Operazione Nostalgia

Momento alchimia.
Prendiamo un piccolo studio nato nel 2009 in quel di San Pietroburgo, Lazy Bear Games, sommiamo due amici nostalgici degli anni ’80, con un debole per il NES, appassionati delle Tartarughe Ninja e dei film di Schwarzenegger, Stallone e Van Damme, quindi aggiungiamo la voglia di trasformare, una volta per tutte, quella che è una viscerale passione videoludica in un lavoro vero e proprio. Il risultato? Punch Club.
Un titolo arrivato quasi dal nulla su Steam Greenlight e approvato in appena cinque giorni, che a oggi ha venduto qualcosa come 150.000 copie, per un incasso superiore ai due milioni di dollari. Un risultato quantomeno inaspettato se teniamo conto della tipologia del prodotto di cui stiamo parlando. Siete dunque pronti per un salto indietro nel tempo? Ma soprattutto, ve la sentite di salire sul ring?

Punch Club

Punch Club: re dei cliché in un mare di citazioni

Un pugile si sta allenando a pochi passi dai due figli. Li sprona, spingendoli a seguire le sue orme, affermando che un giorno saranno migliori di lui perché forti di un potenziale privo di limiti. Giorni dopo, in un vicolo, viene freddato con un colpo di pistola. L’assassino è un misterioso individuo vestito di nero. Nei suoi ultimi istanti di vita, l’uomo esorta uno dei suoi pargoli a essere forte, facendosi trovare sempre pronto e in grado di affrontare tutte le sfide della vita. Svariati anni dopo, eccoci nei panni di quel ragazzino, oramai cresciuto e desideroso di essere come suo padre: un grande combattente. La sua vita cambia quando si imbatte in “Mick”, grande conoscitore del mondo della lotta nonché vecchio amico del padre. Il buon Mick sin dal primo momento nota qualcosa di speciale nel ragazzo, e decide quindi di prenderlo sotto la sua ala.
Quella appena accennata, probabilmente, non può che apparire quale la più classica e banale delle storie, una di quelle viste e riviste, degna dei più prevedibili film di arti marziali. Sembra… ed è proprio così. È inutile girarci intorno: la vicenda narrata nell’unica modalità di gioco di Punch Club rappresenta (volutamente) un mero tramite intorno al quale costruire tutto “l’effetto retrò” del quale l’intero titolo è impregnato. L’opera di Lazy Bear Games, infatti, ricalca appieno le atmosfere (videoludiche e non) di un periodo lungo più di vent’anni, scomodandone i luoghi comuni oltre che, inevitabilmente, gli intramontabili miti tanto cari agli sviluppatori. Ecco allora innumerevoli citazioni, più o meno esplicite, di numerosi cult cinematografici degli anni ’80 e ’90 quali Rocky (eccezione, 1976), le Tartarughe Ninja (qui simpaticamente trasformate in coccodrilli), Fight Club, Pulp Fiction, Grosso guaio a Chinatown, I 3 dell’Operazione Drago e tanti altri.
Lo stesso comparto tecnico è, nella sua interezza, interamente plasmato in modo da completare questa agognata ode al passato, a cominciare dall’aspetto grafico, arrivato a noi direttamente dal “ventesimo secolo”, con tutti i suoi pixel, i suoi colori, i suoi approssimativi dettagli e le sue animazioni ridotte all’osso. Medesima filosofia per quel che riguarda la colonna sonora, anche se, personalmente parlando, ritengo i temi musicali inseriti nel titolo semplicemente insopportabili: nel mio caso, infatti, delle circa dodici ore impiegate per portare a termine l’avventura, almeno nove le ho giocate con le musiche disattivate. La cosa che più mi incuriosisce è che da quel che posso leggere su Steam molti utenti le adorano alla follia (…). Sarò strano io, ma alla sola idea di ascoltare per un’altra mezz’ora il tema principale, tra una dormita, una bistecca del market e qualche decina di squat in palestra, mi sento male.
Indipendentemente da questo ultimo aspetto, risulta evidente come Punch Club costituisca il risultato di una vera e propria operazione nostalgia brillantemente riuscita, con il grande (e non comune) pregio di farci respirare nuovamente le atmosfere di un’epoca videoludica oramai lontana, inimitabile e, come sembrano suggerire i dati di vendita, mai veramente dimenticata.

Punch Club

Lavora, allenati, mangia, dormi. Ripeti!

Dal punto di vista del gameplay, Punch Club può essere considerato un ibrido contente elementi appartenenti a più generi, rintracciabili nel gioco di ruolo, in quello gestionale e, seppur in minima parte, nella strategia. Il risultato, a conti fatti, rivela una struttura che potremmo forse definire “simil-tycoon”. Proprio questa si rivela essere, senza alcun dubbio, l’arma vincente dell’opera, capace di renderla un prodotto divertente e incredibilmente additivo. L’esperienza di gioco di Punch Club consiste da una parte nelle fasi di “vita” e di allenamento, dall’altra nei combattimenti. Ma andiamo con ordine. Per quanto riguarda le prime, ci troveremo a dover gestire interamente le giornate del protagonista, occupandoci dei suoi bisogni primari (cibo, felicità e stanchezza), del suo portafogli e, soprattutto, delle pesanti sessioni di allenamento in palestra o in garage. Procederemo così spostandoci continuamente da una zona all’altra della mappa di gioco, in modo da raggiungere determinate destinazioni (scoperte tramite il prosieguo della storia) quali per esempio il supermercato, la palestra, il cantiere e la pizzeria, oltre che ovviamente la nostra umile dimora. Inevitabilmente, però, la maggior parte delle nostre giornate verrà spesa all’interno della palestra, dove troveremo ogni tipo di attrezzo utile a migliorare la nostra condizione fisica. Trattasi di una meccanica di gioco apparentemente elementare, che tuttavia richiederà pazienza per essere adeguatamente padroneggiata, soprattutto a causa della presenza del fattore tempo. Alla fine di ogni giornata, infatti, le nostre tre abilità di combattimento, ovvero forza, stamina e agilità, caleranno sistematicamente, andando in realtà a vanificare parte degli sforzi compiuti. Sarà dunque necessario ottenere sempre più punti allenamento di quanti se ne perdano allo scoccare della mezzanotte, a patto di non voler vedere il nostro alter-ego peggiorare nelle sue doti atletiche, con dirette conseguenze negli incontri unite a inevitabili “discese” nelle classifiche dei due “campionati” disponibili.
Appare evidente come il requisito fondamentale per raggiungere il successo in Punch Club consista nell’acquisire un buon ritmo di gioco, il più possibile equilibrato, in modo tale da dedicare la giusta quantità di tempo agli allenamenti, al lavoro (indispensabile per pagarsi l’entrata in palestra e le riserve di cibo), al riposo e allo svago senza lasciare indietro nulla.
Non temete: superate le difficoltà iniziali e assimilata la “routine giornaliera”, sarà tutto in discesa. Stesso discorso per i combattimenti.

Punch Club

Finalmente sul ring

Probabilmente, la scelta più discutibile di Punch Club risiede nei suoi combattimenti completamente passivi. Durante gli incontri, infatti, dovremo limitarci a fare da spettatori, con la possibilità di intervenire unicamente alla fine dei round, aggiungendo o rimuovendo specifiche abilità e mosse a seconda della nostra tattica, del tipo di avversario che ci troveremo di fronte o semplicemente in base all’andatura del match. Concretamente parlando, oltre che “automatici”, gli incontri si presentano anche semplici, con una meccanica di combattimento in dipendenza di due sole “barre”, una degli HP, l’altra dell’energia. Se la prima di queste non necessita di alcuna spiegazione, è bene mettere subito in chiaro il ruolo della seconda: l’utilizzo di ogni specifica tecnica, sia difensiva che offensiva, ne consumerà infatti una piccola porzione. Esaurire totalmente l’energia può avere effetti disastrosi, obbligandoci a rimanere pressoché immobili, in balia dell’avversario e completamente esposti ai suoi colpi. È proprio grazie a quest’ultima feature che Punch Club può vantare quel già menzionato pizzico di strategia, capace di obbligarci a valutare accuratamente ogni singolo avversario a seconda delle sue caratteristiche fisiche. Per fare un esempio, seguire ogni volta una tattica improntata al 100% sulla forza bruta, anche nel caso in cui il nostro rivale si presenti come un funambolo dall’agilità mirabile, si rivelerà un gesto folle, che con ogni probabilità ci condurrà a sferrare una lunga serie di colpi a vuoto, rimanendo così senza fiato e venendo messi al tappeto già entro la fine del primo round. Un tentativo di differenziazione che personalmente ho apprezzato parecchio, ben visibile anche attraverso l’ottimo sistema di progressione del personaggio, consistente nella fruizione di uno Skill Tree che ci permetterà di apprendere innumerevoli nuove tecniche, sia attive che passive, in aggiunta a nuovi stili di combattimento, il tutto tramite la spesa dei “gettoni” guadagnati con i combattimenti.

Punch Club

Concludendo…

Seppur carente sotto più punti di vista, Punch Club costituisce un interessantissimo titolo “old-school”, forte di una fascino non comune e di un gameplay capace di catturare il giocatore in maniera davvero sorprendente. In quelli che sono i giorni dell’ossessione per il frame rate e le risoluzioni, Lazy Bear Games entra in punta di piedi nel mondo videoludico con un prodotto fieramente indietro coi tempi, “vecchio” sia fuori che dentro. Un atto di coraggio degno di stima, premiato con un successo quanto mai inaspettato.

CI PIACE
  • Meccaniche di gioco semplici, divertenti e sorprendentemente additive.
  • Interessante sistema di progressione del personaggio.
  • Numerosissimi riferimenti ai miti del cinema (e non solo) degli anni ’80 & ’90.
  • Grandiosa “atmosfera retrò”.
NON CI PIACE
  • Davvero povero di contenuti: un’unica modalità di gioco.
  • Presenta un sistema di combattimento decisamente discutibile, completamente passivo.
  • Colonna sonora (secondo il sottoscritto) alla lunga insopportabile.
  • Scarsa rigiocabilità.
Conclusioni

Seppur carente sotto più punti di vista, Punch Club costituisce un interessantissimo titolo “old-school”, forte di una fascino non comune e di un gameplay capace di catturare il giocatore in maniera davvero sorprendente.

6.7Cyberludus.com

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"Gino" per gli amici. Studente di Lingue e Culture dell'Asia, è appassionato di cinema, musica, viaggi e videogiochi. Conduce un'esistenza solitaria da qualche parte sui bricchi, ove ancora l'unico mezzo di comunicazione consiste nell'uso di piccioni viaggiatori.

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