The Eyes of Ara: un’avventura… Myst-eriosa!
Quando è stata l’ultima volta che avete giocato ad un’avventura grafica vecchio stile? No, non parlo delle, seppur eccellenti, avventure “a la Telltale Games”, ma di quelle che vi portavano a riflettere anche al di fuori del gioco, che vi costringevano a piegare la vostra testa sugli scarabocchi che riportavate sul taccuino, rigorosamente a matita, nel tentativo di risolvere gli enigmi che vi si chiedeva di superare. Beh, se siete videogiocatori di vecchia data o, più semplicemente, amate le sfide cerebrali, The Eyes of Ara potrebbe rivelarsi una gradita sorpresa, un indie che prova a recuperare sia l’atmosfera che le dinamiche di un genere di giochi forse dimenticato – o mai veramente conosciuto dalle nuove generazioni – ma rimasto nel cuore degli appassionati come pochi altri.
Tecnologicamente bene ma non benissimo
Quando parlo di avventure grafiche vecchio stile l’esponente del genere a cui mi riferisco maggiormente è Myst. Il gioco di Cyan Inc. è stato una delle prime avventure punta e clicca che, sull’onda del successo dei primi sparatutto, decise di sfruttare la tecnologia HyperCard per immergere – letteralmente – il giocatore in un mondo onirico e misterioso. Per non gravare eccessivamente sull’hardware dell’epoca, il sistema sopracitato sfruttava un ambiente virtuale a caselle, i cui punti di vista erano preimpostati e statici. Ed è proprio in questo filone concettuale che il nostro The Eyes of Ara si inserisce, distanziando la propria offerta dal titolo sopracitato solo per l’abbandono della pre-renderizzazione degli ambienti, sostituiti da un motore interamente tridimensionale in grado di gestire anche il “free look”, comodissimo durante la fase esplorativa.
Ad un occhio attento e pignolo però, il motore grafico tradisce la natura low budget del titolo di 100 Stone Interactive in maniera neanche troppo velata. Non possiamo comunque fare a meno di apprezzare la pregevolezza di alcuni scorci e la funzionalità degli stessi ai fini della fruizione ludica, figli sicuramente di un sapiente lavoro artistico più che tecnologico, e in grado di fare la differenza in un mondo creativo come quello dei titoli indipendenti. Lo stesso discorso vale per la colonna sonora, poverissima in varietà e quantità di brani, ma anch’essa funzionale e sufficientemente capace di concorrere alla misteriosa atmosfera che permea il castello nel quale ci sposteremo. Proprio il classico castello che, all’imbrunire, si staglia sugli scogli di un’isola sospesa nello spazio e nel tempo – ci sono alcuni riferimenti cronologici agli anni ’90, termine probabilmente legato all’abbandono dell’edificio, ma poco o nulla ci è dato sapere sul resto, rafforzando il senso di atemporalità già profondo causato dalla sensazione di isolamento che la location isolana porta con se – tipico di un certo filone fantasy. Un’ambientazione che, nonostante l’abuso di cui è stata oggetto, rimane affascinante come poche.
Mouse, carta e matita…
L’incipit della storia è assai fumoso. Impersoneremo il tecnico di una spedizione finalizzata alla ricerca e comprensione della fonte dei misteriosi segnali radio che proprio da quel castello arrivano. Via via che procederemo per le stanze dell’edificio, la vicenda comincerà a delinearsi attraverso il ritrovamento di una serie di lettere e pagine di diario appartenuti al professor Sterling, ex proprietario del castello, scomparso improvvisamente dopo la visita di alcuni suoi parenti. A parte un leggero cambio di direzione narrativa verso la metà del gioco – dalle derive molto più sci-fi – tutto scorre senza mordente fino al finale “poco conclusivo” che ci ha lasciati un po’ con l’amaro in bocca. Ma è evidente la subalternità dell’aspetto narrativo rispetto a quello ludico.
Sì, perché dal punto di vista del gameplay il gioco funziona in modo davvero eccellente. Gli enigmi sono tanti, quasi tutti ben pensati e capaci finalmente di sfruttare la materia grigia del giocatore. Rispetto alle grandi avventure del passato, il livello di difficoltà si assesta forse su livelli leggermente più bassi, ma globalmente è più che sufficiente a far impallidire il guidatissimo gameplay delle avventure grafiche alla quale Telltale Games ci ha abituati. Inoltre non è presente alcun sistema di registrazione delle informazioni necessarie al completamento del gioco, perciò sarà necessario munirsi di carta e penna per provvedere “manualmente”. In men che non si dica vi ritroverete a scarabocchiare per poter annotare schemi, simboli, informazioni, codici e cifre, proprio come si faceva una volta. Certo, deve piacere il genere, ma vi assicuriamo che l’esperienza vale da sola i quindici euro che The Eyes of Ara richiede, davvero un costo esiguo rispetto alla qualità dell’offerta di cui è capace.
Concludendo…
The Eyes of Ara fa trasparire un coraggio di cui ultimamente è stato capace solo il mondo delle produzioni indie. Riesce, nonostante gli esigui mezzi finanziari di 100 Stone Interactive, a confezionare un prodotto notevolissimo, sufficiente dal punto di vista tecnico ma quasi miracoloso dal punto di vista ludico e creativo. Gli enigmi sono tanti e così ben fatti da nascondere le pochissime magagne del titolo – in particolare la narrazione, forse eccessivamente blanda –. C’è da sottolineare il fatto che il gioco è disponibile solamente in lingua inglese e, per ora, non ci sono notizie di un’eventuale traduzione in italiano. Se avete voglia di mettervi alla prova e avete sufficiente dimestichezza con la lingua di Albione, The Eyes of Ara è quello che fa per voi…