Tra scalpers e miners, il videogiocatore medio è null’altro che un agnello sacrificale: c’è una luce in fondo al tunnel?

È diverso tempo che, in modo infruttuoso, tento una cosa impensabile e quasi al limite del comico, se si ha una certa esperienza nel campo: quella di acquistare una nuova scheda video per il PC a prezzi “umani”. La qual cosa, al giorno d’oggi, è facile almeno quanto svegliarsi una mattina e decidere di scalare l’Everest in pigiama e ciabatte. Vi abbiamo già spiegato nelle scorse settimane, in modo conciso ma chiaro, cosa sta avvenendo nel mondo del gaming su PC. In sostanza, a causa di una enorme scarsità produttiva di semiconduttori, dovuta a diverse concause, il mercato delle schede video per PC è divenuto una sorta di “giungla” selvaggia dominata dal bot più veloce a fare incetta di componenti, solitamente destinate a qualcosa che è ben lungi dal “motivo” per cui le stesse schede vengono effettivamente prodotte (ovvero, il mining di criptovalute).

Ma la situazione, ahimé, è divenuta totalmente paradossale e al limite della tragicomicità: a me è capitato, nei giorni scorsi, di iscrivermi ad un servizio di “mail alert” di una nota catena elettronica “generalista” italiana. Ho visto la mail che mi segnalava la rinnovata disponibilità di un prodotto (in questo senso, una 3070 TI) sullo store online della catena, TRE minuti dopo il suo effettivo arrivo sulla mia casella postale.

Il risultato? “Prodotto non disponibile”.

Ma questo climax, in realtà, è solamente una amarissima ciliegina su di una torta al sapore di melma e scarti industriali: dopo settimane di code chilometriche sui siti dei maggiori produttori mondiali di schede video, finite pochi minuti dopo che la stessa “fila” ha avuto inizio. Dopo mesi di ricerche infruttuose su internet, scansando prodotti usati (in che modo?) che costavano 100 euro in meno rispetto alle controparti nuove, venditori privati che alla richiesta di vedere una fattura “scomparivano”, offerte “sospettosamente” convenienti, profili di venditori di elettronica sui siti di e-commerce che poi, dopo poche ricerche online, elencavano dati di “profilazione” dell’attività simili a mercerie e negozi d’abito, ho preso una decisione saggia non solo per il mio portafoglio, ma anche e soprattutto per la mia sanità mentale: ho rinunciato. Così come è facile intuire, l’impossibilità di “potenziare” il mio PC avrà sicuramente degli effetti deleteri sulla mia “volontà” di giocare su PC: un hardware obsoleto (il mio fortunatamente ancora non lo è e non lo sarà per ancora un po’ di tempo), crea compromessi d’ogni sorta che, inevitabilmente, conducono ad un’altrettanta amara soluzione. Qual è? Spegnere il PC e passare ad altro.

Ma cosa hanno fatto sin qui i produttori di GPU?

Prima di passare ad una soluzione che, a mio modesto avviso, tamponerebbe enormemente il problema, bisogna fare però un passo indietro e porsi la domanda di cui sopra: cosa è stato fatto per limitare l’enorme “abbuffata” di schede video da parte di miners e bagarini? Diciamo, a conti fatti, azioni non particolarmente decise. Ed è una “indolenza”, vera o presunta, con seri contraccolpi per chi, effettivamente, vorrebbe utilizzare le GPU per il motivo reale per cui vengono create, ovvero far girare contenuti “visualizzabili” (tra cui, videogames) per computer. A giugno scorso, secondo un report di Jon Peddie Research, i soli miner avrebbero acquistato circa il 25% dell’intera produzione globale di schede video nel primo quarto del 2021, circa 700mila unità. E, ad acuire la situazione, vi sono anche tantissimi bagarini che, naturalmente, “sfruttano” l’endemica carenza per poter far soldi facili, effettivamente “intasando” ancora di più l’ambito e spingendo i prezzi alle stelle visto che, fenomeno nuovissimo, ora anche i piccoli rivenditori danno uno sguardo al mercato dell’usato online o del “chilometro zero”, adattando (tu guarda un po’, in senso ascendente) i prezzi. Lo scorso gennaio, un ingegnere di Chicago, Micheal Driscoll, tramite uno script per computer di sua creazione, ha monitorato il reselling di PS5 e schede video su EBay, attestando spesso vendite per il doppio o il triplo del prezzo iniziale. Dalle sue analisi è emerso che i citati “scalpers”, dal mese di dicembre 2020 sino a gennaio 2021, avrebbero venduto circa 50mila GPU a prezzi maggiorati sul citato sito di e-commerce (più altre 10mila su StockX, un sito che solitamente tratta vestiario e accessori correlati).

Nvidia, negli scorsi mesi, ha rilasciato delle schede video dedicate unicamente al mining, con l’assenza di porte classiche che ne avrebbero consentito un utilizzo normale. In aggiunta, lo stesso produttore nord americano pensò bene di “limitare”, con una soluzione software che andava direttamente a “rallentare” di circa il 50% le capacità di calcolo delle GPU in ambito mining, la convenienza delle stesse per chi volesse unicamente “coltivare” criptomonete. Ma, anche in questo caso, l’idea non ebbe i risultati sperati visto che, il “blocco”, venne dopo poco tempo aggirato e con metodi relativamente semplici (ad esempio, attraverso l’utilizzo di un dongle HDMI da pochi euro). Per quanto concerne AMD, invece, non risulterebbero azioni dirette intraprese in questo senso: nel mese di marzo, infatti, il produttore confermò la sua volontà di non limitare la capacità di calcolo delle proprie schede video anche se, al contempo, confermò la sussistenza di «limitazioni per il mining a livello infrastrutturale» per quanto concerne le gpu basate su RDNA 2. Ma nonostante performance per il mining limitate, anche le GPU AMD sono sostanzialmente introvabili (anche perché, razionalmente, una gpu potenzialmente più “lenta” è meglio che nessuna gpu). E neanche i drop casuali, divenuti piuttosto frequenti negli ultimi mesi, hanno raggiunto lo scopo di “parificare” la situazione visto che, sostanzialmente, i “bot” per prenotare un posto nelle code la fanno da padrone.

Ed è bene sottolineare che, comunque sia, la situazione attuale ha prodotto ottimi introiti per entrambe le compagnie: per fare un esempio, Nvidia, nei giorni scorsi, ha riportato un aumento degli introiti di circa il 50% in più rispetto allo scorso anno, nel terzo quarto fiscale. Introiti tutto sommato simili, in termini percentuali, ad AMD che, secondo un recente report, avrebbe visto crescere i propri guadagni di circa il 54% (solo però parzialmente riconducibili all’ambito computing), sottolineando comunque sia un aumento «anno dopo anno» e «quarto (fiscale n.d.r) dopo quarto» della vendita di GPU. Insomma, miners e scalpers non è che sembrerebbero far propriamente male ai grandi produttori di schede video. Nonostante questo infausto quadro per i gamer “puri”, è bene sottolineare che, sostanzialmente, gli attori in gioco non fanno null’altro che esercitare i propri “diritti” di venditori ed acquirenti. Nulla di illegale, naturalmente, solo non particolarmente luminoso a livello etico (specialmente nel caso dello scalping). Perché si, viviamo in un mercato libero: ma, come tantissime volte è successo, spesso diverse concause (come in questo caso, la scarsità di semiconduttori unita alla “febbre per il mining”) tutte assieme innescano dei processi difficili da fermare è che, solitamente, hanno nelle “persone normali” le loro “vittime sacrificali”. Consumatori ordinari che, poi, riversano (giustamente) la propria “rabbia” sui social (e basta andare sulle pagine Facebook dei più grandi produttori o rivenditori globali di gpu per notare i fiumi di “livorosa ironia” che si riversano nei commenti di pubblicità e affini di schede video, novelle tecnologie grafiche ecc.).

La soluzione: il “patentino” da gamer (o da professionista)

La soluzione che qui andremo a proporre, non è ovviamente “totale” o perfetta ma andrebbe, sostanzialmente, considerata come un primo “step” per tamponare enormemente il problema. Ma, al contempo, urge, seppur parziale, per diversi motivi: la scarsa reperibilità delle GPU, rende il gaming su PC estremamente costoso e dall’upgrade, spesso fisiologico, molto difficile. Ciò, comporta naturalmente il progressivo “invecchiamento” delle macchine che, se la crisi produttiva dovesse continuare (e si vocifera lo farà, almeno sino al 2023), potrebbero divenire non in grado di far girare in modo degno i titoli più recenti. Il che, probabilmente, indurrebbe tantissima utenza ad acquistare delle console di ultima generazione (anch’esse non in gran numero, ma molto meno costose di una singola GPU di fascia media, garantendo però prestazioni pari o addirittura superiori).

In sostanza, l’attuale situazione potrebbe danneggiare enormemente l’ambito gaming su PC e, con esso, anche i tantissimi retailer digitali e anche una moltitudine di studi di sviluppo, che vedrebbero i propri processi produttivi allungarsi all’infinito al fine di continuare a supportare anche hardware piuttosto vecchio (si pensi che, sul mercato dell’usato, la serie 900 Nvidia, uscita ormai quasi 8 anni fa, ancora oscilla sui 200/400 euro). Il tutto per permettere, in sostanza, l’arricchimento “borderline” dei miner e degli scalper. Dunque, qual è la soluzione che proponiamo? È presto detto!

Partiamo da una domanda fatidica: per chi vengono costruite le GPU?

Sostanzialmente, per due tipologie di persone: i videogiocatori e i professionisti della grafica. Due GPU diverse per due figure specifiche e che, con un po’ di “astuzia” sono facilmente identificabili. E l’identificazione delle due figure sarebbe proprio alla base della creazione di una sorta di “patentino” digitale che ne identifichi lo status. L’idea sarebbe quella di creare un database condiviso tra produttori, grandi retailer e partner ufficiali dove sarebbero sostanzialmente raccolte le “identità” digitali degli acquirenti (ovviamente, in linea con le recenti disposizioni in materia di privacy e previa accettazione da parte degli stessi). Il “patentino” (che, ad esempio, potrebbe essere un codice identificativo univoco generato dopo una corretta verifica tramite documenti e dati identificativi) andrebbe ad appurare online l’identità di chi tenta di acquistare la gpu, al contempo rendendo più “veritiero” l’acquisto. Un database che, sostanzialmente, sarebbe molto simile a quelli già esistenti, magari gestito da una società terza e i cui costi ricadrebbero, comunque, sull’acquisto finale della scheda video (che, comunque, teoricamente costerebbero comunque molto meno dei prezzi medi attuali). Oppure, addirittura, sarebbero azzerati magari pensando ad una forma di profilazione pubblicitaria mirata, previa accettazione inopinabile dell’utente in attesa di “accettazione”).

Il patentino: come funziona?

Ma come potrebbero essere identificati gamer e professionisti? È presto detto! Per quanto concerne i gamer, si partirebbe da un presupposto: il gaming su PC è ormai quasi totalmente digitale. In questo senso, basterebbe collegare al proprio “patentino” uno o più account dei tanti store digitali dove è possibile acquistare giochi (come ad esempio Steam, GOG, ecc.) e, tramite una verifica incrociata tra store, produttore e retailer (cosa che spesso già avviene su parecchi negozi digitali, che permettono di aggiungere ad un singolo account più account di piattaforme ludiche differenti), validare che quello sia il proprio account (magari, utilizzando documenti reali per la propria identificazione, come ad esempio avviene quando si “verificano” i propri account sui principali social).

La validazione, ovviamente, dovrebbe seguire rigide regole: ad esempio, l’account di gioco dovrebbe esistere da almeno un anno e aver accumulato un tot ore di gioco per poter esser considerato “vero” (e in questo frangente, starebbe proprio alle piattaforme digitali dare la “luce verde” al profilo). Lo stesso dicasi per i professionisti: basterebbe allegare documentazione e dati di profilazione della propria attività (ad esempio, i dati della partita Iva) per mostrare che, da almeno un anno, si è effettivamente lavoratori del settore. Questa sarebbe, ovviamente, una buona base di partenza: una volta emesso il codice identificativo (o un altro strumento parimenti valido), esso potrebbe consentire la registrazione su di uno dei tanti siti globali di e-commerce (o direttamente su quelli dei produttori di GPU) che consentirebbe l’identificazione “finale” dell’utente. Sulla carta, l’operazione sarebbe teoricamente laboriosa, ma non impossibile: la validazione di una utenza potenzialmente (molto) numerosa, sarebbe sicuramente lenta ma fattibile anche in (relativo) poco tempo, se tutti gli attori coinvolti lavorassero in sincronia.

Un “patentino”, una singola GPU all’anno

Sono cosciente che la soluzione avrebbe, così com’è, un’ampia “porosità” e permeabilità a livello teorico: immagino già la compravendita a prezzi stellari di account Steam o Epic veri (mentre, per quanto concerne l’ipotetica “falsificazione” dei dati dei professionisti, lì la situazione sarebbe più complicata e difficile da attuare). Detto ciò, anche in questo caso, ci sarebbe una soluzione semplicissima e molto efficace: basterebbe, semplicemente, legare ad ogni “patentino virtuale” la possibilità di acquistare UNA singola scheda video in un limite temporale ben preciso, ad esempio ogni 12 mesi. In questo, si potrebbe ad esempio rendere il citato codice identificativo univoco “spendibile” (ovvero, una volta acquistata la scheda video, si “estinguerebbe” per 12 mesi risultando non più valido). In questo modo, l’eventuale operazione truffaldina mirata all’acquisto di account Steam reali (o all’illegale falsificazione di dati legali correlati all’attività professionistica) diverrebbe una operazione estremamente dispendiosa e sconveniente sia per scalper che per miner. Mentre, per giocatori normali, avere una novella scheda video all’anno sarebbe anche “oltre” la normalità (in linea di massima, il cambio di setup per la stragrande maggioranza degli utenti PC avviene almeno dopo un paio di anni, all’avvento del classico “cambio di generazione” dei produttori). In questo modo, tutti gli utenti “validati” avrebbero maggiori possibilità di accaparrarsi nuove e fiammanti GPU e lo scalping sarebbe ridotto all’osso. Naturalmente, però, a monte dovrebbe esserci un impegno chiaro e trasparente di rivenditori e produttori che, a mio avviso, dovrebbero riservare una percentuale “fissa” di GPU ad ogni nuova “infornata”. Ad esempio, si potrebbe partire da una soluzione 70/30 (le prime ai “patentati”, le seconde in libera vendita) e, dopo una cospicua porzione di tempo, arrivare ad un 50 e 50. La qual cosa, comunque sia, garantirebbe anche una possibilità a reseller e miner di accedere all’acquisto di una GPU (seppur, giustamente, in quantità notevolmente ridotte).

Naturalmente, imbastire e gestire un enorme database globale, tra tracciamenti, verifiche legali e quant’altro, avrebbe le sue difficoltà tecniche correlate, soprattutto, ai costi di gestione: in questo senso, le eventuali spese ricadrebbero sull’utenza finale (che, nella peggiore delle ipotesi, vedrebbe le schede video rincarare ma sicuramente non del 200 o 300%, come succede oggi), che sarebbe comunque ben lieta di spendere un po’ di più rispetto al costo di fabbrica ma avere, comunque sia, la possibilità certa di comprare una novella scheda video (e con essa, perché no, rinnovare anche l’intero Pc) ad un costo maggiorato ma non ben oltre l’assurdo. Detto ciò, l’idea del “database” e dei “codici di identificazione” univoci è, in sostanza, qualcosa che già esiste e che, seppur in modalità diverse, viene attuato giornalmente dai grandi social quando “mirano” gli spot pubblicitari. La soluzione, sulla carta efficace, avrebbe anche l’effetto positivo di calmierare notevolmente i prezzi dell’usato sul lungo periodo, al contempo comunque garantendo buoni introiti (sicuramente, però, inferiori a quelli “stellari” attuali) anche ai produttori di GPU che ne vedrebbero indubbiamente migliorata la propria immagine nei confronti di chi, da decadi, acquista i propri prodotti. E, ultima ma non tale, la “regolamentazione” del mercato delle GPU andrebbe a ridurre drasticamente le truffe, tra venditori di vestiti e attempate pensionate che iniziano a vendere, molto poco plausibilmente, schede grafiche usate sui siti di e-commerce e social e chiedono pagamenti su conti correnti di presunti familiari.

Il “patentino” potrebbe essere davvero una soluzione efficace, in grado di traghettare in modo più equo tutti coloro che sono interessati alle GPU per motivazioni “ordinarie”, sino al momento in cui (purtroppo, ancora impossibile da prevedere con certezza), la crisi sistemica di semiconduttori. Sono cosciente che non sia una soluzione di immediata applicazione, ma lo scoglio probabilmente più grande da superare, sarebbe la piena collaborazione multi livello tra store digitali, produttori e retailer, oltre che la mera gestione dell’enorme massa di dati che si creerebbero (che, comunque sia, è praticamente ciò che già accade da decadi con i vari social). Dunque, mi piacerebbe che i “grandi attori” del mercato rispondessero: è una soluzione applicabile? E se anche non lo fosse, di lì un’altra domanda emergerebbe in modo prepotente: cosa i produttori di GPU hanno intenzione di fare, per aiutare i gamer (tradotto, i loro clienti “storici” e abituali) ad accedere con più facilità alle schede video? Un ipotetico silenzio, a questo punto, significherebbe in teoria dichiarare apertamente che persino i clienti fedeli, vengono dopo il mero guadagno “assoluto”.

Restiamo alla finestra in attesa di (si spera) buone nuove…

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