Parlare di Diablo è materia complicata. Innanzitutto, perché il capolavoro targato Blizzard è una pietra miliare del comparto videoludico tutto: non solo a livello prettamente meccanico ma anche e sopratutto per questioni “immaginifiche”. Probabilmente, la complessiva ambientazione e il “mito” narrato nella decennale saga diablesca, sono fra le più riuscite della storia dei videogames. Sicuramente, non tutto è originale (c’è tanto preso in prestito dalla letteratura gotica dell’Ottocento oltre che svariati “canoni” narrativi ed espressivi “rubacchiati” dalla filmografia horror nord-americana ed europea degli anni ‘80). Ma l’originalità assoluta non è l’unico metodo (tra l’altro, quasi impossibile da raggiungere oggigiorno) per creare un prodotto degno di questo nome: Diablo, in questo senso, è uno dei climax dell’industria, sia a livello “argomentativo”, sia a livello più squisitamente “costruttivo”. C’è un prima ed un dopo Diablo, così come c’è un prima e un dopo Wolfenstein 3D. Ed è per questo che, dopo l’agghiacciante Diablo Immor(t)al che, ad onor della cronaca, resta probabilmente il miglior gioco attualmente disponibile su mobile (non che ci voglia molto in quella selva di codici computazionali messi su per rubar dati e soldi), i fan più “anziani” della saga hanno tremato pensando al futuro. Perché Diablo IV lo aspettiamo da quasi due lustri. Ma anche e soprattutto perché la svolta mmorpg del titolo Blizzard, potrebbe essere sulla carta croce e delizia. La naturale sublimazione di un brand o la sua definitiva sepoltura.
Che la saga fosse adattissima a divenire un mondo persistente stile World of Warcraft, nessuno lo mette in dubbio. Che Blizzard fosse in grado di imbastire mmorpg durevoli, non v’è dubbio. Ma, d’altro canto, Diablo Immor(t)al è ancora freschissimo, così come gli immensi fiumi di soldi che esso ha generato con metodi, per un giocatore più navigato, “discutibili”. Tre “condizioni” che non possono esser, concettualmente, escluse a priori ne’, tanto meno, considerante auto-escludenti individualmente. Anche perché, seppur adesso sia numericamente in affanno, per mesi Immor(t)al è stato un sicuro successo di introiti ed interazione. E, seppur titolo mobile, esso era però in larga misura giocato su PC rendendolo, ai miei occhi, un capitolo “vero e proprio” della saga. Le nuove generazioni sembrano tendenzialmente propense nel chiudere un occhio su eventuali meccaniche discutibili a patto che il gioco sia totalmente gratuito, fattore determinante per il successo di tantissimi titoli mobile (che sempre più sbarcano sulle piattaforme ludiche “vere”). Cosa che, la “cecità”, a noi “cariatidi” del gaming non riesce tanto bene (forse perché veniamo da un passato “d’oro” irripetibile? Metto il punto interrogativo, così evitiamo presunte accuse di nostalgia). Dubbi e contro-dubbi che ci attanagliano ad una ventina di giorni dal lancio ufficiale del gioco e nonostante le mille rassicurazioni provenute dagli sviluppatori (che bastano sino ad un certo punto, visto che di rassicurazioni ne erano state date anche su Diablo Immortal). Ma bando ad un cianciare non sempre dall’integerrimo filo logico, passiamo a parlare della recente beta conclusasi: com’è andata?
Un server stress… senza stress: uno sguardo al passato
In tutta sincerità, ci sarebbe da fare una standing ovation a Blizzard. Per la correttezza concettuale nell’aver fatto provare il gioco, seppur in una sua piccolissima porzione. Una usanza ormai smarritasi del tutto, vista la tendenza ormai accertata di lanciare giochi in stati tecnici manchevoli e auto-distruttivi (e Redfall ne è un esempio). Tendenza, poi, quasi sempre accompagnata da una logica shit-storm, parto altrettanto matematico di una utenza incazzata (non sempre, però, con tutte le ragioni del mondo. Come nel caso di Redfall). Un applauso lungo e duro anche per le prestazioni tecniche generali: ricordo un po’ di fila nelle primissime ore della beta di marzo. Poi, attese da meno di un minuto. Così come accaduto durante il “Server Stress”: all’inizio un po’ di attesa, poi più nulla in assoluto e si è giocato in modo, praticamente, normale. Ma la standing ovation non è solo una questione di performance: tra la prima e la seconda fase, è intercorso più di un mese. Tempo in cui Blizzard non è stata a guardare: infatti, durante la prima fase di beta, sono state diverse le “incongruenze” concettuali sorte. Più che altro, a livello di bilanciamento e di vocazioni delle classi, tra personaggi esplosivi letteralmente (come il necro) ed altri incredibilmente farraginosi e lenti (come il barbaro). Problematiche che sono state riversate dall’utenza (in realtà, in modo tendenzialmente costruttivo e senza “flame” terribili) e che gli sviluppatori hanno colto in celerità. Tant’è che, nella seconda fase di test appena conclusasi, qualche azione di equilibratura è di già stata presa (seppur, anch’essa perfettibile). Dunque, se dovessimo dare un giudizio complessivo su Diablo o quel poco che si è visto e sul “comportamento” di Blizzard, esso sarebbe quasi integralmente positivo. E potremmo, effettivamente, riassumerlo con una certezza: gli sviluppatori hanno ben compreso che, dopo la parentesi “cartoon” di Diablo 3 e Immortal, fosse necessario far riacquisire al brand la sua natura artistica, vera, brutale e oscura.
Quella, per intenderci, che ha reso il secondo capitolo della saga un’opera videoludica indimenticabile e, per certi versi, difficilmente superabile. Parliamo di Diablo 2, l’apice della saga e, probabilmente, l’acuto massimo il cui eco ancora risuona nel settore ruolistico. Per meccaniche, per design artistico, per brutalità, per completezza. E Diablo IV sembra di base, aver ereditato quell’atmosfera brutale, per certi versi più matura: non è solo orrore e violenza, ma anche un profondo senso di disperazione e di umana vetustà. Che si evince e trasuda a partire dalle divinità: Lilith stessa, in realtà, pare esser più una creatura “naturalmente” oscura, piuttosto che un’entità “consumata” dal male. E persino l’angelico Inarius, sembra essere un tentativo desueto di umanizzare la divinità, anch’essa soggetta ai “moti” che devastano e perturbano l’uomo, nel profondo. Dunque, atmosfericamente parlando, Diablo IV sembra il giusto “to be continued…” di Diablo 2, seppur ancora tanto debba mostrarsi. Le meccaniche sembrano, invece, aver ereditato qualcosa sia dal secondo che del terzo capitolo: zero cascate di loot (almeno, nell’ultima beta è parso questo l’andazzo), gameplay lento e più ragionato, posizione che vale più dello spam meccanizzato di una build corretta. In sostanza, il quarto capitolo della saga pare esser, a tutti gli effetti, una scelta “scientifica”: Blizzard, presumibilmente, ha accorpato concettualmente quanto sin qui apprezzato dai fan nei vari capitoli del gioco, fondendoli in un unico “soggetto autonomo”. Naturalmente, per l’essenza stessa di un Diablo, sarà effettivamente impossibile evitare, a lungo, i limiti intrinseci di un genere sostanzialmente basato su quanto si sia fortunati nell’ottenere bottino potente dai nemici sconfitti. In sostanza, gli elementi sembrano esserci tutti affinché Diablo IV possa essere il capitolo definitivo della saga, inteso come base “intellettuale” di un futuro sviluppo fatto di add-on a pagamento (un po’ come, da anni, funge per World of Warcraft). Sarà, dunque, il Diablo che “terminerà” gli altri Diablo (persino quelli futuri)?
Luci e ombre, speranze e dubbi
Partendo dalla precedente domanda, è bene sottolineare come, in concreto, le due fasi di test del gioco Blizzard hanno funto unicamente da saporito “antipastino”. Perché, nell’economia complessiva di un Diablo, 20/25 livelli non sono nulla e mostrano solo una sbiadita anticipazione di quello che, congiuntamente, è “l’inizio”. Perchè, com’è da tradizione, v’è una linea narrativa che conduce sempre al vero “inferno”, ovvero l’endgame, fatto spesso di attività correlate ma alternative o reinterpretate. Se nei precedenti paragrafi ho espresso, sentitamente, quello che per me appare essere un capitolo con tantissime frecce “luminose” al suo arco, esse prima o poi terminano e, nella faretra, resta sempre una indissolubile porzione di “buio”. Dubbi, mie cari dubbi: e ve ne sono diversi, più di prospettiva che concreti. Partiamo da ciò che ha caratterizzato Diablo Immortal: ovvero, lo spettro di un PvP completamente genuflesso alle carte di credito. Perché, nonostante qualche miglioria qui e lì, il capitolo mobile di Diablo resta, lato competitivo, ancora un buco nero eterno in cui infilare somme al limite dell’umano. E nonostante gli sviluppatori di Diablo IV si siano affrettati sin da subito a sottolineare (proprio per staccarsi da Immortal?) quanto il loro prodotto non fornisse assolutamente potenza al costo di moneta reale, i dubbi sono difficili da far tacere. Io, personalmente, voglio crederci: ma un’anticchia di ombra, anche in piena luce, resta sempre.
Del capitolo mobile di Diablo, andrebbe anche dimenticato l’incedere serrato e “lavoristico”, fondato su di una miriade di attività da concludere in tempi specifici onde evitare di “perdere il passo” rispetto ad altri (spesso, meritevoli d’aver carte di credito più generose). Un vero e proprio impiego a tutti gli effetti e che, in teoria, consterebbe di ore e ore di “lavoro” giornaliero. Ma Immortal non è solo un “parente” per cui provar “vergogna”. Il capitolo mobile della saga Blizzard ha dei meriti, tra le altre cose. Ad esempio, ho trovato interessantissime le modalità ibride PvP/PvE come Tesoreria, le recentissime Torri e anche la stessa complessiva impostazione narrativo-meccanica dell’avvicendarsi di Ombre e Immortali. Persino la vituperatissima Brigata, una sorta di “clan instaziato” con delle attività specifiche e “private”, potrebbe essere una fattiva “way to go” per rendere i clan su Diablo IV più di un semplice elenco di persone che giocano assieme. Dunque, ciò che a mio avviso urge sin da subito, è un maggiore focus sulle attività di gruppo e organizzate (d’altronde, Diablo IV è un mmorpg e non più un “semplice” gioco di ruolo cooperativo). Dunque, perché non provare, così come si è fatto in modo intelligente in Immortal, a mescolare le carte? Mescolarle, però, in modo coerente: ciò che vorrei in Diablo IV è un gioco che induca ad una ragionata cooperazione (così come, ad esempio, accadeva nell’irraggiungibile Guild Wars) e ad un’altrettanta solida e “meta-reale” socialità (come, altro esempio, accadeva e accade ancor oggi su Ultima Online). Dunque, non solo socialità di servizio (“Ci servono tre persone per fare il dungeon”) ma più votata ad una essenza costruttiva (“Ci servono tre giocatori con cui crescere”).
Finale triste, finale allegro, finale eterno
Mi aspetto tanto, seppur io abbia intimamente imparato a non attender più nulla: Diablo IV è ormai in dirittura d’arrivo e le sue porte sono ormai socchiuse. L’avventura, per i tantissimi fan del gioco, è ormai quasi iniziata: il limbo attuale, addolcito dalle fasi di beta, è più sogno che incubo. C’è la voglia di tornare a sfidare l’oscurità e la brutalità delle aberrazioni demoniache apparse durante i test. C’è la speranza di un futuro radioso, dopo la debacle e mezzo di Immortal. C’è la certezza che si sia all’albeggiare di qualcosa di grandioso, seppur, prima del sorgere del sole, vi sia buio pesto e “paura”. Sogni e timori danzano attorno un fuoco fatuo tremolante e che irradia luce a tratti e che a tratti si spegne, lasciandoci in balia delle ombre: c’è tanto da attendersi ma tanto da perdere, al contempo. Non ci resta, dunque, che sedersi e aspettare (faticosamente) i pochi giorni che ci separano da Diablo IV, sperando che le impressioni a pelle divengano veritiere e positive certezze e non la faccia sorridente di un “inganno”. Ma, personalmente, tendo più verso la prima che la seconda, nonostante la mia irremovibile disillusione. Ed è già un buon segnale.