La storia ci ha insegnato che non è cosa semplice “scalzare” un re dal suo trono: molto spesso, nonostante intrighi politici, veri e propri combattimenti, intricate questioni sociali, gli imperi hanno resistito alle “intemperie”. Un parallelo enorme per giungere a parlare di qualcosa di molto più “piccolo”: Wild Hearts, titolo sviluppato da Koei Tecmo (autore di Dinasty Warriors e Toukiden, fra gli altri), è giunto negli scorsi giorni sui nostri scaffali virtuali, con un proposito complicato, ovvero imporsi nel campo degli hunting game. Un contesto difficile, dominato dall’irraggiungibile Monster Hunter, fondatore e pietra miliare di un segmento ludico che, specialmente negli ultimi anni, si è sempre più allargato. Ma, nonostante ciò, l’area semantico-ludica è rimasta, sostanzialmente, invariata da circa vent’anni: v’è un unico rappresentante, Monster Hunter, e non c’è “trippa per fatti”.
Almeno, sino all’uscita appunto del protagonista della odierna recensione, Wild Hearts, in questa sede analizzato in versione Xbox Series X: riuscirà il gioco a dire la sua o, addirittura, a scalzare il re dal trono?
Scopriamolo assieme!
Grandi demoni, grandi cacciatori
Wild Hearts è un gioco d’azione in terza persona che mescola al suo interno diverse caratteristiche ludiche di stampo ruolistico, oltre che poggiare su meccaniche di combattimento volutamente “lente” e pesanti. Come ogni videoludo che si rispetti, il titolo offrirà una struttura ludica piuttosto solida incorniciata da una trama non particolarmente elaborata nei “fatti” narrati, ma sufficientemente interessante. Nel gioco, impersoneremo un imprecisato cacciatore, che suo malgrado si trova invischiato nella lotta per la sopravvivenza della stirpe umana in atto ad Azuma, terra immaginaria visibilmente ispirata al Giappone feudale. Ma qual è la minaccia? Ovviamente enormi e agguerriti mostri, chiamati Kemono, che, come anticipato, sciamano le lande post-apocalittiche in cui è ambientato il gioco, devastando ed uccidendo. La linea narrativa, che si evolverà attraverso un continuum di cacce fondamentali per evitare la distruzione della principale cittadina della regione, Minato, ci porterà a dialogare con diversi personaggi, quasi tutti piuttosto “sottili” e sostanzialmente fondati sui classici archetipi della tradizione nipponica, addirittura destreggiandoci, ogni tanto, con risposte multiple (che, però, ci porteranno sempre alla stessa “rigida” conclusione). Nonostante ciò, non si può non sottolineare il buon lavoro di traslazione culturale operato: il titolo è intriso di quella classica “melancolia esistenziale” che contraddistingue la cultura nipponica. L’abbattimento di un mostro è visto più come un triste dovere che una vittoria gioiosa sulle avversità: ad esempio, ad ogni Kemono in fin di vita lanceremo un colpo finale, scusandoci del gesto. Un colpo di classe, assieme a tanti altri (come i resti di una guerra sparsi un po’ dovunque oppure interi villaggi abbandonati e devastati dalla furia dei combattimenti), che ispessiscono notevolmente l’atmosfera del gioco.
Ma si sa, l’esperienza di un gioco “monsterhunterlike” è, naturalmente, incentrata sulla caccia. E se la struttura di gioco è molto simile a quella di Monster Hunter (ovvero, seguiremo una linea narrativa, in questo frangente più marcata del titolo Capcom) che man mano ci porterà ad affrontare nemici via via più potenti, il combattimento in sé offre alcune personali trovate che donano a Wild Hearts una certa originalità. Il sistema di combattimento, nel concreto, parte da una base simile a Monster Hunter, quindi fondato su di un sistema di movimento “rigido” specialmente per quanto concerne gli attacchi e le combo (che non sarà possibile interrompere una volta avviate). Tutto, com’è tradizione, sarà governato dalla stamina, che ci consentirà di correre, schivare e utilizzare al meglio i nostri strumenti di morte. In Wild Hearts avremo una decina di armi fra cui scegliere, alcune disponibili da subito, altre sbloccabili successivamente. In generale, ognuna d’esse offrirà una strategia d’attacco differente e con essa uno stile di gioco differente: la katana, ad esempio, sarà piuttosto veloce e ci consentirà un mordi e fuggi continuo, mentre il nodachi (uno spadone) ed il martello, sopperiranno alla loro proverbiale lentezza con danni notevoli.
Vi saranno anche armi a distanza, come l’arco ed un cannone, e altre speciali, come il fenomenale bastone karakuri in grado di mutar forma e tipo di attacco continuamente o il “volante” Claw Blade, in grado, letteralmente, di farci “svolazzare” attorno i nemici. Una buona varietà, integrata da una certa semplicità di utilizzo (ogni arma avrà poche combo/meccaniche da memorizzare) minata però da un certo sbilanciamento: la katana, ad esempio, sarà probabilmente l’arma più performante nell’ottica danni inferti/mobilità, mentre altre soluzioni saranno più complicate meccanicamente e meno performanti (come ad esempio il particolarissimo wagasa, sorta di ombrello con lame, oppure lo stesso bastone karakuri che sarà molto complicato da usare pienamente in battaglia). Ad aiutarci in battaglia ci sarà un piccolo pseudo-robot, chiamato Tsukumo, che farà danno, distrarrà i nemici e, addirittura, ci curerà (di poco). Il nostro fido compagno potrà esser potenziato con la raccolta di altri tsukumo-collezionabili che troveremo esplorando la mappa: man mano che aumenterà di livello, il nostro sferico amico potenzierà la sua efficacia generale in battaglia oltre che aumentare il quantitativo massimo di filo per karakuri trasportabile. Naturalmente, anche in Wild Hearts così come accade in Monster Hunter, l’esplorazione avrà un peso cruciale nell’economia ludica del titolo: vi saranno vari biomi differenti e, con essi, tutta una sequela di risorse e materie prime diverse ricavabili. Ognuna d’esse servirà per la costruzione di armi ed armature differenti, le quali avranno skill univoche, resistenze e debolezze elementali specifiche.
Un po’ magia, un po’ hi-tech
Ma cosa sono i karakuri? È presto detto! Un po’ hi-tech, un po’ magia, i karakuri sono dei costrutti che potremo evocare durante il gioco e saranno fondamentali per l’abbattimento dei nemici. Essi forniranno un ineguagliabile supporto in battaglia: avremo dei karakuri in grado di creare dei muri resistenti, altri in grado di curarci o di creare martelli giganti o fuochi d’artificio utili a confondere i nemici. Potremo “evocare” i karakuri accedendo ad un menù rapido attivabile con una combinazione di tasti: in generale, disporremo di alcuni karakuri basici e, combinandoli in varie forme, riusciremo ad evocarne altri di più complessi e potenti. Oltre ai karakuri da battaglia, avremo anche utilissimi costrutti “alternativi” da poter piazzare in giro per la mappa. Ad esempio, potremo creare una tenda che fungerà da teleport, oppure una comoda torre karakuri in grado di “scovare” dove sono posizionati i nemici.
La costruzione di questi karakuri “alternativi” sarà limitata dallo sblocco dei dragon pit, sorta di “stazioni magiche” che dovremo attivare e potenziare in giro per la mappa. I karakuri aggiungeranno una dimensione suggestiva ai combattimenti, modificando la strategia d’approccio semplicemente al continuo spam delle combo legate alla nostra arma. Nonostante ciò, il sistema dei karakuri, in modo particolare quelli legati al combattimeno, è ancora lontano dalla perfezione: sarà piuttosto facile sbagliare combinazione durante le fasi più concitate della battaglia, anche perché l’evocazione dei karakuri avverrà nella direzione in cui il nostro personaggio punta e, dunque, un leggero spostamento in qualsiasi direzione renderà vane le “evocazioni” precedenti. Considerata la complessità evocativa di alcune trappole (alcune richiederanno, ad esempio, due fila di karakuri evocati vicini), basterà in sostanza una superficie d’appoggio un po’ più irregolare oppure l’attacco non visto di una bestiola “minore” (cosa che accade abbastanza spesso), per spostarci quel tanto che basta da far fallire l’evocazione. Se si considera che, per poter evocare karakuri, avremo necessità di accumulare delle risorse limitate sparse sulla mappa e che, spesso, esse non saranno sempre disponibili in enormi quantità nelle aree di combattimento, ciò inevitabilmente porta ad occasionali e potentissimi “anatemi” di frustrazione. Un altro fattore da tenere in considerazione, sarà il livello di sfida dei combattimenti: mediamente piuttosto alto, esso sarà ulteriormente acuito da una serie di problematiche ad esso connesso, come una telecamera piuttosto ballerina e la sensazione che alcune arene prescelte per il combattimento siano probabilmente troppo ristrette per ospitare alcuni kemono (come, ad esempio il King Tusk, un “mega-cinghiale” che tenderà facilmente ad incastrarsi nello scenario o ad “arrampicarsi” sugli oggetti). O, al contempo, mal contemplate per alcune armi, come nel caso della “svolazzante” Claw Blade, che farà spesso “incastrare” la visuale in alberi o edifici data l’altissima mobilità aerea.
Per quanto concerne il macro-funzionamento del gioco, come già anticipato, il “fluire” del titolo Electronic Arts è piuttosto classico e legato alla tradizione inaugurata decadi fa da Monster Hunter: affronteremo missioni di caccia che avranno come protagonisti giganteschi kemono, ottenendo da essi materiali preziosi con cui fabbricare del nuovo equipaggiamento. Ogni Kemono avrà specifiche caratteristiche, debolezze e resistenze particolari che, com’è tradizione, ci indurranno ad uno studio basilare sulla scelta dell’equipaggiamento generale da indossare. L’uccisione delle titaniche bestie ci consentirà di ottenere non solo materiali di alto valore, ma anche punti kemono che serviranno a sbloccare nuovi karakuri o potenziare quelli di già accessibili. In generale, design artistico e concettuale dei Kemono sono sicuramente di alto livello, anche se v’è una certa “ridondanza” dei pattern d’attacco dei vari titani (ad esempio, tutti o quasi avranno una sorta di “carica di sfondamento” oppure dei fendenti a 360° ripetuti due volte). Il gioco ci svelerà molto velocemente una mappa piuttosto vasta, le cui aree potranno esser sbloccate man mano che si progredirà con la linea narrativa principale. Tutte le aree avranno differenti biomi con altrettanti differenti risorse ottenibili e mostri “iconici” che li rappresenteranno (seppur sarà possibile assistere ad una certa “migrazione” dei kemono in tutte le aree). Aree che, al contempo, sono tutte piuttosto intricate e ben congegnate a livello stilistico e strutturale, con diversi “segreti” nascosti e oggetti collezionabili secondari che avranno differenti funzioni. Strutturalmente parlando, Wild Hearts offrirà missioni principali e secondarie che, però, saranno sempre sostanzialmente legate all’abbattimento di un singolo o più avversari: una ripetitività canonica per il settore che il titolo Koei Tecmo non riesce ad evitare nemmeno “esteticamente”.
Conclusa la trama principale, il gioco ci farà accedere a cacce più “complicate”, aventi protagonisti gli stessi, caratteristici avversari ma in forma più coriacea ed aggressiva, al fine di ottenere materiali preziosi e speciali utili per creare il top dell’equipaggiamento. Com’è tradizione, avremo a disposizione un hub principale, la meravigliosa (ma forse un po’ troppo tentacolare e vasta) città di Minato, che ci consentirà di accedere a tutta una serie di servizi, missioni e dialoghi con personaggi secondari in grado di farci “respirare” l’aria da “tenue post-apocalisse” che il titolo emana. Naturalmente, vi sarà la possibilità anche di affrontare le missioni più complicate in cooperativo online, per un massimo di tre persone, tramite degli appositi portali “casuali” sparsi sulla mappa, oppure selezionando l’opzione “Join Session” direttamente dalla mappa di gioco. Una “benedizione” per il gameplay, che attenua almeno parzialmente la sua genetica ripetitività e renderà la sfida più strategica.
Tecniche di combattimento
Wild Hearts offre dunque una struttura di gioco solida seppur non particolarmente variegata e originale al momento, con qualche spunto creativo di rilievo nelle meccaniche. Ma, allo stato attuale, il vero e proprio tallone “da killer” (sia sempre lodata la Gialappa’s), è il comparto tecnico del gioco. Un comparto artisticamente pregevole e ispirato, ma limitata da tutta una serie di evidenti spigoli (seppur siano in via di risoluzione). A cominciare dalla questione più cruciale, quella della fluidità: il frame rate generale di Wild Hearts sarà piuttosto instabile, sia durante i combattimenti, sia durante le fasi esplorative (persino in città!). Nonostante il gioco dia la possibilità di scegliere tra una modalità performance ed una qualità su Xbox Series X, la prima sarà l’unica realmente giocabile al momento, nonostante anch’essa sia piuttosto singhiozzante. Se dovessimo optare per un aumento della qualità grafica, la fluidità generale del gioco (teoricamente ancora ai “vetusti” 30 fotogrammi al secondo) scenderà spesso e volentieri ben al di sotto del “limite ideale”, rendendo la complessiva esperienza difficile da digerire. Wild Hearts, comunque vada, resta un gioco affascinante da un punto di vista estetico e di design artistico, con una enorme cura profusa dagli sviluppatori nel rendere Azuma più vicina possibile al leggendario Giappone Feudale narrato nelle “favole” e nei manga. Nonostante ciò, anche in questo frangente, emerge qualche neo evidente ed una certa altalenanza di pregi (come ad esempio la complessiva realizzazione dei modelli poligonali dei personaggi, delle armatura e delle armi) e difetti (come texture ambientali sottotono, pop-up di oggetti, muri invisibili a iosa che vengono puntualmente “attraversati” dai colpi dei kemono ecc.).
Concludendo…
Wild Hearts riesce a spodestare Monster Hunter dal suo trono? La risposta è no, ma il confronto di base è comunque impari concettualmente. Ciò nonostante, Wild Hearts è un ottimo primo capitolo di una ipotetica saga: la struttura di gioco è solida seppur al momento falcidiata da una certa ripetitività, il sistema di combattimento è più che valido e con spunti di originalità (che vanno però meglio sviluppati) e, in generale, anche una certa cura nel creare una sceneggiatura con una (piuttosto semplice) coerenza di fondo. Limiti che si aggiungono ai margini tecnici di cui abbiamo parlato: Wild Hearts è un gioco sicuramente pregevole tecnicamente ma che soffre di tutta una serie di problematiche che ne minano la resa finale. Resto un buon inizio e, già da adesso, una buona alternativa a Monster Hunter.