Il primo Lost Planet uscì nel lontano 2007; tre anni dopo, nel 2010, venne prodotto un seguito: mantenendo un impeccabile tabellino di marcia, è stato rilasciato quello che, per il momento, rappresenta l’ultimo capitolo della saga, ossia Lost Planet 3. Facile, a questo punto, ipotizzare che Lost Planet 4, sempre che si farà, vedrà la luce nel 2016. La serie, sin dalla sua nascita, ha sempre diviso abbastanza critica e pubblico, tra folle di ammiratori, non troppo esagitati ad ogni modo, e detrattori rapidi nel definirla una serie anonima e senza spina dorsale, capace di vendere quel tanto che basta e di esaltare lo stretto indispensabile, guadagnando nel corso di questi sei anni la reputazione di “titoli validi, ma nulla di eccezionale”. Sarà riuscito Lost Planet 3 a compiere il tanto atteso salto di qualità? Siamo sinceri: dopo aver letto che Capcom aveva affidato lo sviluppo del titolo ad un team esterno, e più precisamente ai ragazzi di Spark Unlimited, siamo stati assaliti dai brividi. Perché? I ragazzotti in questione sono gli stessi sviluppatori di Legendary: un titolo che, come molti di voi ricorderanno, era tutto fuorché leggendario. Il saggio dice che si può imparare molto dai propri errori: Lost Planet 3 è il banco di prova perfetto.

Nemmeno per tutti i soldi del mondo

Jimmy Peyton è un padre di famiglia, sposato con una donna affascinante, e di mestiere fa il minatore. Se sulla Terra questa mansione può essere annoverata tra le più massacranti e pericolose, immaginatela in un pianeta ostile completamente ghiacciato, abitato da creature ostili e di dimensioni variabili dall’insignificante al “oh mio dio prendi la moto e scappiamo il più velocemente lontano da qui”. Sullo sperduto pianeta EDN III Jim ogni giorno si sveglia, indossa la sua bella tuta termica che non permette alla sua folta barba di congelarsi, prende un caffè, monta sul suo mech personale e poi via per il suo turno di lavoro, equamente diviso tra il recupero dell’energia termica, il motivo principale della spedizione della Nevec, lavori di manutenzione alla base e l’uccisione di Akrid di tutte le taglie. Tutto questo solo ed esclusivamente per la propria famiglia. Non vi nascondiamo che la trama e la sua narrazione rappresentano i momenti migliori di tutto il gioco, che arricchisce il personaggio Jim Peyton e tutti quelli che vi sono attorno, dalla moglie ad alcuni colleghi, grazie a degli stratagemmi narrativi davvero azzeccati. Le cutscenes sono ben orchestrate e mostrano una qualità mai vista prima in un titolo della serie, segno che il passaggio all’Unreal Engine 3 è stata cosa buona e giusta: a prescindere dalla bellezza estetica è nei video-messaggi con la moglie che si riesce a cogliere la genuinità del personaggio Jim e della sua vita su EDN III, delle difficoltà di una famiglia, del sacrificio di un padre e di un marito premuroso, pronto a qualsiasi cosa per assicurare un futuro alle persone a lui più care. Questa autenticità avvalora una storia che, nelle prime fasi, vive di riflesso dei cliché delle centinaia di titoli “uomo Vs. mostri” usciti finora, per poi salire rapidamente di qualità traghettando il giocatore sino al finale, con vivo interesse ed entusiasmo.

Non è soltanto la trama ad avviarsi con lentezza: anche l’azione pura e cruda ci mette un po’ a palesarsi, con il pathos che raggiunge una soglia soddisfacente soltanto dopo diverse ore di gioco, passate tra cunicoli, grotte, ancora cunicoli e ancora grotte. Un pattern ambientale decisamente ripetitivo e che solo di rado viene interrotto da ampi spazi aperti, giusto quando dovremo affrontare qualcuno degli enormi boss proposti dal gioco, vero marchio di fabbrica per la serie Capcom. Come affrontare un granchio gigante dal carattere difficile e grande quanto una nave? Semplice, con il nostro caro amico Rig.

Rig, mon amour

Il Rig altro non è che il nostro più fidato compagno di lavoro, un robot alto quasi dieci metri con cui attraversare le lande ghiacciate di EDN III e nel quale saremo praticamente invulnerabili, al riparo sia dagli Akrid sia dalle imperiose tempeste che imperversano incessantemente sul pianeta. Un mezzo di locomozione abbastanza lento e macchinoso ma che offre la protezione necessaria e, soprattutto, può essere utilizzato anche per difendersi. Scordatevi, però, armi al laser o gatling che escono dalle mani come nella migliore tradizione dei robottoni: il Rig è un mezzo da lavoro e, a causa di una postilla burocratica del contratto Nevec, non può essere equipaggiato con armi di alcun genere. Ma potremo sempre menare le mani e, in questo caso, stiamo parlando di mani da alcune tonnellate l’una. I comandi sono basilari e sin troppo ripetuti a schermo: avremo a disposizione una parata che se usata con il giusto tempismo ci permetterà un rapido contrattacco, un pugno con la mano sinistra e la possibilità di usare il gigantesco trapano, che ricorda molto quello dei Big Daddy, nella mano destra. Quest’arsenale ristretto, e la macchinosità del Rig stesso, rendono i combattimenti al suo interno abbastanza noiosi e meccanici, dove bisognerà più che altro premere il tasto giusto nel momento giusto: fortuna vuole, che queste sessioni si possono contare sulle dita di una mano dato che, la principale funzione del Rig, sarà quella motoria. L’eccessiva rigidità del Rig può essere individuata, in forma diversa, anche nell’ambientazione, troppo ancorata allo schema tunnel-camera già citato prima e che difatti annulla completamente la libera esplorazione, costringendo il giocatore a percorrere l’unica strada percorribile senza mai avere la benché minima idea di dove si trovi la nostra destinazione. Va da se che, le missioni affrontate, risentiranno di questa struttura, con le classiche “tira la leva” e “accendi il generatore” presenti in maniera massiccia, con una punta di backtracking che farà storcere il naso più di una volta. Non stupisce il fatto che, con il progredire della storia, tralasceremo completamente le missioni secondarie, fotocopie di quello che affronteremo nella main quest e tutte uguali tra di loro, con il solo incentivo di poter recuperare crediti o potenziamenti particolari che poi potremo applicare al nostro Rig. Un circolo vizioso che in parte rovina l’esperienza di Lost Planet 3, ma forte di una trama ben raccontata e descritta, di personaggi studiati e solidi, seppur semplici nella loro natura, esce comunque a testa alta. Come quella di un Akrid di classe G.

Liscio come una lastra di ghiaccio

Abbiamo già parlato della bellezza visiva messa in mostra dai protagonisti della vicenda e dal loro saper essere veri nella recitazione: è giusto, dunque, fare un plauso agli sviluppatori che, abbandonato il motore proprietario di Capcom usato per i precedenti Lost Planet, hanno preso il solido Unreal Engine 3 e lo hanno adattato alle loro esigenze. Il risultato è buono. Anzitutto stiamo parlando di un motore collaudatissimo e che mantiene il frame rate cementato sulla soglia di goduria dei 60 fps; oltre alla solidità, riesce a fare sfoggio di una qualità davvero sopra le righe, capace di stupire e meravigliare sia durante gli scontri con gli Akrid maggiori, sia durante le nostre passeggiate sul limitar della montagna, con scorci e viste da mozzafiato. Dove i level designer hanno peccato è nello sviluppo degli ambienti, troppo uguali tra loro, e nelle tante tane di Akrid che visiteremo, semplici copia incolla con geografia differente. Gioiscano poi gli italianisti: Lost Planet 3 fa parte di quella, purtroppo, ristretta schiera di titoli in cui il doppiaggio nella nostra lingua non è stato affidato e diretto da scimmie idrofobe, ma a persone valide, come dimostra l’ottimo risultato che delizierà le nostre orecchie.

Un lavoro coi fiocchi di neve

Lost Planet è riuscito, durante questi sei anni, ad evolversi e stupire. Guardando al terzo capitolo non si può fare a meno di notare di come i ponti con le origini siano stati quasi tutti irrimediabilmente tagliati, in favore di un adeguamento ad alcuni standard e la sperimentazione verso altre caratteristiche, con il necessario abbandono di altre. Con una prospettiva privilegiata riusciamo ad osservare Lost Planet 3 con calma e nella sua totalità e possiamo affermare che questo distacco dal concpet materno è indolore, a giudicare dal buon risultato ludico offerto da Lost Planet 3, un titolo che sicuramente riuscirà ad appassionarvi e farsi giocare senza pericolosi cali di concentrazione, svolgendo al meglio il compitino senza strafare. Ai nostri occhi imparziali, Lost Planet 3 è senza ombra di dubbio un buon titolo action, confezionato a dovere con tutti i lustrini del caso: l’ennesimo TPS sul mercato, ma un TPS degno di considerazione.

CI PIACE
  • Ottima narrazione
  • Semplice ed immediato
  • Graficamente impeccabile
  • Buon doppiaggio
NON CI PIACE
  • Level design abbastanza ripetitivo
  • I combattimenti con il Rig sono solo mediocri
  • Missioni secondarie ripetitive
  • Boss fight belle ma con un grado di sfida basso
Conclusioni

Credo che Lost Planet 3 abbia fatto quel salto di qualità tanto atteso: non sarà stato un gigantesco salto in avanti, ma è pur sempre un bel miglioramento rispetto al passato. In questi sei anni la saga è matuarata, cresciuta, si è arricchita e può adesso vantare una nuova solida base dalla quale ripartire per il futuro.

7.5Cyberludus.com

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