A quasi un anno esatto di distanza dal suo più che illustre predecessore, grazie al sudore del promettente team di sviluppo Treyarch, giunge nel novembre 2008 un titolo destinato a ritagliarsi un posticino nel gotha degli sparatutto grazie al suo brand e alle interessanti novità che prova a portare alla ribalta. Stiamo parlando di Call of Duty World at War, quinto episodio della famosa serie di sparatutto in soggettiva (conosciuta con l’acronimo di Cod, ndr). Contrariamente a quanto visto in Cod 4: Modern Warfare, che ci vedeva protagonisti di una fantasiosa guerra tra Marines americani, SAS britannico contro una minaccia terroristica, in World at War torneremo alle origini di Call of Duty, tornando a calcare i bollenti campi di battaglia di quel reale e maledetto lustro che comincia nel 1940 e finisce nel 1945.
LA SOTTILE LINEA ROSSA
La campagna del giocatore singolo prevede il controllo, alternato, di due soldati: un marine americano impegnato dell’offensiva del pacifico, contro l’Impero giapponese, e un compagno sovietico, immerso nell’armata di fanteria che arriverà nel cuore di Berlino e pianterà la bandiera rossa sulla cima del palazzo del governo. Il motore grafico è lo stesso adottato per Cod 4, allestito per l’occasione per calarci nelle isole tropicali del pacifico e nelle fredde lande della madre Russia, o nelle città devastate di quello che resta del terzo Reich. Gli sforzi profusi dagli sviluppatori regalano a noi -giocatori smaliziati e veterani di mille battaglie- gli scorci più evocativi, le esplosioni più deflagranti, musiche sempre incalzanti, epiche battaglie nella giungla -dove dovremo uscire indenni dalle imboscate più mefistofeliche- e rastrellamenti “casa dopo casa” delle ultime sacche di resistenza tedesche.
Non mancheranno le occasioni in cui sfoderare le nostre eccelse qualità di cecchino, oppure una parte in cui controlleremo un mezzo corazzato che guida l’armata rossa sul fronte orientale.
Al termine del gioco, e dopo i titoli di coda, sbloccheremo un nuovo livello di gioco chiamato “Nazi Zombies”, in cui saremo chiamati a resistere all’assedio di un anonimo casolare da parte di soldati nazisti del tutto intenzionati a banchettare con le nostre armi.
IL NEMICO ALLE PORTE
Come da tradizione questo gioco prenderà a piene mani (e senza troppe riserve) citazioni da alcuni dei più famosi film sul conflitto più sanguinoso del ventesimo secolo. In un livello ambientato a Stalingrado, sembrerà di rivivere la pellicola “Il nemico alle porte”, in cui il protagonista si sveglierà tra i cadaveri dei suoi compagni, si armerà di un fucile da cecchino e proverà a freddare i crucchi in lontananza. Per evitare di essere scoperto dovrà sparare nel momento esatto in cui, sopra le teste dei malcapitati, passeranno dei rumorosissimi aerei da guerra.
Non mancheranno le citazioni neanche sul fronte del Pacifico, dove sembrerà di rivivere pellicole del calibro di “La sottile linea rossa”.
Oltre al già citato impatto grafico, che pur non portando con sé mirabilie tecniche, si attesta su livelli di assoluta eccellenza, quello che colpirà maggiormente i veterani della serie è un senso di maggiore “fisicità” degli scontri, specialmente quando affronteremo i Nippo. Questi si affideranno a tattiche di guerriglia, saranno estremamente abili a mimetizzarsi con la giungla e a sfruttare gli alberi più bassi come postazioni per cecchini. Basano, inoltre, la loro efficacia sulle imboscate al grido di “Banzaiii!!!” che più di una volta è riuscito a provocare senso di smarrimento, soprattutto unito al fatto che balzando fuori da tutti i lati si resta per qualche istante incerti sul da farsi. In questi frangenti, quelli che ci sorprenderanno alle spalle, avranno il buon costume di attaccarci con letali baionette. Capiterà che i più arditi ci volteranno, per non colpirci disonorevolmente alle spalle, ci faranno cadere per terra e ci daranno il colpo di grazia con la loro lama. In questi frangenti si attiva un frenetico “quick time event” in cui saremo chiamati a premere il tasto giusto al momento giusto, per vanificare il tentativo del nemico e per affondare nella sua gola il nostro coltello da guerra. Coinvolgimento e adrenalina oltre ogni misura!
Un altro aspetto che balzerà subito in cima all’attenzione dei più, è quello più cruento che caratterizza (purtroppo) la guerra. Non mancheranno gli eventi scriptati in cui vedremo i moderni samurai infilzare o sgozzare i nostri compagni d’armi. Nel già citato “incontro ravvicinato” con il soldato di turno vedremo in prima persona il nostro coltello affondare, come lama nel burro, nelle carni di quella che era la nostra minaccia, con tanto di rivolo di sangue a tingere il suo collo. Non è mancato neanche di vedere gli effetti di una granata sul soldato di turno, privato degli arti inferiori.
Dulcis in fundo, potremo vedere gli effetti di un potente lanciafiamme sui nostri avversari, che si accasceranno al suolo completamente carbonizzati.
Proprio il lanciafiamme è l’arma inedita che potremo trovare in Call of Duty World at War. Avrà le cosiddette “munizioni infinite” e dovremmo solo stare attenti a non farlo surriscaldare troppo. In breve: è l’arma più potente di tutto il gioco ma potremo usarla solo nei momenti decisi a priori dagli sviluppatori. L’effetto di maggior impatto, pero, è proprio quello grafico. Non si è mai visto un effetto “fuoco” più realistico di quello offerto da World at War: tecnica, grafica e sonoro, sono tutti al servizio di un’esperienza ludica divertentissima ed esaltante.
SALVATE IL SOLDATO…PETRENKO!
Un impianto tecnico rodato ed estremamente efficiente (e leggermente migliorato in qualche suo aspetto), un’estrema fedeltà alla “tradizione Call of Duty”, una fisicità più marcata negli scontri con la baionetta e l’effetto grafico del fuoco e del lanciafiamme lanciano World at War verso traguardi importanti. Ma proprio per l’essere troppo fedele alla “tradizione”, l’esperienza in single player rischia di essere un mero “giro turistico” alla scoperta dei compitini assegnati dagli sviluppatori. Sia chiaro, Call of Duty World at War è un signor gioco, ma porta con sé questioni annose. La prima, con cui ci troveremo a fare i conti, è l’eccessiva linearità dei livelli; vietato uscire dal seminato, quindi, ma obbligatorio seguire il sentiero tracciato dai creatori del gioco. Altro difetto non da poco e l’ormai poco realistico “respawn” dei nemici, che cesseranno di uscire dalle baracche o dai corridoi solo quando avanzeremo, alzando così la linea del fronte. Sebbene sia un modo per garantire un’azione sempre ai massimi livelli, sicuramente non farà la felicità di tutti quelli che cercano quel tocco di realismo in più che non fa di certo male.
Un aspetto su cui focalizzare l’attenzione in futuro è quello dell’intelligenza artificiale; i nemici, a volte, sono fin troppo esitanti davanti al nostro fucile. Questo ci ha permesso più di una volta di prendere, con estrema lentezza, la mira perfetta e per poter realizzare un preciso colpo alla testa. Altro aneddoto paradossale è quello che vede un nostro alleato e un giapponese trovare copertura dietro la stessa cassa, si alzavano in piedi e si puntavano il fucile restando lì, esitanti, a guardarsi attraverso il mirino.
Se l’esperienza di gioco si limitasse alla campagna del giocatore singolo, sicuramente avremmo parlato di un titolo validissimo ma sicuramente non eccelso. Fortunatamente World at War può godere di una delle più belle modalità multiplayer che un giocatore possa sperimentare. Avremo infatti la possibilità di affrontare la campagna di gioco per un totale di quattro partecipanti. Sul lato puramente “online”, inoltre, ereditare ogni cosa dal suo predecessore non è stato affatto male. Prima di ogni cosa, potremo agire in arene di gioco, forse tra le più grandi mai viste fino ad ora.
Ritroveremo l’ormai famoso sistema dei “perk”, che sono delle abilità speciali che sbloccheremo distinguendoci sul campo di battaglia. E’ sempre confermato l’avanzamento di livello, come se fossimo in un gioco di ruolo: ad ogni uccisione che arrecheremo, guadagneremo un ammontare di punti esperienza, questi saranno accumulati ad altri alla fine di ogni sessione di gioco e, dopo un certo limite, garantiranno un passaggio di livello. Questo comporta tante piccole aggiunte, quali inventarsi una classe di combattimento, portare con sé armi di supporto (come granate particolarmente efficienti), godere di maggior precisione o di maggior danno in combattimento, o di poter creare un battaglione di cui saremo il fondatore e il leader.
Ma le novità non si fermano qui: sono state aggiunte delle nuove modalità di scontro. Oltre alle ataviche modalità Deathmatch, Team Deathmatch e Cattura bandiera, e la modalità “Cerca e distruggi” (inaugurata da Cod 4), troveremo le modalità: “Guerra”, dove dovremo impossessarci di punti strategici e mantenerne il controllo; “Sabotaggio”, in cui dovremo impossessarci di una bomba e piazzarla nella base del nemico; “Dominio”, che vedrà le squadre battersi per il controllo di tre bandiere che giacciono nell’arena; “Quartier generale”, infine, prevede che una squadra conquisti e controlli per un minuto una costruzione. Se riesce nell’intento non avrà più il “respawn”. Vince chi riesce a controllare più quartier generali.
Concludendo…
Call of Duty World at War è uno sparatutto che fa della fedeltà ai suoi predecessori il suo punto di forza, ma anche il suo principale punto di debolezza. L’appellativo de “Il solito Call of Duty” è mitigato da piccole scelte e altrettanto piccole innovazioni; scene cruente, presenza del lanciafiamme e relativo effetto del fuoco ricreato a regola d’arte. La campagna principale si finisce in breve tempo, ma è sul versante multiplayer che World at War mostra i muscoli. Le modalità di gioco sono numerose, singolari, sempre e comunque avvincenti. Le partite sono stabili, prive di rallentamenti e l’unico problema sarà quello di allenarsi per stare al passo con avversari umani agguerritissimi.
Se cercate un gioco ben fatto, con eccellente fedeltà storica, ambientato nella seconda guerra mondiale, che vi faccia sentire come protagonisti di un epico film, avete trovato il gioco che fa per voi. Tutti gli altri prendano in considerazione l’idea che di sparatutto altrettanto validi, nel mercato, ce ne sono estremamente pochi.
Antonio ” Aurenar “Patti