Tornare indietro per andare avanti
Con l’amabile supporto di un paio di litri di rosso solferino, potremo passare ore ed ore a criticare Battlefield e il percorso scelto da DICE per la serie. È probabile che un buon 80% di questo tempo verrebbe speso in accorati abboccamenti sul perché Battlefield: Bad Company 3 deve assolutamente vedere la luce. Ma è altrettanto plausibile che, nel corso del dibattimento, nessuno dei contendenti dialettici lancererebbe critiche di rilievo sulla capacità della serie di rinnovarsi ad ogni passaggio. Cambiamenti grandi o piccoli, positivi o negativi, figate col botto o clamorosi passi falsi, non importa, l’importante è continuare a battere la strada dell’innovazione. E per quanto possa sembrare strano parlare di innovazione a proposito di uno shooter ambientato quasi un secolo fa, basta dare un’occhiata al tema portante dell’attuale panorama fps “mainstream” per rendersi conto di come “il passo indietro” di Battlefield 1 sia in realtà un clamoroso passo avanti. Niente esoscheletri cromati, robot giganti, fucili al plasma o corse allo spazio, solo fango, sangue e guerra. E non parliamo solo della scelta “cronologica” di collocare il nuovo capitolo della serie nella cornice della Grande Guerra, ma anche del modo in cui la materia viene trattata, senza superomismi muscolari, bromance imbarazzanti e improbabili supercattivi con la profondità motivazionale di una frittura di paranza. La guerra è brutta e cattiva, e non conosce giustizia o ragioni. La guerra non fa eroi, fa morti, ed è con la morte che DICE ci accoglie in Battlefield 1.
Benvenuti.
Storie di ordinaria guerra
Il prologo narrativo di Battlefield 1 vuole insegnarci una lezione: a prescindere dal ruolo svolto, ogni soldato in guerra ha un nome, un cognome, una storia e una vita da difendere. Prima ancora di calarci nei panni dei protagonisti della campagna in singolo, il gioco ci scaraventa infatti al fronte, mal armati e confusi, con un unico scopo: sopravvivere. Una missione che falliremo, più volte, prima ancora di decidere quale delle 5 “Storie di Guerra” affrontare per prima. Si tratta di una trovata intelligente, che pone il giocatore di fronte all’orrore della trincea avviandolo sulla strada del coinvolgimento. Anche la scelta di optare per una campagna antologica, piuttosto che per un tour de force con un singolo protagonista, risulta sorprendentemente intrigante, perché permette al giocatore di affrontare la materia guerresca attraverso gli occhi di personaggi diversi e con caratteristiche chiaramente identificabili, tra storie di fratellanza, racconti di vendetta e parabole di redenzione. Vere e proprie “favole del fronte”, ottimamente sceneggiate, che lasciano sapori unici, privi di quella punta d’ipocrisia che spesso accompagna un’identificazione chiara e “bidimensionalizzata” del nemico da abbattere.
Da notare, inoltre, come ognuna delle “Storie di Guerra” di Battlefield 1 sia caratterizzata dalla preponderanza di specifiche meccaniche di gioco, in modo da permettere agli utenti di prendere confidenza con ogni aspetto del gameplay e prepararsi così al multiplayer. Ok, mi rendo conto che l’ultima affermazione può apparire come materia da meme internettiani sul genere “spacchi il culo ai passerotti in volo nella campagna in singolo, poi devono venirti a raccogliere con la pala nel multiplayer”, ma siamo pronti ad assicurarvi che così non è. Giocare in singolo non vi renderà certo dei maestri del “killstreak” (cosa che, tra l’altro, non esiste proprio in Battlefield), ma vi insegnerà a guidare un carro armato, a non schiantarvi – troppo – a bordo di un aereo, a conquistare obbiettivi e difenderli, e vi darà un’utile infarinatura sulle dinamiche legate alle diverse classi di gioco. Coinvolgimento, tensione, divertimento e preparazione al multiplayer, probabilmente non potremo chiedere niente di più alla campagna in singolo di uno sparatutto in prima persona.
Quattro passi, sette morti
In un mercato tripla A tendente all’uniformazione, la serie di DICE continua a voler mantenere una propria identità specifica nel panorama di genere. Una coerenza meravigliosamente manifestata dalla durezza del comparto multigiocatore di Battlefield 1, legato a doppio filo alla natura “open-space” delle modalità proposte. Anche in questo caso, come esposto nel vomito verbale in apertura, l’arsenale vecchio di un secolo di Battlefield 1 contribuisce a rinnovare l’esperienza multigiocatore con un livello di sfida unico, legato all’efficienza ridotta degli armamenti a disposizione dei soldati. Una mano di fresco che offre nuovi spunti d’interesse alle classiche modalità della serie – Dominio, Conquista, Deathmatch a Squadre e Corsa – senza inficiare in alcun modo la godibilità generale del comparto.
La colossale modalità a 64 giocatori Operazioni – una sorta di via di mezzo tra Conquista e Corsa – ci costringerà a valutare bene i limiti di ciascuna arma e classe, proiettandoci su un campo di battaglia enorme e in continuo mutamento, con fronti mobili e un continuo ricambio delle risorse a disposizione di ciascuna squadra. È bene ricordare che i giocatori alla ricerca del miglior rapporto morti\uccisioni e della più lunga catena di vittime si troveranno tutt’altro che a proprio agio sui server di Battlefield 1, che vuole che ogni utente affronti la battaglia secondo le logiche della propria classe, sostenendo la squadra nel miglior modo possibile, in accordo con le dinamiche della modalità scelta e della mappa del momento. Su questo punto, non possiamo che elogiare il lavoro svolto da DICE per quanto riguarda il design delle mappe di gioco, splendidamente caratterizzate secondo un disegno strategico ben preciso, che impone al giocatore di abbandonare spesso la propria zona di comfort per affrontare la adattarsi alle specifiche necessità di ogni scenario.
La solitaria Fortezza di Fao offrirà quindi “trespoli” in abbondanza per i tiratori scelti, incaricati di ostacolare l’assalto alle mura di cinta, mentre la Foresta delle Argonne premierà gli assaltatori più mobili e il lavoro di squadra, in un’alternarsi di circostanze che manterrà il gioco esaltante anche dopo decine e decine d’ore. Merito anche di un sistema di progressione che premia ogni azione guerresca degna di nota, dalle uccisioni alle cure, con una buona dose di punti che andranno a comporre il “tesoretto” elargito a fine partita, utile al raggiungimento del livello successivo. Ad ogni nuovo livello saremo premiati con una somma in valuta di gioco che potrà essere utilizzata per sbloccare nuovi armamentari con i quali personalizzare le diverse classi, ammesso che il livello raggiunto con la specifica classe ci permetta di equipaggiare l’arma desiderata. A questo punto potremmo anche lagnarci del fatto che molte delle armi presenti nel gioco non siano particolarmente coerenti con lo specifico contesto storico ma, trattandosi di un gioco sostanzialmente privo di velleità simulative, preferiamo passare oltre.D’altronde, avreste voluto spendere centinaia di ore online con solo una manciata di armi a disposizione?
Appunto.
Parlando del comparto multigiocatore, merita una menzione a parte la nuova modalità Piccioni di Guerra. Si tratta di un’interessante rivisitazione del classico cattura la bandiera, nella quale dovremo raggiungere una piccionaia, agguantare un pennuto e liberarlo all’esterno per far arrivare un messaggio alla nostra artiglieria in attesa. Tra un passaggio e l’altro dovremo ovviamente fare in modo che né il pennuto (che può essere abbattuto in volo), né il suo portatore subiscano danni letali. Come nota di coda, ci sarebbe piaciuto se gli sviluppatori avessero offerto ai giocatori la possibilità di uscire al termine delle partite online, senza dover necessariamente attendere l’inizio di una nuova istanza. Si tratta di un problema marginale che comunque non inficia in alcun modo la qualità generale dell’esperienza multigiocatore.
Frostbite über alles
Devo essere onesto. A prescindere dalla tendenza al “bullshot” (leggasi screen taroccato) degli sviluppatori tripla A, ero piuttosto preoccupato sul fatto che il mio PC – malgrado la configurazione enthusiast – potesse affrontare degnamente la gloria poligonale di questo Battlefield 1. Menate “paturniose” a parte, il lavoro svolto da DICE sul profilo tecnico del gioco è eccezionale, e mostra come il team abbia ormai raggiunto incredibili livelli di padronanza dell’ottimo Frostbite, al top della forma in Battlefield 1. Non solo il gioco gira da favola su un ottimo range di configurazioni, con una stabilità impressionante, ma l’effetto finale è assolutamente fantastico.
Illuminazione, effetti particellari, fisica, densità poligonale, texture e filtri di post processing, tutto contribuisce magnificamente alla creazione di un’esperienza memorabile e altamente immersiva, complice anche un comparto sonoro che, come da tradizione della serie, vanta un’effettistica inarrivabile (il rumore dei bossoli sul pavimento dei corazzati ne è un chiaro esempio). Ma non si parla solo di goduria oftalmica, dato che la qualità e il dinamismo delle condizioni climatiche avranno effetti consistenti anche sul gameplay, così come la fisica, tradotta a colpi di cannone in una distruttibilità degli ambienti che non si vedeva dai tempi di Battlefield: Bad Company 2, quando nessun rifugio era veramente sicuro. Stabilissimo anche il netcode, mentre non ci ha convinto appieno la gestione a volte approssimativa delle hitbox, storico punto debole della serie e motivo di occasionali momenti di frustrazione durante le partite online.
Concludendo…
Battlefield 1 rappresenta per DICE una scommessa vinta a mani basse. Il rischio preso dallo sviluppatore nel reinventare la serie, modificandone – a volte radicalmente – le dinamiche, premia il giocatore con un titolo eccellente, sotto tutti i punti di vista. Battlefield 1 affronta la materia storica della Prima Guerra Mondiale con maturità e carattere, definendo i contorni di un’esperienza che si presenta sul mercato forte di un’identità unica. Malgrado qualche difetto minore, non possiamo che ritenerci pienamente soddisfatti – e piacevolmente sorpresi – dall’offerta di DICE, e pertanto consigliamo caldamente l’acquisto di Battlefield 1 a… beh, chiunque voglia prestarci orecchio.
Ciao, su che configurazione PC hai provato il titolo? come pensi che il titolo si comporti con la configurazione minima proposta dalla software house ?
Ciao Antonio. Ho provato il titolo su un PC Windows 10 con processore Intel i5 2500K (overclockato a 5 GHz), 16 GB RAM a 2400 mhz, una GPU Zotac GTX 970 AMP! Extreme Core Edition e un SSD Samsung. Teoricamente la mia CPU (clock alterato escluso) sarebbe inferiore ai requisiti minimi, ma riesco comunque a giocare il gioco a Ultra con 60 fps marmorei. Quindi direi che con una configurazione in linea con i valori minimi puoi far girare il gioco più che dignitosamente con impostazioni medie.