Chi di voi ha qualche primavera in più sulle spalle ricorderà certamente quel grande titolo che risponde al nome di Shantae, per il Game Boy Color, un tripudio di colori e animazioni che convinse completamente la critica del tempo, elevandolo a paradigma per quel che concerne le meccaniche di gioco di piattaforme su console portatili. Purtroppo questo non si tradusse in un successo anche commerciale, ma tanto bastò per iniziare a sviluppare una saga potenzialmente vincente su tutti i fronti, creando un solco in cui ancora oggi è possibile individuare la stessa verve del titolo del 2002. Ben diciotto anni dopo arriva Shantae and the Seven Sirens, il quinto capitolo della serie, particolare a partire dalla sua distribuzione: l’anno scorso infatti è uscito, diviso in due parti, per i sistemi basati su iOS mentre solo ora – nella versione completa di entrambe le parti – è diventato disponibile per tutte le console maggiori e il PC. Vediamo insieme come si è comportato joypad alla mano.
Shantae tra isole tropicali e rapimenti
Le vicende di Shantae and the Seven Sirens prendono le mosse là dove quelle del quarto capitolo vedevano la fine: Shantae, lo zio Mimic e gli amici Bolo e Sky decidono di prendersi le meritate ferie dopo le faticose vicissitudini causate dalla ultima avventura partendo per quello che sembra essere un vero e proprio paradiso tropicale. Al suo arrivo la protagonista scopre l’esistenza di altri cinque mezzi-geni come lei e dai quali viene invitata a ballare durante una festività locale. Tutto sembra procedere nel migliore dei modi quand’è che, durante lo svolgimento dello spettacolo, qualcuno rapisce i cinque mezz-geni di cui sopra lasciando il gravoso compito di risolvere la situazione sulle spalle dell’unica rimasta, ovvero la bella Shantae. Ad infarcire il tutto si segnala qualche piccolo colpo di scena – a dire il vero piuttosto prevedibili – che andrà a rendere leggermente più stimolante il corso di un’avventura non lunghissima (in meno di dieci ore di gioco è possibile portare a termine il gioco) ma decisamente divertente. Come si può evincere dal breve racconto, in Shantae and the Seven Sirens la trama è un semplice pretesto necessario alla successione dei livelli. Certo, contiene riferimenti ai capitoli precedenti che solo gli appassionati saranno in grado di apprezzarli pienamente, ma chi è a digiuno della saga di certo potrà apprezzarne le qualità ludiche senza alcun problema. Il genere di appartenenza è pur sempre quello dei platform in due dimensioni, tradizionalmente legato più alle meccaniche ludiche che alla raffinatezza del plot narrativo.
Formula che vince non si cambia
Chi ha avuto modo di giocare a uno qualsiasi dei giochi della saga saprà benissimo come interfacciarsi a ciò che questo titolo offre, proprio perché Shantae and the Seven Sirens, forte del suo “formula che vince non si cambia”, non offre nulla di nuovo rispetto al passato ma anzi cerca di valorizzare con furbizia proprio i tratti più riconoscibili del franchise. Come abbiamo già accennato, ci troviamo di fronte a un classico gioco di piattaforme bidimensionale dal gusto tipicamente retro in cui il calcolo – talvolta millimetrico – dei salti costituisce il perno fondamentale delle meccaniche di gioco. Al contempo riesce a risultare accessibile al videogiocatore moderno grazie all’implementazione di una gran quantità di checkpoint che aggirano la frustrazione causata dal dover ricominciare un livello da capo. Inoltre va menzionata la particolarità del gameplay tipico degli Shantae che risiede nell’innesto di elementi tipici dei metroidvania come il backtracking e l’acquisizione progressiva di perk e capacità in grado di “sbloccare” passaggi non accessibili precedentemente. Se da un lato il forte tradizionalismo è una caratteristica in grado di non scontentare i fan meno avvezzi al cambiamento, dall’altro rende assai meno stimolante l’acquisto, soprattutto a prezzo pieno, per chi ha già giocato al capitolo precedente, visto che le differenze rispetto ad Half Genie Hero sono davvero esigue. Tanto per cominciare sono stati introdotti i “balletti-fusione” con i quali la protagonista avrà la capacità di controllare immediatamente le creature nelle quali riuscirà a trasformarsi, ciò senza passare per la fase del balletto (un momento che rimane ad appannaggio di alcuni poteri come la ricerca degli oggetti invisibili e il recupero della salute). Questo non fa altro che renderne più fluido l’utilizzo ma, di contro, svilisce leggermente la funzione identitaria del franchise rappresentata proprio dall’ancheggiare a ritmo di musica di Shantae. Altra piccola novità risiede nella possibilità di collezionare speciali carte mostro. Non si tratta di un’introduzione di un collezionabile fine a sé stesso, ma è in grado di sbloccare alcuni perk particolari o perfezionare la durata di un potere passivo. Infine è possibile notare, dal punto di vista puramente tecnico, il passaggio a sfondi interamente bidimensionali decisamente più belli da vedere e più puliti da interpretare rispetto alle tre dimensioni degli sfondi del quarto capitolo.
Rimanendo su quanto concerne l’aspetto visuale e concentrandoci su una valutazione strettamente artistica Shantae fa il solito figurone grazie a un level design ispirato almeno quanto la caratterizzazione dei personaggi, un tripudio di carisma, colori e suggestioni caraibiche capace di rendere il nostro viaggio una vera e propria gioia per gli occhi. Non è da meno la colonna sonora e le intro in stile anime, capaci di configurarsi come un vero e proprio valore aggiunto a una produzione a dir poco ispirata. Da segnalare una lunghezza anomala dei caricamenti – pochi a dire la verità – che tradiscono una scarsa ottimizzazione sul piano puramente tecnico e un livello di difficoltà pesantemente tarato verso il basso.
Concludendo…
Shantae and the Seven Sirens è sempre il “solito” buon titolo della serie Shantae, sia nel bene che nel male. Sul lato artistico ci troviamo di fronte a un lavoro come sempre sopraffino, una colonna sonora eccezionale, animazioni curatissime e un tratto anime davvero fantastico riescono a confermare le grandi capacità dei ragazzi di WayForward. Il gameplay, nonostante il forte tradizionalismo, riesce a risultare fresco ed equilibrato a qualsiasi tipologia di videogiocatore, peccato per un livello di sfida che non ci è sembrato congruo alla qualità della produzione. Purtroppo le pochissime e marginali novità rispetto al capitolo precedente non riescono a rendere appetibile l’esperienza di gioco all’utente più esigente che si rivolgerà temporaneamente altrove in attesa di un calo di prezzo.