Gamer girls… perchè?!?

In quest’era di velocità, globalizzazione e dinamicità, dove la maggior parte della nostre vite avviene, volontariamente o meno, nel gigantesco mondo (o anche giardino zoologico, se preferite) chiamato World Wide Web noi videogiocatori, più o meno appassionati, siamo spesso inciampati nel termine “gamer girl”, espressione che indica, inequivocabilmente, quella fetta di fruitori di videogiochi di sesso femminile.

Il caso vuole che la sottoscritta sia (fino a prova contraria, almeno) appartenente sia alla categoria del gentil sesso, sia a quella dei videogiocatori, e anche un po’ confusa riguardo la sua identità in tal senso, proprio a causa di tutto ciò che vede/ascolta/legge riguardo lo spinoso argomento.

Ora, bandendo del tutto e tempestivamente l’uso della terza persona nei confronti di me stessa, cercherò di fare chiarezza su una questione oramai sconfinata nel grottesco e, purtroppo (forse meno “purtroppo” per il pubblico maschile) in una macchina del soft-porno erotico amatoriale rivolta al pubblico nerd.

Partiamo dal presupposto che, se un termine come gamer boy non viene usato, non ha senso nemmeno questo gamer girl, essendo il genere sessuale una caratteristica decisamente irrilevante per quanto riguarda l’intrattenimento videoludico. Tra l’altro, l’unico “boy” della mia vita è quel tale Game Boy a cui le mirabolanti fantasie dell’ infanzia, come quelle (certo meno entusiasmanti) della mia età adulta, devono veramente tanto. Nostalgie pixelate a parte, dopo attente riflessioni, nottate insonni, terapie psicanalitiche e ipnosi regressive fallite, sono arrivata alla conclusione, in questo 2017 Anno Domini, che della vita non ho proprio capito un’acca.

Tutta colpa delle gamer girls.

gamer girls

Una vita sprecata

Potrei essere felice, davvero. Considerando che il videogioco è oramai stato, almeno a livello di mercato (di certo non a livello culturale), sdoganato e massificato, potrei sfruttare questo fenomeno per mettermi in mostra, magari aprendomi un canale sul Tubo dedicato alle mie peripezie videoludiche, alla mia passione (?) ma, soprattutto, mostrare la mia bella faccetta imbellettata di make up al pubblico (è ovvio, oltre alle mie doti da videogiocatrice devo mostrare anche quelle da make up artist!).

Potrei collezionare gamepad di ogni console e usarli come copricapezzoli, poi farmi un bel selfie e finire nella prima pagina di ricerca di Google come rappresentante della categoria: la più sexy, vincente, emancipata delle gamer girls! Magari potrei anche osare di più e, oltre ai controller già citati, usare anche i loro cavi per farmi legare come una succulenta porchetta per delle foto veramente, ma veramente hard e trasgressive. Magari le mie foto finirebbero anche in qualche rivista online del settore e non sarei più così maledettamente anonima. Potrei scoprire che pubblicare foto dove lecco console sul mio instagram è un passatempo ben più divertente e proficuo del semplice giocarci. O magari trovare usi alternativi per le forme falliche dei joystick e scoprire che non mi serve affatto un sex shop, ma solo un GameStop! Sarebbe la coronazione del sogno di una vita, ovvero entrare a testa alta nell’immaginario erotico nerd. Altro che Lara Croft!

Potrei azzerare la mia conoscenza della grammatica italiana ed abbracciare i venti termini contati del dizionario di una Barbie Malibu, mettere nella mia lista desideri videogiochi a caso e di cui non so una mazza che però, attenzione, vanno di moda e fanno tendenza. Che importa se col pad in mano sono abile come un bradipo che fa il punto croce? Essere gamer girl è sexy, punto.

Quindi, dopo elucubrazioni mastodontiche e crisi d’identità ed esistenziali degne del giovane Werther, sono arrivata a comprendere cosa mi tiene lontana da tutto ciò che ho testé descritto: purtroppo, i videogiochi mi piacciono sul serio, ergo non posso fare a meno di questa passione, coltivarla e rispettarla come di fatto merita.

E’ per questo che io, che gamer girl non sono, ma solo una videogiocatrice qualunque, dopo le mie trenta ore di gioco filate del fine settimana ho certe occhiaie e un rossore oculare che neanche cinquanta truccatrici professioniste riuscirebbero a contenere. In pratica sono più inguardabile degli zombie e degli abomini mutati a cui do la caccia col mio fucile a pompa virtuale di turno, altro che selfie patinato. Per quanto riguarda leccare console e pad, mi spiace: i miei controller vengono percossi, stuprati e violentati a ripetizione ad ogni game over ingiusto (ed anche a quelli meno ingiusti, lo ammetto).

E’ per questo che, tornando a casa nei delicati momenti in cui sono in corso le mie maratone videoludiche, la mia dolce metà non mi trova affatto seminuda in autoreggenti (purtroppo per lui) e in improbabili pose in equilibrio a novanta gradi di fronte allo schermo, posizioni che forse riuscirei a mantenere a malapena per un secondo e mezzo prima di rotolare per terra con tutto pc, tastiera, mouse e cuffie. Piuttosto mi ritrova barricata in pantaloni larghissimi da pigiama party sfiga edition, felpe di misteriose band underground dai nomi impronunciabili e oscuri, posizionata strategicamente su un letto pieno in tutta la sua ampiezza di: cuffie, controller vari, telecomandi, guide strategiche, scorta d’acqua, biscotti al cioccolato e gatto portafortuna (non finto, sia chiaro), elemento tattico per sentirsi meno stupide mentre si parla da sole nelle fasi più concitate o riflessive della partita. Insomma, piuttosto che un’alcova dell’amore, la camera in questione è una trincea delle docce posticipate e della fame nervosa, oltre ad una sorta di Sodoma e Gomorra della tecnologia, dello “spostati subito, che sei davanti lo schermo e questa è una parte difficile” e dell’ “aspetta amore, che appena trovo il punto di salvataggio spengo” , punto di salvataggio che si presenta prontamente dopo due ore e altri quattro boss spediti all’altro mondo.

gamer girls

 

La verità delle cose

Il nocciolo della questione e che noi videogiocatrici, quelle vere, semplici appassionate, fruitrici di qualunque genere o piattaforma, non siamo tanto diverse dal pubblico gamer dei maschietti. Anche noi viviamo la competizione, la partecipazione e il coinvolgimento, o vogliamo solamente provare emozioni, che siano di semplice intrattenimento o che sia qualcosa di più profondo, in grado di sommuoverci l’anima e lasciarci un segno dentro. Il fenomeno da freak show e pseudo pornografico di queste cosidette gamer girls rappresenta solamente una piccola parte del gaming al femminile (ammesso che lo rappresenti), se così vogliamo definirlo. La deriva malata di un qualcosa che dovrebbe essere piacevole e divertente ma, come al solito, è divenuto uno dei tanti modi per mettersi in mostra sul web. Più passano gli anni, più aumenta la percentuale di giocatrici vere nel mondo, e di ciò dobbiamo solamente esserne entusiasti.

A me dispiace solamente per quelle console leccate e sbaciucchiate, le quali non vengono usate per il loro reale scopo.

Tutto quel ben di Dio sprecato, accidenti!!!

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Giocatrice tendenzialmente onnivora, nonostante la sua fede primaria rimanga il survival horror classico, avendo trovato la sua dimensione nutrendosi di pane, ansia e Silent Hill. Il suo campo di competenza è l’indie game e l’horror e perde sudore e fatica nell’analisi del lato artistico e, spesso, poetico del videogioco.

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