Detroit Become Human è un videogioco unico. Sì, perché ad oggi non esiste sul mercato un titolo che possa minimamente avvicinarsi all’ultimo lavoro di Quantic Dream, ma andiamo con ordine.
Nel corso degli ultimi 10 anni il confine tra cinema e videogioco è andato assottigliandosi sempre più. L’attuale generazione – e la precedente – hanno segnato un’importante svolta sotto questo punto di vista grazie a videogiochi caratterizzati da un preponderante comparto narrativo. In questo scenario si è inserito con superba personalità David Cage, game designer e responsabile di Quantic Dream, con i suoi giochi sperimentali. Cage afferma con decisione che il medium videoludico sia un eccellente mezzo utile a raccontare grandi storie, così ha provato a dare la sua visione artistica portando in auge il genere degli interactive drama. Questa tipologia di giochi mette (almeno sulla carta) la storia in mano al giocatore limitando però il comparto ludico a semplici QTE (Quick Time Event), oltre che alla possibilità di effettuare scelte. Le precedenti produzioni di Quantic Dream non erano certamente esenti da difetti ma sono state comunque opere sviluppate con evidente passione e amore, sentimenti egregiamente trasposti al giocatore grazie a storie sempre emozionanti e profonde. Un genere così particolare ha ovviamente diviso il pubblico, fatto sta che dopo il successo di Heavy Rain gli esponenti di questo filone sono aumentati esponenzialmente (Life is Strange e i giochi Telltale, per citare i più rappresentativi). Dopo oltre quattro anni di sviluppo l’opera ultima di Quantic Dream giunge finalmente sul mercato, in esclusiva PlayStation 4. Detroit Become Human si presenta come il titolo più ambizioso a cui il team francese abbia mai lavorato, promettendo di evolvere e migliorare la formula di gioco già vista in Heavy Rain e Beyond Two Souls, in modo da garantire un’opera con un peso più incisivo nella libertà di scelta concessa al giocatore, consentendo così di plasmare, pressoché totalmente, il corso delle vicende narrate e l’evoluzione dei protagonisti. Scopriamo insieme se David Cage è riuscito nel’impresa.
Diventare umani a Detroit
Le vicende hanno luogo, come facilmente intuibile, a Detroit durante l’anno 2038. Gli androidi fanno ormai parte della quotidianità e ad essi vengono affidati diverse professioni che prima erano prerogativa degli umani. Questa situazione ha inevitabilmente causato un aumento della disoccupazione tra il ceto medio-basso, al contrario i ricchi hanno tratto notevoli vantaggi da queste nuove frontiere del progresso tecnologico.
Appare fin da subito evidente come il contesto messo in piedi dagli sviluppatori sia più futuribile che futuristico. La Detroit rappresentata da Quantic Dream è una città che propone molteplici analogie con la società attuale, discostandosi ben poco da ciò che viviamo al giorno d’oggi. Frasi come “ci hanno rubato il lavoro!” riecheggiano costantemente nell’ultima opera di Cage, una situazione di malcontento popolare molto vicina alla realtà odierna. Questo clima di tensione porta diversi umani ad odiare e maltrattare gli androidi ed è proprio qui che succede l’imprevisto che sposta definitivamente gli equilibri: una piccola parte dei malmenati robot comincia a provare sentimenti come paura, indignazione e rabbia, ne deriverà una iniziale forma di ribellione ad opera di questi ‘devianti’, nome con cui vengono definiti gli androidi ribelli.
Un plauso va fatto alla cura per i dettagli orchestrata dal team di sviluppo, le varie aree di gioco pullulano di particolari che rendono viva l’ambientazione, dandole quel tocco aggiuntivo di coerenza e credibilità che eleva un’opera come Detroit Become Human oltre il concetto di semplice videogioco.
Nel gioco vestiremo i panni di tre diversi protagonisti androidi: Connor, definito come il “cacciatore di devianti”, poiché collaborando con la polizia, avrà il compito di impedire che la devianza dilaghi; Kara, una deviante in cerca di rifugio dopo essere fuggita dal suo padrone aguzzino portando con se la figlia del burbero umano; Markus, colui che costretto ad abbandonare il suo quieto vivere si vedrà proclamare capo della ribellione.
Tutti e tre i personaggi godono di una caratterizzazione eccezionale con una nota di merito per quanto riguarda Connor che vivrà un percorso di crescita particolarmente complesso e stratificato. Anche i personaggi secondari risultano memorabili e ben scritti, in questo caso non possiamo che menzionare il tenente Hank Henderson (interpretato ottimamente da Clancy Brown, il cattivissimo Victor Kruger di Highlander), un personaggio disfattista e sconsolato che non può che affascinare, possiamo però assicurarvi che non sarà l’unico comprimario degno di nota, ma vogliamo lasciare a voi il piacere di scoprire ed apprezzare gli altri personaggi di contorno.
La storia è generalmente ben scritta anche se è evidente che alcuni personaggi, per quanto carismatici, siano leggermente stereotipati e che alcune situazioni sappiano di già visto, a causa soprattutto del contesto narrativo che è già stato abbondantemente esplorato da cinema, letteratura e serie tv. Inoltre, in un paio di situazioni si avverte come la mancanza di scene di raccordo tra un livello e l’altro, facendo apparire alcuni capitoli come slegati dai precedenti (ad esempio: il personaggio X va dal punto A al punto B senza farci però vedere come abbia affrontato il tragitto). Chiariamo che non si tratta di veri e propri buchi di sceneggiatura ma tale carenza può scontentare il giocatore più pretenzioso.
Oltre che di un’ottima sceneggiatura Detroit Become Human si pregia di un’eccellente regia, un David Cage in stato di grazia è riuscito a confezionare un lavoro fuori dagli schemi grazie a delle riprese digitali di notevole fattura che vanno ad esaltare l’impatto emotivo delle scene.
E se poi te ne penti?
Se il comparto narrativo è fondamentalmente promosso, cosa dire invece del gameplay? Da sempre l’aspetto più criticato nei prodotti di David Cage. Sappiate fin da subito che con Detroit Become Human l’autore francese non cerca di stravolgere la struttura ludica che sostiene da anni.
Le fasi di gameplay sono composte per lo più da QTE, viene quindi richiesto al giocatore di premere col giusto tempismo determinati tasti per completare le scene d’azione. E’ certamente curioso vedere come Cage non si discosti dalla sua idea di gioco ‘poco interattivo’ e non particolarmente al passo coi tempi proponendo meccaniche di gioco fortemente radicate alla semplice filosofia del QTE. La scelta dello sviluppatore può non essere condivisibile a pieno ma non ci sentiamo di condannare più di tanto la parte strettamente ludica della più recente fatica di Quantic Dream. Il gameplay di Detroit Become Human è questo e non vuole essere altro, con tutti i pro e i contro che ne scaturiscono, che ci piaccia o no.
Nonostante l’impalcatura apparentemente limitata dai QTE, David Cage è riuscito a diversificare le fasi di gioco dei tre diversi protagonisti riuscendo a proporre sezioni quanto più diversificate possibile, grazie alle diverse abilità e caratteristiche degli androidi. Con Connor ad esempio saremo chiamati a risolvere semplici ma intriganti fasi d’investigazione raccogliendo indizi e ricostruendo virtualmente la scena del delitto.
Se le fasi d’azione non portano niente di nuovo, lo stesso non si può certo dire per quanto riguarda la possibilità concessa al giocatore di plasmare gli eventi. Detroit Become Human propone la più vasta gamma di bivi mai vista in un videogame. Ogni livello è permeato da una notevole quantità di scelte che possono influenzare l’incedere degli eventi e i rapporti tra i personaggi. Una semplice decisione, apparentemente superflua può avere ripercussioni notevoli e le azioni compiute da uno dei protagonisti possono stravolgere i destini degli altri personaggi con conseguenze più o meno rilevanti. Il bello è che ogni scelta effettuata si lega con assoluta naturalezza agli eventi che ne derivano, non stonando minimamente con l’avanzare della storia.
Per darci una panoramica sulla bontà del lavoro svolto dagli sviluppatori sotto questo punto di vista, alla fine di ogni capitolo vedremo un diagramma che evidenzia il nostro percorso e ci dà un assaggio sulla quantità dei crocevia e delle molteplici scelte morali presenti nel livello in questione.
Detroit Become Human è molto più vicino ad Heavy Rain che a Beyond: Due Anime, vista la presenza di diverse story-line che si intrecciano e personaggi che possono prematuramente morire.
Ogni volta che avvieremo il gioco troveremo ad attenderci nel menù iniziale Chloe, un’androide che ha il compito di interagire con noi e ‘osservare’ le nostre partite. Inizialmente tutto ciò potrebbe sembrare un orpello alquanto superfluo ma ben presto tale interazione si rivelerà più interessante di quanto sembri, portandoci persino a momenti di interessanti riflessioni. Un piccolo colpo di classe ordito da Quantic Dream che riesce a farci giocare ancor prima di avviare la partita.
Spiragli di Next-Gen?
A livello tecnico Detroit: Become Human raggiunge l’apice generazionale sotto diversi punti di vista. La qualità di textures e modelli poligonali è di pregevolissima fattura, alcuni scorci fanno gridare al miracolo rasentando il fotorealismo e la resa di pioggia e neve è probabilmente ad un livello mai visto fino ad oggi. Per quanto riguarda le animazioni facciali l’ultima fatica del team di sviluppo d’oltralpe riesce ad eguagliare (e probabilmente a superare) i miracoli tecnologici visti in giochi come gli ultimi due Uncharted, Hellblade: Senua’s Sacrifice e il recente God of War, tutto ciò grazie ad un eccellente lavoro di motion capture e recitazione. Il lavoro svolto è eccezionale e i personaggi riescono a comunicare le loro emozioni semplicemente grazie alla forza di uno sguardo.
Quantic Dream è riuscita a non lesinare in qualità neanche per quanto riguarda il lato artistico di Detroit Become Human, mettendoci a disposizione un design di prim’ordine. Il team si è recato nella vera di Detroit per studiarla a fondo e trasporla al meglio all’interno del gioco, riuscendoci alla perfezione. Architetture moderne si contrappongono a scenari fatiscenti creando un’interessante analogia tra il miracolo tecnologico creato dall’uomo per un’umanità che non è ancora pronta ad improvvisarsi Dio.
Il gioco, testato su PS4 Pro, garantisce un frame rate a 30 fps fissi e sfrutta le potenzialità dell’HDR proponendo un colpo d’occhio strabiliante. Non manca qualche svarione, come ad esempio alcuni modelli poligonali minori meno dettagliati e una leggera sfocatura che contraddistingue gli elementi in lontananza. Nulla di eccessivamente problematico comunque.
Chiude il cerchio di cotanta bellezza la colonna sonora: Quantic Dream si è affidata a tre diversi compositori per valorizzare al meglio i diversi protagonisti. Passerete dalle struggenti sonorità malinconiche a base di violoncello riguardanti Kara alle note più fredde ed elettroniche che caratterizzano le scene con protagonista Connor, passando per i brani ricchi di epicità che accompagnano il ribelle Markus. Anche sotto questo punto di vista, è difficile non apprezzare il risultato finale.
La telecamera è alle spalle del personaggio e presenta una sorta di libertà visiva grazie all’inquadratura che è come disancorata rispetto al protagonista, una scelta gradevole e alquanto innovativa. Ciònonostante è capitato di avere qualche problemino con la telecamera, soprattutto negli spazi stretti e in prossimità di interazioni ambientali, a causa del fatto che telecamera e interazioni vengono gestite tramite lo stesso tasto, lo stick analogico destro.
Malgrado le innumerevoli possibilità concesse al giocatore in ambito di libertà decisionale, il consiglio è quello di affrontare la prima run seguendo cuore e istinto, senza cercare di rimediare a possibili ‘errori’ ricaricando i salvataggi e rigiocando una determinata sezione.
La nostra partita è durata circa 15 ore ma se desiderate esplorare tutte le variazioni possibili la longevità può tranquillamente raddoppiare.
Concludendo…
Detroit Become Human è un perfetto esempio di videogioco d’autore. L’ultima opera di Quantic Dream è intrisa da tutto ciò che ha caratterizzato i lavori di Cage nell’ultima decade. E’ a tutti gli effetti un lavoro che non ha eguali ad oggi, un’opera che trasuda l’amore del suo creatore e che riesce a raccontare una storia forte, coinvolgente e tristemente attuale. Ci siamo ritrovati a riflettere sulla società in cui viviamo e sul senso di essere umani. Una storia di uguaglianza, libertà e crescita interiore. Crescita che ci tocca nel profondo facendoci mettere in discussione le nostre convinzioni. Un gioco che ci costringe a prendere decisioni in preda ai nostri sentimenti, alla logica e all’istinto consci comunque del fatto che probabilmente una scelta giusta o sbagliata che sia spesso non esiste.
Forse manca il pathos narrativo che caratterizza Heavy Rain, certamente è presente qualche leggerezza di sceneggiatura e il gameplay a base di QTE può infastidire ma dinanzi ad un’opera di tale spessore non possiamo certamente rimanere indifferenti, non dobbiamo.