Ne ha fatta davvero tanta di strada Frictional Games da quel lontano 2007, anno di uscita di Penumbra: Overture. Un titolo che colpì molto gli appassionati di thriller videoludico, un videogame profondo e claustrofobico elevato da un protagonista preoccupato e allo sbaraglio, incapace di comprendere tutto ciò che gli ruotava attorno. Vista la formula vincente, il team di sviluppo ha puntato ancora sugli stessi elementi?ancora e ancora? Nel mentre, la saga Penumbra è terminata con una trilogia ed ha fatto capolino un’altra serie, Amnesia. Anche se, nel complesso, parliamo di titoli molto simili tra di loro, Frictional Games è riuscita a ritagliarsi una buona fetta di utenti – anche non appassionati del genere – ed ora torna alla ribalta con Amnesia: A Machine for Pigs, titolo che ha fatto parlare di sé soprattutto per via della scelta di affidare lo sviluppo a The Chinese Room, creatori del fortunato – ma un po’ incompreso – Dear Esther.
Il mondo dei porci
L’evoluzione di Frictional Games passa anche dal ruolo del team. Prima sviluppatori, poi sviluppatori e produttori, adesso esclusivamente produttori. L’emergente The Chinese Room ha convinto appieno, nonostante Dear Esther fosse un titolo da capire e da interpretare, adatto sicuramente ad un target d’utenza diverso e più ristretto rispetto a quello acquisito da Amnesia. Tuttavia, Amnesia: A Machine for Pigs riprende diversi elementi dell’opera prima del team di Brighton, a cominciare dai dettagli svelati pian piano, marchio di fabbrica in comune con la saga stessa. Il protagonista del racconto è Mandus, un padre alla ricerca dei suoi bambini, Edwin ed Enoch. L’inizio è ormai classico: Mandus si sveglia ed è ancora parzialmente incosciente. Pensa di vivere un sogno, o comunque non è in grado di capire. E’ nella sua lussuosa villa, una magione piena di stanze e corridoi che circonda un giardino. La notte non è delle migliori, tetra e con grandi nubi all’orizzonte. Ogni passo rimbomba nella casa disabitata, o perlomeno così si presenta. In realtà, ogni tanto qualcosa ci fa sentire meno soli: alcune volte squilla il telefono e dall’altra parte qualcuno fa capire di sapere; in altre circostanze si sentono le urla di Edwin ed Enoch? prima giocose, poi no.
Un nuovo corso
A lungo andare Mandus comincia ad intuire che strada percorrere e perché. E’ un viaggio che, a fine avventura, fatica a trovare una singola interpretazione. Per alcuni potrebbe essere una severa, macabra e disarmante avventura nel subconscio del protagonista; per altri è un viaggio in coppia. Ritroviamo similitudini con il capolavoro La fattoria degli animali di George Orwell, in un contesto molto più crudo, egoista e masochista. Amnesia: A Machine for Pigs condivide la stessa partecipazione dell’utente di Dear Esther: è impensabile di giocare l’avventura senza andare alla ricerca dei documenti e prestare attenzione ai dettagli. L’arma dell’opera The Chinese Room è racchiusa in quanto viene detto e non detto, e lo strumento per scoprire la trama è un gameplay semplice e basilare, che permette all’utente appena di saltare ed accovacciarsi. Come al solito non ci sono armi per difendersi dalle minacce e la lanterna – l’unico amico di Mandus – potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio capace di attirare attenzioni di cui si avrebbe fatto volentieri a meno. Non esiste un game over vero e proprio in quanto Mandus si risveglierà in una cella aperta dopo ogni scontro con i nemici: a dirla tutta, queste fasi sono davvero poche nel gioco e non è un fattore negativo. I titoli Frictional Games puntano da sempre a proporre thriller psicologici ad alto impatto emotivo e l’abuso di nemici tenderebbe a distruggere in parte l’atmosfera del gioco, fondata sul guardarsi attorno, paurosamente, aspettando uno script. Gli obiettivi di gioco saranno relativamente pochi: non ci sono veri e propri enigmi da risolvere – né sfruttando la fisica del gioco né l’intuito dell’utente – il che porta una certa linearità dell’avventura che, stavolta, si mostra poco ispirata.
Di punti deboli, Amnesia: A Machine for Pigs ne ha almeno un paio. Sicuramente uno di questi è il sistema di salvataggio, che gli sviluppatori hanno previsto solo con il tasto di uscita dal gioco. Questo significa che non esistono checkpoint e che un crash del sistema equivale a perdere tutti i progressi fatti dall’ultima run. Il titolo in questione è probabilmente quello più debole dal punto di vista tecnico ed artistico: non ritroviamo quegli elementi che, con grande regia, aumentavano la tensione nelle precedenti avventure oltre pochi eventi scriptati, telecamera in soggettiva poco sfruttata, nessun blur ad evidenziare la paura del protagonista ed un comparto audio che necessita della giusta atmosfera per risultare accattivante, come luci spente e cuffie. In questi frangenti sono pesanti la mano di The Chinese Room e la vicinanza a Dear Esther, non propriamente un viaggio ad alta tensione. E, così, Amnesia: A Machine for Pigs assume più le sembianze di un excursus tra i peccati dell’uomo che di un thriller psicologico, ma non è da considerarsi un punto negativo della produzione. La straziante corsa contro il tempo che spezza il fiato e le illusioni del protagonista si protrae per circa 6 ore di gameplay, ben differenziate a livello di location ed atmosfera. Il videogiocatore si muoverà perlopiù in ambiente chiuso, tra corridoi e passerelle, attraverso il sistema di capitoli che ha caratterizzato anche il primo episodio.
Concludendo…
Il binomio Frictional Games – The Chinese Room mette in campo interpretazioni videoludiche originali e discordanti, che finiscono con l’annullarsi a vicenda. I creatori di Dear Esther non li conosciamo ancora bene, ma Amnesia: A Machine for Pigs è risultato esattamente come ciò che ci aspettavamo. Un titolo lento, imprevedibile e profondo, fatto di sensazioni di gameplay e storylne. Le differenze col precedente capitolo della saga sono piuttosto evidenti dal punto di vista della sceneggiatura, e chi ha seguito tutte le opere di Frictional Games se ne accorgerà fin dalle prime ore di gioco. Mai come in questo caso il giudizio finale è soggettivo.