Trek To Yomi è il nuovissimo action-adventure sviluppato dai polacchi Flying Wild Hog con una particolarità che coglie immediatamente l’attenzione: si presenta a tutti gli effetti come un film in bianco e nero. Il motivo è semplice: la direzione artistica di questo titolo, che include Leonard Menchiari, già autore del particolarissimo The Eternal Castle Remastered, nell’ideare questo particolare titolo si è dichiaratamente ispirata ai film di samurai d’epoca, tra cui non può mancare un riferimento all’immortale regista Kurosawa.
L’effetto finale è stupefacente, nonostante il gameplay non sia esente da difetti: continuate a leggere per saperne di più…
La storia di Hiroki
Come è facile intuire la scelta tematica di Trek To Yomi è orientata sul mondo dei samurai giapponesi, nell’epoca del Giappone feudale. Niente di speciale, in realtà, dopotutto si tratta di un periodo affascinante, che ha ispirato il mondo dei videogames e la stessa cinematografia sin dagli albori delle produzioni. Il personaggio del samurai (da saburu/o, servire) è probabilmente il più iconico di questo ambito, si tratta di un guerriero che nell’immaginario collettivo viene sempre associato all’uso della katana, la loro arma cardinale. Per riuscire a padroneggiare l’arte della spada un samurai studiava per tutta la vita, ed è proprio così che si apre la storia di Trek To Yomi, con il giovane protagonista, Hiroki, che in tenera età sta apprendendo dal suo maestro.
Improvvisamente il villaggio dell’adolescente guerriero viene invaso da un gruppo di briganti – il maestro si lancia nello scontro lasciando al sicuro la figlia Aiko ed il prezioso apprendista. Quest’ultimo però non desidera restare in disparte mentre la gente del suo villaggio muore e si getta quindi nella mischia avviando, di fatto, il gioco …
Artisticamente unico
Si può affermare che il singolare stile artistico sia l’anima e il cuore di Trek To Yomi, seguito a ruota dalla componente di lotta con le armi bianche, che a conti fatti occupa gran parte del tempo investito nel gameplay. C’è da dire che il posizionamento della telecamera, in particolare, è molto evocativo e cerca di ispirarsi al lavoro del regista Kurosawa, riuscendo talvolta a ricordarlo. La grafica può apparire a tratti semplice, ma anche incredibilmente curata e non è raro avere l’impressione, specie durante alcuni cambi di scena, di stare osservando una reale pellicola d’epoca. Trek To Yomi non si limita ad applicare un banale filtro in bianco e nero: è evidente invece che sia stato concepito con questi colori in mente e le tonalità, i contrasti, sono a tratti magnifici da osservare. Questo aspetto è stato molto curato dai Flying Wild Hog sebbene i livelli siano generalmente poco interattivi e ci sia molto poco da fare se non sgominare tutti gli ostili eventualmente presenti per poter proseguire.
Questo ci porta inevitabilmente a discutere delle meccaniche di combattimento che dopo attenta disamina risultano sciaguratamente poco efficaci. Come abbiamo anticipato sono in parte clonate dai Dark Souls; immancabile quindi la barra della stamina, un tasto per il colpo leggero, uno per il colpo pesante, la schivata ed infine la parata. Dove si discosta sta nelle differenti mosse accessibili utilizzando le direzioni in concomitanza con la pressione dei tasti e sul concetto di “stordimento” che avviene alla fine di alcune specifiche combo.
Gameplay
Trek To Yomi potrebbe essere definito come un mix di stili ed ispirazioni. Lato gameplay si divide in diverse fasi: la prominente è sicuramente il combattimento che, come abbiamo detto, prende in prestito alcune meccaniche di lotta dai titoli FromSoftware, senza però riuscire a catturarne la validità, come vedremo. La visuale a telecamera semi-fissa con percorsi obbligati ricorda vecchi titoli come i Resident Evil originali che per estensione derivano dai primi Alone In The Dark, anche se in questo caso non ci si muove in un ambiente chiuso, piuttosto si segue un percorso obbligato senza poter tornare indietro. Ai giocatori più eruditi potrebbe ricordare anche il vetustissimo Samurai Warrior per Commodore 64 e, considerata la partecipazione di Menchiari, che ha già dimostrato molta affezione per i titoli d’epoca, potrebbe non essere un caso. In generale abbiamo percepito anche molte affinità con il geniale Limbo del 2010, fosse anche perché condividono le particolari tonalità monocromatiche. Il movimento del nostro eroe può avvenire sulle tre dimensioni anche se dipende principalmente dalla scena in cui si trova, dato che il punto di vista cambia in continuazione. Ci sono scene in cui il movimento è praticamente mono-dimensionale, come in un platform 2D, ed altre in cui si è liberi di muoversi sfruttando anche la profondità e l’altezza, grazie all’uso di scale o dislivelli sul terreno. Durante i combattimenti il gioco diventa quasi una sorta di Street Fighter ove i personaggi vengono intrappolati al movimento sul singolo asse laterale e gli avversari si posizionano sui due fronti, attaccando quasi sempre però uno alla volta.
Tanti problemi
Dato che abbiamo parlato di Souls non si può non menzionare la difficoltà: Trek To Yomi offre una sfida variabile su quattro livelli di cui solo tre sono inizialmente utilizzabili. Nella modalità Bushido, l’equivalente di normale, lo abbiamo trovato fin troppo banale. Nella modalità Ronin, la più alta inizialmente selezionabile, la sfida inizia a farsi impegnativa, anche se alcuni boss risultano assurdamente ardui rispetto a tutto il resto della “ciurmaglia”. Esiste un quarto livello, Kensei, utilizzabile solo dopo aver completato la storia almeno una volta, nella quale tutti gli antagonisti – giocatore incluso – moriranno con un sol colpo. Con il progredire della storia Hiroki può crescere raccogliendo oggetti speciali per aumentare la vitalità, la stamina ed imparerà un certo numero di mosse combo raccogliendo oggetti od uccidendo specifici nemici talvolta nascosti. Eseguendo una piccola sequenza di tasti e direzioni si ottiene così un colpo che è in grado di stordire l’avversario lasciandolo vulnerabile ad un finisher, un attacco che lo uccide immediatamente coadiuvato da una generosa animazione più o meno splatter con decapitazioni e smembramenti. Questa azione ha anche il vantaggio di ripristinare parte della energia vitale del protagonista oltre che una buona dose di stamina. Dopo un po’ di pratica viene naturale cercare di accoppare tutti i nemici standard con una finisher – dopotutto i benefici sono innumerevoli, senza contare che durante l’esecuzione del colpo finale il nostro eroe è inviolabile dagli avversari. Ed ecco il primo grosso problema di bilanciamento: nonostante la generosa varietà di combo, alcune sono molto più efficaci di altre e, considerato che per ottenere lo stordimento è sufficiente mandare a segno solo l’ultimo fendente della sequenza, si finisce per utilizzare sempre le poche combinazioni più rapide in tutti gli scontri.
Il secondo, importante problema sta nel sistema di controllo che è, ahinoi, molto, troppo impreciso. Capita sovente di inviare comandi che vengono ignorati del tutto, oppure di voler effettuare un colpo specifico quando invece ne avviene un altro, perché involontariamente nella concitazione viene spinto lo stick leggermente nella direzione errata. L’uso del joypad digitale avrebbe potuto ovviare a parte di questi problemi, ma è disgraziatamente vincolato all’utilizzo degli oggetti da lancio e non è possibile utilizzarlo nei movimenti. Queste incertezze sono letali specialmente quando si affrontano i boss che, come da tradizione dei Souls, possono tranquillamente freddare il nostro avatar con una combo ben piazzata. Il tutto causa un enorme stress e, dobbiamo dirlo, rovina pesantemente l’esperienza di gioco.
Narrativa
Il gioco in totale si dipana su sei capitoli differenti, tra i quali il giocatore avrà modo di visitare lo Yomi stesso (una sorta di purgatorio per la religione giapponese) ed in tutto occorrono dalle sei alle dieci ore per completare la storia. Questo numero varia parecchio a seconda della bravura e della difficoltà impostata. Tralasciando i boss, che sono comunque pochi e poco pomposi, il roster dei nemici comuni include pochissime variazioni differenti dello stesso archetipo – dopo un paio d’ore si percepisce con decisione una forte mancanza di varietà.
Trattandosi di un gioco dove si muore parecchio sono immancabili i checkpoint, qui rappresentati da alcune edicole sacre posizionate ogni tanto, tra una scena e la successiva, dove viene ricaricata tutta la vitalità e viene salvata la partita. Non sembra esserci una logica sulla loro collocazione, né una sorta di coerenza: alcune sono molto distanti tra loro, altre anche troppo ravvicinate. La trama narrata tra i sei generosi capitoli è una storia di vendetta e redenzione, piuttosto banale in realtà, senza grossi colpi di scena. I dialoghi si risolvono spesso rapidamente e non viene mai neanche tentato di creare uno spessore narrativo sui personaggi, che rimangono delle figurine bidimensionali. In questo, certamente, Trek To Yomi tiene le distanze da Kurosawa che invece prediligeva una narrativa più lenta e metodica.
Comparto tecnico
Difficile aggiungere altro rispetto a quanto già detto sul comparto grafico, che in questo titolo raggiunge vette di pura eccellenza. Gli scenari sono curatissimi, ma sfortunatamente anche poco interattivi, a malapena si possono attraversare interagendo con scale o altri elementi del paesaggio e, raramente, è anche possibile trucidare i nemici con l’ausilio di trappole ambientali improvvisate. Si avverte una forte discrepanza tra le cut-scene, dove i personaggi, intrappolati nel progredire della storia mostrano movimenti fluidi, armoniosi ed il gameplay, dove invece i movimenti sono asciutti, privi dei vincoli della fisica. Il comparto audio è per gran parte squisito: le musiche, esclusivamente a tema, sono ben realizzate e si calano alla perfezione con ambientazioni ed eventi, mentre gli effetti sonori sono di grande qualità, variegati al punto giusto.
Unico neo il parlato, disponibile sia in giapponese che in inglese, la cui qualità lascia talvolta a desiderare – gli attori non sono sempre convincenti, specialmente nella versione inglese, e ci sono dei forti sbalzi di toni. A questo proposito abbiamo sentito la mancanza di un tasto per scavalcare le singole battute, dato che è possibile saltare solo le cut-scene per intero. Tutto il testo è stato tradotto in un ottimo italiano senza strafalcioni.
Concludendo…
Abbiamo apprezzato Trek To Yomi nonostante i suoi difetti – impossibile non dare peso al valore e la cura del comparto artistico, malgrado il gameplay ballerino. Se da un lato il contenuto effettivo è limitato, può comunque regalare una buona manciata di ore molto gradevoli e, se siete fanatici del cinema giapponese, non potete decisamente farvelo scappare. Inoltre la presenza di collezionabili nascosti da cercare ed il livello di difficoltà aggiuntivo possono aumentarne la longevità di molto, per chi volesse cimentarvisi. Come nota finale va tenuto presente che i ragazzi di Flying Wild Hogs non hanno abbandonato la loro creatura – hanno già promesso una corposa patch, di prossimo rilascio, che potrebbe sistemare molti dei problemi sopra esposti.