Alla produzione videoludica, che sia di alto o basso valore, è ormai da decenni associata una serie di colossi che, spaziando inizialmente nel vago e generico ambito dell’elettronica, hanno investito economicamente sul medium videoludico, il quale era considerato come un semplice passatempo durante le sue fasi primordiali. Ogni esperienza interattiva è quindi correlata a budget elevati, che sia l’ennesimo titolo FPS di una produzione seriale o un survival horror. Di quest’ultima categoria l’utenza conosce delle IP che, nonostante avessero un grande vantaggio sulla concorrenza (sia dato questo dalla nomea della casa produttrice o dalla serie stessa), non sono stati capaci di soddisfare appieno i desideri di coloro i quali avessero fatto l’acquisto del prodotto, fidandosi unicamente sul legame affettivo al brand o su un’eventuale esperienza antecedente (qualora stessimo parlando di un remake). Il caso più recente di tale “fallimento” è Resident Evil 3, capitolo di una delle saghe che più hanno contribuito allo sviluppo dei survival horror. Contemporaneamente alla crescente e costante affermazione di queste produzioni ad alto budget (non necessariamente AAA), vi è stato e vi à attualmente in corso l’avanzata delle avanguardie Indie, sviluppate da team di sviluppo piccoli ma dalle idee interessanti, seguendo la scia del popolare Resident Evil, ma tuttavia distaccandosene creando un contesto narrativo diversificato. Il caso preso in esame è l’opera indipendente Daymare 1998 sviluppata da Invader Studios, coadiuvato da Destructive Creations nel processo di pubblicazione di questa. Nel tentativo di lanciare sul mercato un prodotto simile alle controparti già esistenti nel mondo delle produzioni survival horror, il suddetto Indie ricrea un’ambientazione post-apocalittica nella quale la componente narrativa è il fulcro principale, attorno alla quale si sviluppa un gameplay non totalmente originale, ma che assume rilevanza se comparato a simili creazioni di produttori non affiancati a grandi publisher.
Le vicende di Keen Sight
Ambientata nei dintorni (e successivamente nelle profondità) di una comune cittadella, denominata Keen Sight, la narrazione di tali vicende vede come protagonisti una serie di personaggi i quali, inizialmente in maniera sconclusionata, si ritrovano coinvolti nella medesima vicenda, dapprima con le loro storie e successivamente con un intreccio di queste. Sin da subito ci viene mostrato un narratore onnisciente, di cui non si sa se e come il suo contributo sia propedeutico allo sviluppo della storia. Il suo nome è Cleaner e, come una divinità che sovrasta tutti quanti, anticipa al narratore come quello che vedremo altro non è che un disegno da lui architettato.
“Tutto quello che conta sulla scacchiera sono le mosse migliori e le azioni che intraprendi per raggiungere il risultato. Agisco nell’ombra, dove posso indebolire il pedone più debole. […] Così ho dato inizio alla fase 1”
Questa frase darà il via ad una serie di eventi in un mondo in cui il giocatore, come i personaggi che giocherà, prenderà parte come una comune pedina di un’intera scacchiera, ubbidendo ad una serie di missioni senza comprendere (parzialmente e non per intero) l’obiettivo della missione, l’utilità di questo e il motivo per il quale si debba assolvere. Sin dalle prime battute di gioco si intuisce come dietro all’opera, seppure non sia qualitativamente delle migliori, vi sia il desiderio di emergere dal mucchio, di ottenere un posto nella grande scacchiera del mercato videoludico, dominato dal vil denaro che, metaforicamente parlando, ci guida verso ciò che più desidera, come se stesse giocando per noi.
Si può dunque dire che vi siano dei messaggi metanarrativi, imitando in minima parte l’egregio lavoro che Hideo Kojima fece allora con un capitolo di una delle sue saghe di punta. In Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty, infatti, vi è un momento della storia nel quale il giocatore si rende conto di come l’insieme di tutti gli avvenimenti precedentemente affrontati altro non siano che una manipolazione (dall’alto) delle sue gesta.
Anche qui, seppure parzialmente, vi è la stessa cosa, manovrando le azioni e la percezione del videogiocatore, il quale tuttavia ottiene infine ogni risposta alle sue innumerevoli domande. Focalizzandosi parecchio sull’impronta autoriale dell’opera, ossia su ciò che più avrebbe potuto darle un valore narrativo, il team di Invader Studios ha ben ricreato un’ambientazione anni ’90, sia per quel che concerne il design del gioco che sui numerosi riferimenti all’epoca in questione. Noteremo infatti, visitando le aree secondarie delle mappe (quest’ultime non eccessive di numero, ma spesso riproposte rispecchiando la cura datagli alla narrazione) e prestando attenzione ad alcune parti di dialoghi, come vi sia una rappresentazione distopica e un’infatuazione, celata e marcata al contempo, per quel periodo storico, con richiami alla produzione cinematografica ed alla storiografia.
In Daymare: 1998 vi saranno infatti delle citazioni sportive (il famoso incontro pugilistico tra Mike Tyson e Holyfinder, avvenuto nel 1997. Celebre per il gesto irrazionale del primo pugile, infatti, sarà oggetto di discussione in una cutscene tra due personaggi), storiche (un breve accenno al 1994 e ’95, con un riferimento ai tragici eventi di Hiroshima e Nagasaki), cinematografiche (qui ve ne sono parecchi: un’insegna intitolata “D&D, Dutch and Dillon”, che si riferisce al celebre film Predator dell’87; il celebre poster “I want to belive” della serie tv americana X-Files; un cabinato arcade dedicato a “sterminator”, chiaro riferimento a Terminator) e videoludiche, con una serie di boss fight dalle meccaniche fortemente anni ’90, con un adattamento più moderno. Non mancano inoltre delle referenze al proprio team, inserendo la postazione di lavoro di Invader Studios in una delle abitazioni esplorabili con alcuni personaggi. Vi sarebbe una citazione alla filmografia appartenente al medesimo anno di ambientazione di Daymare, ma non verrà nominata a causa di spoiler, essendo questa legata all’intera trama.
Espediente narrativo
Seppure, come anticipato precedentemente, vi sia la componente narrativa onnisciente, la reale percezione degli eventi viene trasmessa ai giocatori tramite l’utilizzo di tre narratori, i quali vivono in prima persona le tragedie di un avvenimento non meglio definito. Il personaggio con il quale abbiamo le prime interazioni con l’ambiente di gioco è Liev, membro dell’Hexacore incaricato di svolgere una missione assegnatagli dall’alto. Il suo obiettivo sarà quello di recuperare un agente corrosivo, reperibile all’interno del centro di ricerca Aegis, situato presso le isole Northfall. Qui, in particolare, vi è stata una esposizione alla medesima sostanza che, secondo il ministero della difesa, altro non è che un’arma chimica dalle conseguenze irreversibili.
Liev non sarà da solo, bensì coadiuvato da altri membri dello squadrone: Crane, Sandman e Raven. Dalle sole sessioni di gameplay con Liev si capisce come l’intera storia abbia una serie di incongruenze rispetto a quello che ci è dato sapere dall’inizio, andandosi sempre più ad infittire quando un membro della sezione di Scienze Informatiche dell’Aegis affermerà con certezza che tutto questo non è causato da un semplice incidente. Il secondo dei tre personaggi giocabili è Samuel Walker, un uomo afroamericano vittima di una serie di allucinazioni, causate dalla perdita (visibile tramite una delle varie cutscene) delle proprie medicine, utili ad alleviare il malessere. Dopo essere arrivato alla propria baita alla fine di un estenuante orario di lavoro, peggiorato dalla preoccupante chiamata ricevuta dalla moglie che doveva dirgli qualcosa di estremamente importante. Al nostro personaggio spetterà una brutta sorpresa, movente dell’intera narrazione legata a quest’ultimo. Egli si farà strada attraverso i luoghi che hanno segnato la sua nascita e crescita, mosso dalla rabbia per il terribile avvenimento che lo ha direttamente coinvolto. L’ultimo personaggio giocabile è Raven, precedentemente nominato. Le sue vicende avranno luogo in contemporanea a quelle di Samuel, intercambiandosi abilmente l’una con l’altra. Il compagno di squadra di Liev, in particolare, cercherà di mettersi in contatto con i restanti membri del gruppo capeggiato dall’Hexacore, separatisi a seguito di un incidente. Seppure le vicende che riguardano quest’ultimo non abbiano un impatto emotivo, con ricadute metanarrative in ambito morale, comparabili a quelle di Walker, l’intreccio che le loro trame subiranno alla fine ha dimostrato a pieno il valore di Daymare: 1998, dimostrando come anche un Indie possa assumere il valore di un’opera interattiva AAA.
Comparto tecnico
Se il comparto narrativo si può definire ineccepibile sotto alcuni punti di vista (seppure questo non sia un dato universale bensì soggettivo), il fronte tecnico non è così degno di nota. Vi sono delle scelte di design interessanti, come il D.I.D. (Data Interchange Device), definito dal gioco stesso come “la risorsa più importante”. Tramite il suo utilizzo avremo accesso alle seguenti feature:
- Gestione di armi e consumabili
- Mappa di gioco e controllo obiettivo della missione
- Controllo dello stato di salute del personaggio
- Lettura di documenti ed altri file reperibili in gioco
Il D.I.D. avrà quindi una funzione simile all’inventario classico, all’interno del quale sarà possibile utilizzare un’altra delle meccaniche fondamentali: la combinazione di oggetti. Consente di ricaricare l’arma e di combinare tra loro sostanze, creando così una serie di combinazioni di oggetti utilizzabili e dall’effetto più duraturo. Qualora invece non si volesse aprire il D.I.D, il gioco metterà a disposizione l’uso di un quickslot rapido, nel quale potremo velocemente equipaggiare dei caricatori o consumabili, dal quantitativo limitato. Basterà infatti selezionare ciò che si desidera con l’apposito tasto (cerchio qualora fosse una cura e triangolo per le munizioni) e tenendo quest’ultimo premuto. Si faccia però attenzione ad usare le cure moderatamente, perché queste aumenteranno il valore di overdose del personaggio, il quale danneggerà quest’ultimo non appena sarà eccessivamente elevato. Vi sono infine alcune meccaniche che, seppure anche queste non siano innovative, vengono implementano audacemente e contestualmente alla componente narrativa. La prima tra queste è il sistema di hacking, con il quale il personaggio potrà accedere a sistemi di sicurezza inizialmente bloccati.
Tramite l’uso del fidato D.I.D, insieme ad uno dei tanti cavi di override ottenibili perlustrando le varie aree, si avvierà un conto alla rovescia, entro il quale sarà necessario bloccare due cursori, apparsi precedentemente a schermo, all’interno di alcuni segmenti mobili. Tale sistema presenterà tre modalità di difficoltà (facile, media, difficile), seppure una buona dose di “skill” renderà un’esperienza complicata estremamente semplificata. Qualora il contatore dovesse arrivare a zero, il cavo in uso verrà distrutto. La seconda meccanica implementata è quella dedicata alle Hexacore area. Queste, in particolare, sono zone utilizzate dall’omonima agenzia per sorvegliare segretamente la città, disseminate in tutta Keen Sight e contenenti al loro interno diversi consumabili, utili per il proseguimento dell’avventura. Tali stanze segrete saranno rintracciabili, ancora una volta, grazie all’uso del proprio D.I.D, il quale emetterà ininterrottamente un segnale di avvertimento per il giocatore.
Concludendo…
L’esperienza può ritenersi generalmente discreta, dovendo purtroppo tener conto di una componente ludica non bene approfondita. Seppure vi siano molti puzzle ambientali, con i quali ogni tanto ci si dovrà scervellare o, qualora si tratti di puzzle secondari (come ad esempio l’apertura di un armadietto bloccato con una serratura a tre cifre), immergere nella lettura dei vari documenti sparpagliati nel gioco. Quest’ultima pratica non sarà affatto noiosa, perché qualora non dovesse essere utile per il puzzle secondario, infatti, fornirà un approfondimento storico delle vicende correlate a Keen Sight, fornendo esperienze secondarie (o talvolta importanti) di persone che hanno un legame diretto o indiretto con la cittadella. La reale nota dolente del titolo è il sistema di shooting, poco approfondito e sviluppato approssimativamente. Qualora si dovesse infatti prestare attenzione al comparto audio inerente alle armi, infatti, spesso si avrà la percezione di non star sparando a zombie composti da carne ed ossa, quanto piuttosto a qualcosa di estremamente differente. Giocare col controller di Playstation 4, specialmente nella particolare fase di shooting, sarà più estenuante che divertente. Qualora invece si riuscisse, chiudendo parecchie volte un occhio, ad estrarre il contesto narrativo da quello ludico, l’esperienza fornitaci da Daymare: 1998 sarà molto buona. Non mancheranno intrighi di trama, riferimento alla cultura anni ’90 e plot twist degni di nota.