Cosa potremmo dire di nuovo, di un gioco che è uscito da alcune settimane ed è già stato provato, descritto, studiato ed interpretato da recensori più o meno esperti di noi? E cosa dire di un gioco che i più hanno già portato a termine e, forse, cominciato nuovamente? Non molto, direte voi, ma noi vogliamo provarci. Perché al di sotto di texture, mappe, schede dei personaggi e scelte morali c’è molto di più: c’è l’Era del Drago, c’è Dragon Age: Origins. L’ultimo capolavoro di Bioware che arriva a dettar legge nel suo genere e lo fa in una maniera mai vista prima. In modo analogo vogliamo fare anche noi, per voi.
Che la storia abbia inizio
Gli elfi Dalish sono gli ultimi “veri elfi” che mai si sono piegati ai più numerosi e imperiosi uomini, che sono i veri dominatori di Ferelden, il mondo di gioco. Divisi in clan ma uniti dalla comune religione e dai costumi, si distinguono fieramente dai modesti “elfi di città”, che preferiscono sfidare il razzismo e l’integrazione con gli uomini a prezzo di schiavismo o leggi mortificanti come lo “ius primae noctis”.
I Dalish sono antichi quasi quanto i Nani, fieri e potenti abitanti di un regno da sempre temuto e rispettato.
Noi abbiamo scelto (tra i sei personaggi e le tre razze a disposizione) di essere uno degli ultimi Elfi Dalish rimasti al mondo, un guerriero (le uniche alternative sono il mago e il ladro) al servizio della comunità che difende i labili confini della tribù dalle minacce e dai curiosi. Un giorno qualunque, affiancati dal nostro amico Tamlen, puntiamo gli archi contro tre uomini in fuga. Già dai primi istanti di gioco siamo chiamati in causa in scelte molto importanti. Il nostro compagno d’arme fa leva sul nostro giudizio per decidere della vita o della morte dei tre intrusi. Secondo Tamlen sono delle spie o peggio ma lascia a noi l’estrema decisione. Scegliamo, così, di fidarci delle loro suppliche, i loro sguardi sembrano sinceri.
Li interroghiamo riguardo la loro fuga e li indirizziamo verso la direzione opposta al nostro accampamento nella foresta. Prima di lasciarli andare ci confidano che vi sono dei ruderi abitati da creature mostruose nel cuore della foresta. Stentiamo a credere ad una cosa del genere, dopotutto conosciamo quei luoghi meglio di chiunque altro, ma ad ogni buon conto decidiamo di vederci chiaro e – ignorando il nostro dovere di avvertire il capo tribù – andiamo in esplorazione insieme all’impavido Tamlen.
Ci inoltriamo nella foresta selvaggia, senza tempo e senza padroni: alte conifere e sentieri a malapena battuti ci instradano, ci fermiamo a raccogliere alcune radici elfiche, ottime per creare infusi che restituiscono salute, e ci imbattiamo in esseri mostruosi e deformi, armati di tutto punto e decisamente ostili. Grazie alle nostre abilità di tiratori e spadaccini abbiamo la meglio ma fino al raggiungimento delle misteriose rovine dobbiamo fare i conti con una decina di questi esseri: chi o cosa sono?
Arriviamo in questo misterioso e monumentale luogo che ha tutta l’aria di essere un tempio molto antico. Sembra opera dei Nani dei primordi, eppure al suo interno troviamo alcune sculture tipicamente elfiche. “Gli elfi abitavano in edifici di pietra?” ci chiediamo giustamente, ma non abbiamo il tempo di fare i turisti: ragni giganti ed altre creature mostruose come quelle incontrate nella foresta incombono su di noi. Dopo averci fatto largo tra queste insidie e trappole mortali, arriviamo in una sala in cui giace uno specchio. Personalmente non notiamo nulla di strano in esso, ma Tamlen sostiene di vedere qualcosa attraverso e tocca lo specchio.
Accade tutto troppo in fretta, un lampo ci acceca e ci fa perdere conoscenza. Riapriamo gli occhi solo un secondo, per notare una misteriosa figura in armatura grigia, poi si fa buio pesto.
I Custodi Grigi e il Flagello
Ci risvegliamo nel nostro villaggio. Al di là dei rimproveri del capoclan, veniamo a sapere che quel cavaliere misterioso ci ha tratto in salvo. Purtroppo per Tamlen non c’è più niente da fare: è caduto preda della “Prole Oscura”, questo è il nome dato alle mostruose creature simili ad orchi di “Tolkieniana” memoria (il nome originale di questi è “Dark Spawn”).
Il nome del cavaliere che ci ha salvato è Duncan, e fa parte dei mitici “Custodi Grigi” (o Grey Wardens, come si dice in inglese), un esercito senza re e senza padrone che nacque con un solo scopo: ricacciare il Flagello da dove è venuto. Ma cosa è il Flagello? E’ un drago corrotto dalla “Prole Oscura”, dotato dei poteri di un dio e capace di distruggere l’ordine delle cose, per gettare il creato nel caos e nella rovina.
Dopo quattrocento anni dall’avvento dell’ultimo Flagello, la storia sembra ripetersi e Duncan ha visto in noi un potenziale Custode Grigio.
Raramente gli elfi Dalish sono entrati a far parte di questa schiera, ma Duncan sa riconoscere un guerriero talentuoso da uno che non lo è. E poi siamo stati macchiati dalla disavventura condivisa con Tamlen: il sangue della Prole Oscura ci ha corrotto e solo militando tra i Custodi Grigi potremmo uscirne vivi.
Ci rechiamo, così, nella fortezza di Ostagar insieme a Duncan per apprendere le basi per divenire un Grey Warden. Faremo la conoscenza del templare Alistair e di re Calian, tra i tanti altri, ma dobbiamo interrompere qui la nostra storia.
Le origini del nostro personaggio sono state spiegate, le scelte compiute hanno fatto il loro corso e molte altre ne faremo, quasi ad ogni passo. Chissà cosa sarebbe successo se avessimo ucciso i tre intrusi nella foresta, se il destino di Tamlen fosse stato diverso se fossimo tornati subito al villaggio piuttosto che avventurarci da soli in un ambiente sconosciuto e ostile. Non sappiamo se, con parole più severe, avremmo fermato le mani del nostro amico prima che toccasse lo specchio magico. Le alternative appartengono un’altra storia: la storia di un altro giocatore, magari proprio quello che sta leggendo queste righe.
Sei personaggi in cerca d’autore
La cosa che più colpisce gli appassionati di Gdr (o giochi di ruolo) è l’importanza delle scelte affidate a noi giocatori, che si ripercuotono sia a breve termine che a lungo termine. Ogni nostro gesto può avere ripercussioni nelle immediate vicinanze oppure nell’intero mondo di gioco.
Lungi da noi portare esempi che possano rovinare la storia o l’esperienza di gioco, basti sapere che Dragon Age: Origins sembra, più di ogni altro titolo, un fantastico libro tutto da giocare. L’autore di Dao è solo il giocatore, alle prese con una quantità di alternative così ampia e così sapientemente inserita nel contesto da rendere, in pratica, ogni partita unica e diversa dalla precedente (sempre che non si decida di ripetere le stesse scelte pedissequamente).
Non ci si annoia mai, c’è tanto da vedere e altrettanto da fare. Possiamo fermarci e parlare con i nostri compagni di party, che saranno tre, più il nostro protagonista, per un totale di quattro componenti. Gli altri resteranno “ai box” e pronti ad entrare in causa quando più lo desideriamo. Come detto in precedenza, avremo a disposizione tre razze: Elfi, Uomini, Nani; e tre classi: guerriero, mago, ladro.
Analogamente a quanto accade nei giochi di ruolo online di massa (o mmorpg), dopo aver raggiunto un certo livello e certe caratteristiche potremo entrare a far parte di una classe specializzata. Nel caso del guerriero segnaliamo quelle del campione, templare, berserk e il mietitore d’anime. Allo stesso modo sono trattate le classi di mago e ladro, che aprono le porte ai vari guerrieri arcani, ranger, bardi, assassini, duellanti, maghi del sangue et cetera: tutte classi singolari e mai viste prima, in perfetta armonia con il titolo in questione.
Dragon Age: Origins non si basa su classici sistemi di regole pre-confezionate quali possono essere la “seconda o terza edizione di dungeon & dragons” o il sistema del “d20” tanto apprezzato in titoli del calibro di Jade Empire o Knights of the Old Republic.
I complessi calcoli delle abilità e dei talenti sono quasi offuscati da un impostazione che chiama il giocatore semplicemente a vivere la sua esperienza di gioco senza troppe preoccupazioni. Ad ogni passaggio di livello, o quasi, si avrà la facoltà di scegliere le abilità più congeniali al proprio modo di giocare: preferiamo sviluppare capacità di combattimento o diplomatiche? A noi la scelta, ovviamente.
Altra cosa molto importante è che, sebbene Dao sia spiccatamente “action”, tanto da ricordare a tratti The Witcher di Cd-Projeckt Red, quasi tutte le missioni possono essere risolte attraverso la diplomazia, se ne siamo capaci, e questo è un dettaglio non da poco. Molti potrebbero pensare che Dao, sotto il bell’impatto visivo, offra solo duelli all’arma bianca, magie ed evocazioni.
E’ sorprendente, invece, notare che l’azione è imperante solo tra un incarico e l’altro, non facendo mai venire a noia gli spostamenti o le esplorazioni. Alla resa dei conti e durante i dialoghi più importanti, invece, c’è sempre la possibilità di porre fine alle questioni senza spargimenti di sangue.
Vogliamo ribadirlo ancora una volta: Dragon Age Origins è, più di ogni altro titolo da noi provato fino ad oggi, un bellissimo racconto tutto da gustare, assaporare e vivere con intensità. Ogni partita è diversa dalle altre e la gestione del personaggio è semplice, intuitiva e accessibile anche ai neofiti.
Epico, eroico, “dark” e fantasy. In una parola: unico
Fin dalle prime battute di gioco la sensazione è proprio quella descritta dal sottotitolo qui sopra, che fa eco alle descrizioni semplicistiche rilasciate dagli sviluppatori. Mai prima d’ora siamo stati protagonisti in un mondo così crudele, oscuro, in cui bene e male non esistono o risultano semplicemente distorti, corrotti.
Un mondo oscuro (dark) e profondamente mistico e gotico al contempo, come ogni produzione occidentale del genere Gdr. Un mondo il cui destino è affidato agli “eroi”, che non sono altro che personaggi comuni, figli del loro tempo e della loro cultura, che si ritrovano a dover fare i conti con una minaccia universale e che devono mettere da parte orgogli razziali, religiosi e politici se vogliono avere una possibilità di successo.
Visivamente parlando, l’ultimo prodotto di casa Bioware non garantisce l’impatto spettacolare e cinematografico di Mass Effect, né l’esotismo di Jade Empire.
La profondità di campo è ben implementata e aumenta l’effetto cinematografico delle scene. Il design degli avversari è certamente ispirato a pellicole quali “Il Signore degli Anelli” ma è ricercato e singolare. Non verrà mai in mente di dire che qualcosa, in Dao, è stato già visto altrove.
I livelli sono strutturati in moduli (cioè “chiusi” ad aree) ma molto ampi e ricchi di biforcazioni o locazioni da esplorare: una scelta particolare che discosta questo titolo dal filone dei Gdr “free roaming” come Oblivion e lo rende comunque estremamente curato e ricco di dettagli (come The Witcher).
Anche la colonna sonora non è da meno, e concorre ad elevare la qualità finale del titolo.
I brani sono tutti affidati ad un’orchestra sinfonica e grandi sforzi sono stati fatti per un risultato finale che unisce epicità, fantasia e sinfonia al servizio del giocatore. Il motore che muove grafica, avversari e sonoro di Dao è in ogni caso molto valido, spettacolare a tratti e – cosa non da poco – leggerissimo. Pur essendo un titolo multipiattaforma di ultimissima generazione, Dragon Age si presenta molto poco esigente in termini di richieste hardware.
Se queste non sono minimamente preoccupanti in ambito console, lo saranno molto di più in ambito Pc Windows. Noi abbiamo provato Dragon Age Origins su un dual core 1.83 ghz, 4Gb di ram e una Ati Hd 3470: non un mostro di potenza dunque, tuttavia siamo riusciti a gustarci il massimo dei dettagli pur sacrificando molto sulla risoluzione. Il risultato? Estremamente performante e non di meno spettacolare. Se c’è un Gdr su cui un utente può puntare tranquillamente senza “litigare” con la propria configurazione hardware, quello è Dragon Age Origins.
Uno dei GdR Fantasy migliori di sempre
Dragon Age: Origins è un Gdr che fa della narrazione la sua arma, della gestione del combattimento il suo scudo e dell’impianto grafico/sonoro la sua armatura. E’ un gioco tutto d’un pezzo che si fa apprezzare per l’estrema cura dei dettagli in ogni sua parte. Graficamente non fa gridare al miracolo ma è comunque una delle migliori produzioni create. Non offre gli sfondi da cartolina di The Witcher né la cinematografia di Mass Effect, ma riesce a difendersi alla grande. La gestione dei combattimenti è semplice, la pausa tattica si rivela utilissima per gestire le posizioni adatte per ogni personaggio (i maghi lontani dalla mischia e i guerrieri in prima fila è l’esempio più banale da ricordare) e la gestione delle tattiche predefinite da affidare all’intelligenza artificiale è di semplice utilizzo e profonda allo stesso tempo. Il gioco offre una sfida sempre all’altezza della situazione e -non finiremo mai di ribadirlo- concedere al giocatore la virtuale “penna d’oca” per scrivere la sua storia de “le origini dell’Era del Drago” è stata una scelta veramente e piacevolmente disarmante. Calarsi in un universo narrativo cupo e crudele come quello tramandatoci da G.R.R. Martin (con il suo “Trono di Spade”) e scriverne gli sviluppi è una delle più belle esperienze videoludiche più belle di sempre, che ogni videogiocatore che si rispetti dovrebbe provare almeno una volta nella vita.