INDICE

Il 22 novembre 1996 è una data molto importante per i videogiocatori europei. Segna l’inizio di una nuova era di intrattenimento. Finalmente, dopo anni di gestazione e di esperimenti, il videogioco riesce a prendersi tutte le rivincite su scettici e detrattori. I numeri, in fondo, parlano chiaro: una casa sviluppatrice che fattura, in un anno, quattordici milioni di dollari; una nuova icona di stile, talmente bella e affascinante che sfonda lo schermo pixelloso dei nerd e si afferma come personificazione di un nuovo modo di fare arte: Lara Croft. Trentacinque milioni di copie vendute, per confermare, come se ce ne fosse ulteriore bisogno, il successo artistico, ludico e mediatico partorito dal creativo Toby Gard, che lavorava negli studi di Core Design, e dal suo “Tomb Raider”.

MISTERIOSA, BELLA, PROCACE E CARISMATICA: ECCO LARA CROFT

Il successo della serie “Tomb Raider” si deve, principalmente, a due fattori. Quello meramente tecnico è il fatto di aver sfruttato, tra le tante piattaforme di lancio, la prima Sony Playstation, che era una console potente e relativamente economica. Non era raro, infatti, impossessarsi di una PSX per godere delle grazie e delle evoluzioni della bella Lara. Il secondo fattore, certamente più importante e determinante, è proprio Lara Croft. Questa nuova eroina è la capostipite di una nuova generazione di protagonisti femminili. Prima di “Tomb Raider”, infatti, i giocatori sono stati colpiti da carismatici protagonisti ma tutti rigorosamente maschili. Solo per citare alcuni titoli, ricordiamo quelli di “Prince of Persia“, “Super Mario“, “Megaman“, “Sonic“, “Last Ninja” e “Flashback“, ma ce ne sarebbero decine d’altri. Prendendosi una grande responsabilità e sfidando una platea da molti considerata maschilista e sessista, gli sviluppatori di Core Design hanno dato vita a Lara Croft: atletica e molto formosa, dalla misura di reggiseno esagerata, come quella delle sue labbra, un personaggio di fantasia del tutto verosimile, appena palpabile, coraggiosa come pochi, carismatica e incapace di essere sottomessa dagli uomini, avvolta da un passato misterioso e tutto da scoprire. Lara Croft, in un solo colpo, spazzò via cliché e tradizioni. Prima di ogni cosa abbatté il mito della modella longilinea, che tanto impazzava a quei tempi, per promuovere un tipo di ragazza più sportivo e atletico. Poi abbatté il mito dell’eroe maschio, spalancando le porte ad una vera e propria legione di eroine del piccolo e del grande schermo. Lara Croft, con il suo appeal e il fatto di essere un “essere umano virtuale” – soggetto anche a morte cruenta, provocata dalle disattenzioni di chi la controlla – è riuscita ad imporsi come autentica attrice protagonista delle sue avventure. Grazie a “Tomb Raider”, il mondo dei videogiochi ha adottato una nuova, indiscutibile e valida icona. All’alba dei tempi il videogioco era identificato in Mario o Link – alfieri della Nintendo e delle sue console – oppure da Sonic, il porcospino blu di Sega e delle sue piattaforme di gioco, senza tralasciare Megaman di Capcom e Crash Bandicoot di Naughty Dog (quest’ultimo portabandiera per la Playstation di Sony). La protagonista di “Tomb Raider”, invece, arriva ad imporsi come l’icona più rappresentativa per identificare “il videogioco” nel senso più puro del termine.

LA PIONIERA DI UN NUOVO MONDO DI GIOCO

“Tomb Raider” è stato il primo gioco di Core Design in cui appare Lara Croft, “coperta” solo da un attillatissimo corpetto in latex, da un paio di shorts vertiginosi e pesanti stivali. Armata di due pistole gemelle calibro 45 e uno zainetto, la bella archeologa dovrà affrontare le insidie di alcune misteriose tombe disseminate nel globo. Dovrà destreggiarsi tra piattaforme, marchingegni, porte sbarrate da antiche chiavi da ritrovare e pericolose bestie esotiche assetate di sangue, senza dimenticare di sopravvivere a trappole tanto antiche quanto insidiose. Lo scopo di Lara, nella sua prima avventura, è quello di ritrovare degli antichi manufatti appartenuti a dei re, che scoprirà essere gli ultimi superstiti della civiltà di Atlantide. A metterle i bastoni tra le ruote ci sarà la potente Miss Natla, proprietaria dell’omonima multinazionale, che le sbriglierà contro gli sgherri Larson e Pierre nel (vano) tentativo di fermare la vulcanica signorina Croft. Quando “Tomb Raider” arrivò sugli schermi dei videogiocatori, non si tardò certo a gridare al miracolo creativo e tecnico. Già dai primi istanti di gioco si viene accolti dalle note orchestrali di un motivo musicale davvero difficile da dimenticare. E’ raro, nel 1996, avviare un gioco e godere, ancor prima di giocarlo, di una sinfonia musicale d’avanguardia. Ma quando si da il via alle danze è davvero una gioia per gli occhi: la narrazione è affidata a rari e brevi intermezzi in computer grafica dal taglio decisamente cinematografico, in cui Lara è sempre assoluta padrona della scena. Quando il gioco passa sul piano dell’interazione il giocatore comincia ad essere investito da molteplici emozioni: tutto il mondo di gioco è interamente tridimensionale, con l’unica eccezione di alcuni oggetti che potranno essere raccolti. La telecamera è alle spalle della protagonista, lontana abbastanza da permettere di osservarla in tutta la sua interezza e ponendola sempre al centro dello schermo. I movimenti di Lara sono fluidi, naturali, umani. Certo, la risposta ai comandi è leggermente “tarda”, ma è un difetto così marginale da poter essere definito il classico “pelo nell’uovo”, così da poter dire che “Tomb Raider” non è esente da difetti. I combattimenti contro lupi, orsi, leoni, tigri e dinosauri avvengono in tempo reale e sono altamente adrenalinici, l’azione di gioco sempre fluida ed emozionante. Le evoluzioni di cui Lara è capace, poi, fanno interrogare su quale sentiero di fotorealismo abbiano imboccato i videogiochi.

SEMPLICI “GIOCHINI” O FILM INTERATTIVI?

Lara potrà correre e saltare, tuffarsi, nuotare, camminare, saltare indietro e ai lati con eccitanti capriole. Con un solo comando potrà interagire, raccogliere, tirare o spingere qualcosa. A tutto questo si aggiunga la “modalità combattimento”, in cui le mani dell’archeologa saranno occupate dalle potenti rivoltelle e da un sistema di puntamento molto comodo, che permette all’archeologa di puntare il bersaglio in maniera completamente automatica. In questi momenti Lara potrà fare quasi tutto quello che fa in “modalità esplorazione” meno che afferrarsi agli appigli, spingere o tirare gli oggetti. Le armi di Lara contano – oltre alle già citate pistole gemelle con munizioni infinite – un paio di Magnum, un fucile a pompa e un paio di Uzi. La fase di esplorazione delle tombe, che spinge il giocatore all’esecuzione di precisi salti in direzione delle piattaforme giuste -a volte piazzate a decine di metri d’altezza- è quella che assorbirà la maggior parte del tempo. Più marginali saranno gli scontri a fuoco, la maggior parte delle volte con animali della foresta o della giungla, più raramente con altri esseri umani o creature mitologiche come le mummie o statue di pietra. Ad un certo punto dell’avventura saremo chiamati ad affrontare dei temibili velociraptor e un terrorizzante Tirannosauro, un omaggio forse al celebre film “Jurassic Park” di Steven Spielberg e vera gioia per ogni videogiocatore avventuriero. Il gioco offre un grado di sfida decisamente elevato, portato principalmente dall’ampiezza dei livelli e dalla loro peculiare conformazione “a labirinto”. Il tutto si traduce in una lunga ed estenuante esplorazione alla ricerca di manufatti, chiavi e meccanismi per proseguire nell’avventura. “Tomb Raider”, volendo scavare in fondo alla magnificenza grafica di sfondi e protagonista, si riduce a questo. Il risultato finale riesce ad imporre nuovi standard qualitativi e, di fatto, porta nel mondo dei videogiochi un nuovo genere, tutto da scoprire, espandere e innovare: l’avventura d’azione in terza persona. Lara Croft e Core Design irrompono nella scena videoludica mondiale in un periodo in cui i “generi” del videogioco, così definiti e inconfondibili, cominciano a subire il fascino di una sana e creativa “corruzione”. Forse faremmo bene a usare la parola fusione di uno o più generi per creare qualcosa di più grande e complesso dei tanti “giochini” a scorrimento che da tempo impazzavano su cabinati e console di casa. L’utenza di fronte a questi esperimenti e a queste fusioni di genere, non è mai rimasta sorda o insensibile, ma per “Tomb Raider” e Lara Croft è accaduto qualcosa di diverso. Che sia l’innegabile fascino femminile portato alla ribalta, o l’azzeccata presenza di parti d’esplorazione e risoluzione di enigmi (secondo lo schema delle avventure a la “Monkey Island” per intenderci) unita a parti d’azione con armi da fuoco (a cui ci aveva abituati “Wolfenstein 3D”), il fatto di donare al giocatore la prospettiva in terza persona e un personaggio così “umano” ha fatto la differenza.

Conclusioni

Con “Tomb Raider” e Lara Croft nasce un nuovo binomio, un legame inossidabile che ha portato, ai tempi del suo esordio, nuovi standard qualitativi nel mondo del videogioco. Tuttavia l’attenzione del mondo intero, della stampa e dei mass media meno interessati – senza tralasciare altre forme d’arte e creatività, quali cinema e fumetto – cominciano a guardare al videogioco con occhi diversi. Se quotidiani, periodici e telegiornali hanno cominciato una strana e ingiustificata demonizzazione di questa nuova forma creativa (del tutto comparabile al cinematografo, d’altronde), cinema e fumetto hanno invece cominciato a remare forte verso i “giochini”. Se Lara Croft, nello specifico, ha ricevuto una serie a fumetti e due lungometraggi, interpretati dalla prorompente Angelina Jolie, gli scettici della sua “forza mediatica” dovrebbero ricredersi. Ma volendo tralasciare il caso in particolare, viene subito in mente quanto sia stato naturale, per le produzioni cinematografiche, attingere a piene mani dal mondo del videogioco. “Tomb Raider”, più di altri, segna un’importante evoluzione, perché il videogioco si immette, con orgoglio e prepotenza, nel sentiero di una dignità artistica che non può essere ignorata. Ma questo è solo l’inizio: Lara Croft è destinata a far parlare di sé a lungo.

Antonio “Aurenar” Patti

Articolo precedentePokémon Platino – Recensione
Prossimo articoloDrakensang: The dark eye – Recensione
CyberLudus è un'Associazione Culturale che opera nel settore videoludico dal lontano 2007, a stretto contatto con produttori e distributori di tutto il panorama internazionale. La nostra redazione segue con passione ed entusiasmo l'evolversi di questo mondo, organizzando tornei e contest, partecipando a manifestazioni ed eventi e, attraverso il nostro portale, fornendo all'utenza un piano editoriale che prevede recensioni, anteprime, guide strategiche, soluzioni, rubriche ed approfondimenti.