere ad alcun tipo di noia. Va da sé che l’annuncio di un capitolo successivo non ha fatto altro che gettare ulteriore benzina sul fuoco della mia passione malsana per il genere, con tutte le conseguenze nefaste sulla mia già scarsa vita sociale.
Ecco che arriva, in un settembre particolarmente prolifico per gli amanti della strategia in generale, Crusader Kings III, il terzo capitolo di quello che può essere descritto come il filone più narrativo dei Grand Strategy di Paradox Interactive. Quello che abbiamo tra le mani è un titolo clamorosamente vasto, nel quale i ragazzi della compagnia di Stoccolma hanno profuso tanto la loro passione per la storia quanto la loro competenza nel settare, di volta in volta, gli standard dell’industria inerenti a questo genere specifico. Vediamo insieme se anche questa volta sono riusciti a fare centro…
La telenovela degli amanti della strategia
Rispetto ai Grand Strategy più classici (alla Europa Universalis per intenderci), la saga di Crusader Kings ha focalizzato l’intera esperienza più che sulle dinamiche di controllo\produzione\conquista – che comunque rimangono presenti e fondamentali da gestire – sull’evoluzione e il mantenimento di una dinastia che procede per linea di sangue. Non di secondaria importanza è il set in cui viene calato il gioco, un pieno Medioevo che fonda la propria stabilità economica e sociale sul feudalesimo e il vassallaggio a esso legato, andando a caratterizzare l’esperienza dinastica in modo ordinato e peculiare. Come nel capitolo precedente anche in Crusader Kings III sarà possibile iniziare a giocare vestendo i panni di uno qualsiasi dei sovrani di un qualsiasi territorio a scelta su una mappa vastissima, che va dalla punta più occidentale del Portogallo alla lontana Mongolia, dalla gelida Islanda alle giungle dei paesi sub sahariani.
Non a caso mi sono tenuto sul vago, perché i leader di ogni fazione – o sotto fazione, visto che sarà possibile scegliere di essere tanto l’Imperatore quanto un semplice signore locale – sono figure transitorie, semplici esseri umani con i loro vizi e le loro virtù, con personalità in grado di caratterizzare una parte del cammino della vostra dinastia, ma moriranno e saranno per questo sostituiti da persone nuove con altre peculiarità e inclinazioni, a loro volta in grado di donare alla partita un sapore completamente diverso. Non ci ritroveremo dunque leader unici, con i loro modificatori capaci di caratterizzare la vostra partita dall’inizio alla fine, ma una componente randomica applicata agli eredi sarà in grado di infondere varietà all’esperienza, e così prolungare a dismisura la longevità di un gioco già di per sé enorme.
Giusto per meglio esemplificare quanto appena detto, è bene riportare quanto successo in una delle nostre sessioni di gioco: è il 15 settembre 1066, vestiamo i panni del Duca Vratislav II di Boemia, titolare di un territorio piuttosto coeso, frammentato in una decina di aree rette da altrettanti vassalli a noi fedeli (sulla carta), ma stretto dalle maglie del rigido fiscalismo del Sacro Romano Impero, a cui a nostra volta dobbiamo fedeltà. La nostra prima scelta è stata quella di abbassare il più possibile le tasse per diminuire con esso il rischio di rivolte interne. I tratti del nostro sovrano sono per lo più positivi, è un sovrano giusto e una persona diligente, ma il tratto di rabbioso lo penalizza dal punto di vista diplomatico: col tempo i rapporti con la nostra rete di contatti si incrinano e, vista la nostra difficoltà nel recuperarli, si manifestano atteggiamenti e richieste ostili da parte dei nostri vassalli che, fortunatamente, non sfociano mai in ribellioni. Dal nostro matrimonio con una nobildonna croata fin troppo casta, nasce dopo tante difficoltà soltanto una figlia che, una volta raggiunta l’età giusta, decideremo di dare in sposa a colui che vorremmo come nostro successore. La scelta tra Konrad di Brno, cattolico onesto ma altamente arrogante, e Jaromir di Opava, uno scansafatiche da poco convertito all’ortodossia ma decisamente abile nell’arte della diplomazia, si risolve in favore di quest’ultimo proprio per cercare di recuperare una coesione politica ballerina. Tuttavia la scelta causa diversi malumori nella già adirata comunità di cattolici boemi che hanno visto in questo episodio il pretesto per insorgere e porre fine alla mia dinastia. Game over.
Come si può evincere da questo breve racconto, la portata della dimensione umana è sicuramente imponente, ma risulta perfettamente in equilibrio con le classiche variabili a cui siamo abituati in questo genere di giochi: importantissimo sarà il controllo del territorio sotto il profilo strategico militare, benché sia un aspetto curato in modo relativamente marginale, con scontri che si risolvono automaticamente calcolando quantità e qualità degli eserciti; necessaria sarà la gestione delle risorse, dell’approvvigionamento delle stesse attraverso industria o commercio, nonché la loro lavorazione, per far fiorire un’economia capace di fare il brutto e il cattivo tempo sotto il profilo dell’ordine pubblico; centrale, come abbiamo già detto a proposito dell’economia feudale che fa da sistema all’intera struttura, sarà il momento fiscale e la tessitura di rapporti diplomatici e politici a noi favorevoli, al fine di evitare insubordinazioni o l’organizzazione di complotti e attentati che potrebbero portare a potenziali sconfitte.
Insomma, le variabili sono davvero tantissime, tutte legate a freddi valori numerici, ma che messe in sistema danno vita a una vera e propria narrazione, quasi letteraria, delle vicende, che di volta in volta seguiranno schemi quasi sempre nuovi. Non è capitata, infatti, una riproposizione di uno stesso evento in due campagne, anche calandoci nei panni dello stesso sovrano, poiché l’alterazione anche di un singolo valore porta a scenari profondamente diversi.
Difficoltà alle stelle, tutorial alle stalle
Nel solco della tradizione del franchise, Crusader Kings III è un titolo complesso e sfaccettato, dalla profondità incredibile e dalla fortissima fedeltà storica. Per questo motivo va specificato, ancora una volta, che non è un gioco alla portata di tutti e che solo gli amanti del genere e, più in generale, i giocatori disposti a dedicare un quantitativo spropositato di ore per imparare a gestire le infinite variabili che il titolo mette a disposizione dovrebbero avvicinarcisi. Altra precisazione è la mancanza di qualsivoglia traduzione italiana e, vista la mole di menu e testi da tenere costantemente sotto controllo, potrebbe risultare una delle barriere più insormontabili per gli appassionati di strategia nostrani.
A rendere ancora più ostico l’approccio da parte dei neofiti ci pensa la pochezza del tutorial. In pratica vi fa iniziare la partita con un re irlandese e vi permette di compiere quei tre o quattro passi basilari nel mondo delle meccaniche di gioco: vi spiega l’HUD in modo generico, spiega come contrarre matrimonio, come cercare di recuperare i rapporti con un vescovo nostro vassallo, come dichiarare guerra usando un Casus Belli preciso e, infine, vi manda all’attacco del territorio nemico. Davvero troppo poco per insegnare a qualcuno la grandezza di un’opera maestosa come l’ultima fatica dei Paradox Interactive.
Dal punto di vista tecnico siamo di fronte a un lavoro eccellente per pulizia e intelligibilità, nessun grande commento sul resto poiché a livello di grafica bruta è richiesto ben poco al genere videoludico al quale appartiene. Tuttavia meritano l’attenzione i piacevoli modelli completamente tridimensionali dei personaggi, ben caratterizzati e sempre riconoscibili. Il commento sonoro abbraccia a pieno lo “spirito del tempo”, le tracce, eseguite con maestria attraverso l’uso di strumenti dell’epoca, riescono a evocare suggestioni medievali senza mai scadere nel pacchiano.
L’unico appunto in sentore di critica che si potrebbe muovere a un titolo altresì inattaccabile in ogni suo aspetto, andrebbe indirizzato a chi ha giocato fino all’altro giorno al predecessore: l’offerta di Crusader Kings II è stata progressivamente espansa dai sedici DLC usciti tra il 2012 e il 2019, risultando a oggi un’esperienza molto più ampia e complessa di quanto non sia quella di Crusader Kings III al momento, visto che non presenta dinamiche peculiari per i regni asiatici o africani (la cui gestione assomiglia momentaneamente a quella dei regni europei), non ci sono dinamiche microreligiose in grado di diversificare la gestione della fede dal punto di vista territoriale, non ci sono insomma tutta quella serie di sfaccettature che han reso la saga quella che è, ovvero uno dei giochi più acclamati dagli appassionati della grand strategy di sempre. Siamo sicuri che con il tempo arriveranno anche quelle, fino ad allora dobbiamo accontentarci “solo” di un titolo davvero eccellente.
Concludendo…
Crusader Kings III è un titolo dalla complessità mostruosa e dalla profondità incredibile, in grado di entusiasmare l’appassionato di grand strategy come pochi altri titoli. L’unico diretto concorrente alla palma del miglior esponente del genere è proprio il predecessore, che a fronte di un’offerta col tempo accresciuta a dismisura attraverso il rilascio di numerosi DLC, presenta un gameplay leggermente meno sfaccettato e ripulito del terzo capitolo. Va solo tenuto in considerazione che si tratta di un’esperienza dedicata ai palati più sopraffini, quelli dei giocatori che sono disposti, con pazienza e dedizione, a imparare a gestire le infinite variabili che vi si presenteranno davanti. Sappiate che le soddisfazioni che ne seguiranno saranno assolutamente in grado di ripagare lo sforzo, soprattutto alla luce di una longevità potenzialmente infinita.
La quantità di testo e la complessità dei menu però rende necessaria l’ottima comprensione di una delle lingue in cui il gioco è disponibile (Inglese, Francese, Tedesco, Spagnolo, Russo, Cinese e Coreano), poiché non è disponibile una traduzione in lingua italiana.