A me A Link To The Past non è piaciuto. E qui già vedo un sacco di manine che, furenti, afferrano il mouse e cliccano la loro bella croce in alto a destra (o la loro sferetta in alto a sinistra). Ogni volta che dico una cosa del genere la gente prepara del legno buono, dei chiodi e un martello e mi incita a rivivere alcuni tratti biblici: per tutti quelli che si chiedono come mai non riesca ad apprezzare pienamente A Link To The Past il perché è presto detto… Ok, l’ho giocato tardi, solo per la tesi, ma penso che potesse benissimo esistere su NES. Narrazione scheletrica pur con eccellenti oggetti e ottimi dungeon, questo è assolutamente vero, ma nulla che a mio avviso non potesse essere proposto anche su quel parallelepipedo grigio che in molti hanno ospitato nel loro salotto. Volendo, forse, essere più onesti, A Link To The Past semplicemente non è invecchiato benissimo, come molti (ma non tutti) altri titoli della serie: se mi leggete da un po’ sapete bene che qui la penna zeldiana, ormai, sono io da diversi anni ma potete immaginare la mia paura e la mia insicurezza quando mi è stato chiesto di scrivere di A Link Between Worlds? Spoiler: è uno dei migliori giochi di tutti i tempi. Attenzione. “Giochi”… Non “Zelda”… “Giochi”! Io non lo avrei mai detto, e qui sta esattamente grandissima parte del bello di questa esperienza.
Parallelismi oscuri
Link è a letto nella sua casetta, ma questa volta non ci sono parenti a svegliarlo… Dalla porta entra Grì, il figlio del fabbro, che lo incita ad andare immediatamente al lavoro per non fare arrabbiare il padre: deve consegnare una spada dimenticata da un guerriero reale di Hyrule. Link si dirige verso il castello, mentre i soldati sono intenti a pulire degli strani affreschi indelebili… E’ proprio in quel momento che Yuga, potente mago, raffinato esteta e gemello separato alla nascita di un antagonista di un manga stranoto, inizia le sue scorribande e prende a trasformare tutti in dipinti, perfino la figlia del sacerdote Seres e la stessa principessa Zelda! Quando Link viene trasformato in un affresco, tuttavia, un puzzolente braccialetto regalatogli dallo strano mercante Lavio lo salva, permettendogli di passare dalle tre alle due dimensioni a suo piacimento, fino a che nemmeno i muri sono più un ostacolo quanto, piuttosto, una piacevole passerella… E’ solo l’inizio dell’avventura di quello che, di nuovo, sarà l’eroe di Hyrule e, forse, anche del suo regno corrispettivo più tetro e tragico, Lorule… Che le dee siano con te, giovane eroe!
Come un 3DS, ma senza slider
Chi ha avuto a che fare in passato con uno degli Zelda bidimensionali degli anni ’90 (non solo A Link To The Past ma, volendo, anche l’immenso Link’s Awakening e i due Oracle) proverà immediatamente una meravigliosa sensazione di agio, come essere tornati a casa dopo tanto tempo: lontano dagli episodi per DS, lontano dalle ultime uscite su console casalinga, lontano da quasi tutto, A Link Between Worlds sembra un gioco degli anni ’90 traslato magnificamente su una macchina di oggi che, però, sostituisce tutti i punti deboli di un titolo del passato con diverse manciate di efficace ed interessante modernità. Il circle pad permette di muovere Link a 360° con precisione chirurgia, limitando alle ‘vecchie’ otto direzioni soltanto con l’uso di determinati oggetti: l’eroe può equipaggiare due strumenti alla volta, selezionandoli comodamente dal touch screen, e utilizzarli premendo X e Y mentre il vostro pollice si getta violento e veloce sul tasto B per menare fendente su fendente con la propria spada. I tasti dorsali, non subito utilizzati, vengono poi adibiti all’uso degli stivali di pegaso (tasto L) e dello scudo (tasto R), una scelta di estrema intelligenza e comodità… quello che cambia, invece, è il meccanismo di ottenimento degli strumenti stessi! Lavio, infatti, dopo avervi regalato il braccialetto, decide di allestire a casa di Link un vero e proprio luogo di noleggio di armi e oggetti: boomerang, martello, arco, bombe, arpione, tutte facce conosciute, si possono ottenere solo ed esclusivamente pagando la quota di noleggio a Lavio e si possono mantenere in tasca propria fino al momento del Game Over, dopodichè sarà necessario noleggiarle nuovamente. Inizialmente si prova un po’ di disorientamento: perché non far lottare il giocatore contro le strutture dei dungeon per ottenere uno strumento alla volta, come sempre? La domanda trova due ottime risposte: innanzitutto, avere tutti gli oggetti disponibili fin da subito (rupie permettendo) diminuisce meravigliosamente la frustrazione che si prova nel camminare per Hyrule e non poter, per esempio, accedere ad una grotta o scalare una montagna solo perché non si è in possesso dell’oggetto necessario; in questo modo al giocatore è offerta una libertà esplorativa maggiore fin dal principio, garantendo ad Hyrule una costituzione da mondo unito e non frammentato, molto più piacevole da esplorare e da scoprire. In secondo luogo, questo lascia al giocatore la possibilità di esplorare tutti i dungeon del gioco nell’ordine che preferisce, in quanto si percepisce meno opprimente la sensazione di utilità di uno strumento per la singola situazione.
I dungeon stessi, oltretutto, sono costruiti in modo tale che l’uso di un oggetto sia necessario e indispensabile ma non pesante e ripetitivo, metodo di costruzione zeldiano vicino all’inedito: oltre a questo, si può tranquillamente aggiungere che tutte le prigioni sono costruite con estrema cura, lunghe il giusto e senza tratti ostici al punto da dover stare a pensare vagando senza meta per minuti e minuti. Il cervello viene stimolato in maniera creativa in ogni singola stanza, specie grazie alle nuove opportunità create dalla trasformazione di Link in affresco, una meccanica implementata deliziosamente e che offre all’insieme una freschezza inedita e ai puzzle presenti una nuova, fantasiosa spinta. Non mancano oggetti opzionali da recuperare, frammenti di cuore a iosa e una fantastica missione secondaria, volte al potenziamento dei propri oggetti, di fronte alla quale chiunque abbia anche solo un minimo di cuore non potrà dire di no (stupidi paguri pacioccosi) e una serie di minigiochi legati al guadagno di rupie… In questo Zelda i soldi sembrano uscire da ogni pertugio ma ne avrete bisogno sempre come il pane, anche quando si parla di migliaia di migliaia di quei piccoli preziosi verdi! La cosa davvero esaltante è che tutto, TUTTO riesce a scorrere con una semplicità così positiva da trasformare questo titolo in un piccolo capolavoro di game design, una sorta di manualetto da avere sempre con sé… Ma sono sentimenti che vanno oltre le parole, l’unico modo per viverle è farne diretta esperienza. Fortuna nostra.
Una questione di (porta)cuore
Mentre stavo provando A Link Between Worlds mi è stato chiesto se era uno Zelda con il cuore. La mia risposta? Dipende. Dipende da cosa di intende con ‘cuore’ quando si guarda a The Legend Of Zelda. Si potrebbe quasi tracciare una linea che divide due distinte anime di tutta la serie: il cuore di gameplay e il cuore di umanità. Il cuore di gameplay è, più o meno, rintracciabile in tutti i The Legend Of Zelda, specie quelli dove il mondo di gioco e i dungeon sono costruiti in maniera impeccabile e seducente, pronti a far provare al giocatore l’impressione di essere davvero vivi, attivi, utili, A CASA all’interno di quel mondo: questo è il caso specifico di questo A Link Between Worlds ma anche di capolavori del passato come Ocarina of Time e le prime avventure della saga. Poi c’è il cuore di umanità, quello che non sacrifica il gameplay, certo, ma che preferisce stare in vita grazie alla trasformazione di Link in un essere umano plausibile, così come è stato rappresentato in The Wind Waker (questione che ho già approfondito nell’articolo ad esso dedicato) e in Skyward Sword, tra i tanti. Quale preferire, dei due? Qual è il cuore ‘migliore’, per The Legend Of Zelda? A questa domanda, a mio modestissimo avviso, non esiste una risposta esatta (a parte, forse, Link’s Awakening, che riesce magistralmente ad unire tutti e due gli aspetti su una cartuccia per Game Boy, brillantemente impensabile ed assurdo). Ognuno ha la sua risposta: è la risposta che ha fatto piangere me alla fine di Link’s Awakening, è la risposta che ha fatto piangere me alla fine di questo A Link Between Worlds, è la risposta che farà piangere un cultore del game design e della sorpresa di fronte al suo Zelda, a quello che gli corrisponde maggiormente. Una commozione che va oltre la partita, che fa collidere mondi altrimenti paralleli: l’emozione della sorpresa, dell’apertura, del genio. E non sono in tanti a riuscirci. Cosa resta di questo A Link Between Worlds? Resta un’avventura che segue un filo sublime, con una rappresentazione grafica eccellente e che, a tratti, richiede la terza dimensione attiva come forma di rispetto. Resta una colonna sonora piena di riferimenti, di passato che si fonde a presente e che si spera diventi futuro. Resta una funzione Streetpass tutta da spolpare, perchè implementare così Link Ombra non è da tutti. Restano tante, tantissime cose. Una che possa rispondere ad ognuno di voi c’è di sicuro.
Concludendo…
E’ difficile chiudere su A Link Between Worlds perchè rappresenta un legame videoludico inscindibile: Hyrule e Lorule unite, giocatore e gioco uniti, e si uniscono perfino gameplay e umanità, missione non semplice ma qui compiuta con chiarezza e costanza. Non è soltanto un sequel di quello che molti considerano un classico: è una meraviglia antico-moderna, è la definizione di come costruire bene un videogioco senza esagerarne i migliori aspetti. A Link Between Worlds funziona bene e funziona bene tutto, dal primo all’ultimo respiro. Un’esperienza alla quale le parole non potranno mai fare sufficiente giustizia: prendete un 3DS, recuperatelo e vivetelo. Quando, dopo 20 ore, tutto sarà finito, sentirete ancora il bisogno di salvare dei regni, sentirete ancora il potere della Triforza scorrere in voi: significa che, forse, avrete trovato qui il vostro cuore. Cuore che, però, prima va cercato e non si poteva chiedere un percorso migliore.