The Flame in the Flood – I will survive
Quest’oggi parliamo di The Flame in the Flood, nuovo ed ennesimo esponente di una delle tematiche di gioco più affermate degli ultimi anni: la “sopravvivenza”, un’etichetta oramai elevatasi a vero e proprio genere videoludico. Senza andare a scomodare una (troppo) lunga lista di titoli provenienti da questo macrocosmo, è indubbio che si stia parlando di un “topic” di gioco oramai inflazionato, certamente forte di alcuni titoli davvero validi, tuttavia macchiato da una inquantificabile mole di titoli dalla discutibile qualità, ammassatisi in un dimenticatoio in cui trovano spazio clamorosi flop e promesse non mantenute, mediocrità (spesso) e talvolta perle di rara bruttezza. E The Flame in the Flood? Sarà in grado di distinguersi da questa massa deforme? Prima di cercare una risposta per questa domanda, partiamo da due punti fermi: da una parte il successo della raccolta fondi avvenuta quasi un anno e mezzo fa sull’ormai usuale piattaforma di crowdfunding che è Kickstarter, con ben 7420 backers e una somma raccimolata superiore al quarto di milione di dollari, dall’altra la presenza di un esordiente team di sviluppo, The Molasses Flood, che include tra le sue fila programmatori provenienti da S.H quali Irrational, Harmonix e Bungie, personalità che possono vantare partecipazioni a progetti del calibro di Bioshock, Rock Band e Halo. Ma il curriculum, talvolta, conta poco. La parola al gioco.
Che fine ha fatto il mondo questa volta?
La domanda è inevitabile: quale piaga o apocalittico avvenimento avrà investito il nostro amato pianeta in quest’occasione? Ebbene, The Flame in the Flood mette su schermo un’America quasi interamente sommersa dalle acque, probabilmente a causa di quello che potrebbe essere un cataclisma climatico, offrendoci un mondo di gioco in cui i resti dell’umanità sopravvivono a fatica sui pochi “pezzi di terra” ancora in grado di sovrastare il livello dell’acqua.
Inevitabilmente le condizioni di vita degli uomini, ora minacciati dalla scarsità di cibo, dall’assenza di acqua potabile e da una natura che si è fatta ostile, non hanno più nulla a che vedere con il passato: giovani e vecchi vanno avanti a fatica, dovendo dimenticare la società come erano soliti intenderla e ripiegando su una inevitabile esistenza di solitudine e isolamento, selvaggia e folle, con la preoccupazione costante di non riuscire ad arrivare all’alba del giorno successivo.
All’interno di questa cornice, il nostro alter-ego è una giovane ragazza che, in seguito all’inaspettato incontro con un cane (che porta con sé una zaino contenente una radio), decide di lasciare il suo rifugio per scoprire se oltre tutta quella devastazione esiste una via di fuga, un posto che ancora possa essere chiamato “casa”. Accompagnata dal cane Aesop, suo nuovo e unico amico, abbandona la terra ferma con la sua zattera, dando inizio a un pericoloso viaggio dall’esito incerto.
A metà tra esplorazione e navigazione
Il gameplay di The Flame in the Flood può essere suddiviso in due parti, consistenti nelle sessioni di “guida” della zattera e nell’esplorazione delle location affacciate sul fiume. La prima di queste, sommariamente interpretabile quale mini-gioco, risulta una meccanica decisamente originale e divertente, facile da padroneggiare (grazie al semplice e intuitivo sistema di controllo) nonché ottima per spezzare la routine della sopravvivenza pura. Mentre maciniamo miglia su miglia con la nostra “imbarcazione” (è un complimento) dovremo fare del nostro meglio per evitare gli ostacoli, sfruttando le correnti a nostro favore e affrontando pericolose rapide che potremo superare senza collisioni soltanto attraverso brusche remate da parte della protagonista. Inoltre, lungo questa interminabile discesa del fiume, ci imbatteremo molte volte in veri e propri “bivi su acqua” che comporteranno repentine scelte dalle conseguenze sconosciute: ecco quindi manifestarsi la componente roguelike del titolo, riscontrabile nella creazione procedurale dei percorsi, oltre che, ovviamente, di tutti luoghi che avremo modo di visitare. A tal proposito, ogni area “a portata” di esplorazione viene indicata da specifiche icone, comunicanti non soltanto i metri di distanza rispetto alla posizione della nostra zattera, ma anche la tipologia di location (accampamenti e parrocchie, officine, zone mercantili, cittadine, e altre ancora). Qualora decidessimo di interrompere la navigazione per esplorare un territorio a nostra scelta, sarà sufficiente avvicinarsi a sufficienza ai pontili e, con un singolo tasto, attraccare.
Eccoci dunque entrati nel cuore dell’esperienza, ovvero la componente esplorativa e legata alla raccolta delle risorse nonché al crafting, in modo tale da soddisfare i quattro (immancabili) bisogni della protagonista: fame, sete, stanchezza e mantenimento di una temperatura adeguata al clima. Per quanto riguarda questi specifici aspetti, The Flame in the Flood non presenta particolari innovazioni o caratteristiche in grado di distanziarlo dalla maggioranza delle proposte presenti sul mercato: procederemo infatti seguendo il classico iter del videogioco di sopravvivenza, consistente nella iniziale raccolta di erbe e frutti selvatici, acqua non potabile (a patto di avere dei barattoli in grado di contenerla) e ovviamente cianfrusaglie di ogni tipo al fine di riuscire a craftare coltello e martello, strumenti indispensabili per poter costruire gli oggetti più complessi, quali trappole, abiti e, ovviamente, attrezzature per la zattera. Curandoci del reperimento di tutto ciò, dovremo preoccuparci degli spiacevoli incontri con lupi, cinghiali imbizzarriti, serpenti velenosi e, talvolta, con orsi parecchio assonnati. Limitatamente ai primi due, sono convinto che quasi certamente i primissimi “approcci” costituiranno un’esperienza dalle conseguenze poco gradite, per non dire altro, ma non c’è bisogno di preoccuparsi eccessivamente, visto che già dopo poche ore riuscirete a tenerli a bada: con un po’ di stecche nello zaino, qualche garza e tisana di erbe, infatti, non avrete più bisogno di temere queste belve feroci, che finiranno col rivelarsi semplici e prevedibili comparse. Quanto al nostro simpatico amico a quattro zampe Aesop, farà del suo meglio per renderci la vita più semplice, trasportando qualche oggetto, segnalandoci la presenza di risorse e, per quanto possibile, cercando di difenderci dai predatori.
Una lotta per la sopravvivenza che non appassiona
La peculiarità, in negativo, di The Flame in the Flood risiede nella sua capacità di illudere il giocatore durante le primissime ore di gioco: se inizialmente rimarrete infatti affascinati dalla bellissima ambientazione oltre che dalle sempre coinvolgenti meccaniche della sopravvivenza, molto presto dovrete scendere a patti con un gameplay che proprio quando sarà chiamato a mostrare “di cosa è capace”, ahimè, verrà meno, poiché vi avrà già dato tutto. Il risultato è un disastro inaspettato, una delusione su più fronti, coincidente con una leggerezza di fondo che personalmente mi ha portato, dopo sole 15 ore di gioco, alla noia. E parliamoci chiaro: per un titolo di questo tipo, per di più con elementi roguelike, che cosa sono 15 ore? Nulla. Ecco dunque che in poco tempo vi accorgerete di quanto sia limitata la lista degli oggetti craftabili e dell’eccessiva influenza dei miglioramenti della zattera sugli equilibri della partita, oltre che della pesantissima ripetitività degli scenari esplorabili, pecca imperdonabile per un titolo che fa della casualità parte integrante della sua esperienza. Aggiungiamo a tutto questo una difficoltà non ben calibrata, troppo in dipendenza dal caso e il più delle volte tendente al basso. Anche la navigazione, seppur originale, risulta davvero troppo facile e (sinceramente) non più coinvolgente già dopo qualche manciata di ore. Stesso discorso per i già menzionati animali selvatici che infestano le location, troppo prevedibili e, se si gioca con attenzione, mai realmente pericolosi. A tutto questo va ad aggiungersi una scelta delle features di gioco totalmente discutibile, con la modalità Storia (a due difficoltà) che ha più il sapore di un tutorial, anche a causa di una “trama” davvero scontata e impalpabile. Forse sarebbe stato meglio tralasciarla in toto, concentrandosi maggiormente sull’approfondimento del gameplay e plasmando così una modalità sandbox veramente “no-limits”, all’interno della quale, invece, un limite c’è e si chiama “sbadiglio”. Avviandoci alle conclusioni, completiamo il quadro con un’altra amara constatazione, poiché appare evidente come il lato migliore di The Flame in the Flood risieda nel suo comparto artistico: quello che possiamo ammirare è infatti un mondo di gioco impreziosito e caratterizzato dall’utilizzo di uno stile grafico originale e colorato, capace di valorizzare, tramite la caricatura, ogni singolo scenario, animale o personaggio. A completare tutto ciò, una serie di splendide tracce musicali a base di Country & Folk che si sposa alla perfezione con il contesto scelto. Peccato che quella in oggetto non sia un’avventura narrativa, né un’avventura grafica, bensì un gioco di sopravvivenza, una tipologia di prodotto in cui sono ben altri elementi a fare la differenza.
Concludendo…
The Flame in the Flood è un titolo che ricorderò principalmente per ciò che poteva essere, ma non è stato. Nonostante l’opera di The Molasses Flood metta in mostra alcuni lati positivi degni di nota, è impossibile non tenere conto dei numerosi e gravi passi falsi compiuti, capaci di condizionare irrimediabilmente l’esperienza di gioco nei suoi aspetti più significativi. Il risultato è un prodotto discreto, che da un lato sarà sicuramente apprezzato dai giocatori non così avvezzi ai videogiochi di sopravvivenza, dall’altro ne scontenterà decisamente i veterani.