Scritto da Mikhail Vadalà
NOTA INIZIALE:Questa lunga analisi vuole essere solo una lettura interpretativa di un’opera decisamente complessa e multiforme come “Scott Pilgrim Vs. The World”. In quanto interpretazione, il risultato di queste analisi non è assoluto e, anzi, per qualsiasi domanda o chiarimento ognuno di noi redattori di Cyberludus è disponibile al dialogo, vista la qualità dell’oggetto trattato. Per meglio comprendere questo testo è consigliata, precedentemente, la visione del film (sia per una migliore consapevolezza sia per la presenza di alcuni spoilers).*
Il furto di idee Vs. il ruolo storico dell’adattamento da altri linguaggi
Nel cinema moderno il furto di idee, e di linguaggi, di altri mondi è diventata una sorta di norma non scritta, necessaria a superare i blocchi (o meglio limiti) dei giovani sceneggiatori hollywoodiani. Si pesca da dove si può, sono venuti prima di tutti i fumetti, e relativi ai super eroi, poi l’adattamento di blande serie televisive oppure finali cinematografici per le stesse (abitudine ereditata dall’animazione giapponese), poi sono arrivati i videogiochi . Difficile capire quale sia il prossimo media pronto a essere saccheggiato, e in fin dei conti non è nemmeno l’argomento di cui ci occuperemo oggi. Il sottoscritto non è affatto avverso agli adattamenti “da altri mondi”, tutt’altro, è bene ricordare infatti che il cinema da tempo infinito reinterpreta il linguaggio letterario , adattandolo a quello filmico. Per farsi un’idea di quanto sia importante la letteratura per il cinema, che ne è tra l’altro la naturale evoluzione linguistico/sensoriale, basta guardare la filmografia di Stanley Kubrick , universalmente riconosciuto tra gli autori assoluti di ogni tempo, escludendo ‘Rapina a mano armata’, praticamente tutto il suo cinema si basa sulla reinterpretazione/riscrittura di romanzi di altri autori. E’ oltremodo ridicolo credere che le altre forme di comunicazione non possano dar il loro contributo creativo/artistico al cinema, sia dal punto di vista narrativo che di evoluzione visiva del cinema stesso. E’ solo una questione di adattamento. Di esperimenti adattivi al cinema se ne sono visti tanti, molti controversi ma ugualmente affascinanti, come l’adattamento cinematografico dell’omonimo e leggendario album ‘The Wall’ dei Pink Floyd (di cui si potrebbe parlare per ore), altri spesso fragorosamente fallimentari in partenza, come il recente adattamento in carne e ossa di ‘Dragon Ball’ nell’informe e inutile ammasso informe chiamato (dai più) “Dragon Ball Evolution”. Poi ci sono gli esempi dal mondo dei fumetti, che è peraltro il “mondo-contesto” di riferimento, che hanno visto in “Sin City” e “300” gli esempi più interessanti, almeno dal punto di vista visivo, che ci serviranno per un confronto successivo.
Molti linguaggi in un unico agglomerato di celluloide
“Scott Pilgrim Vs. The World” è probabilmente una delle sfide produttive più interessanti del cinema degli ultimi anni , perchè non solo si tratta dell’adattamento di un fumetto fuori dal comune e di nicchia, ma soprattutto per la mole di le sottoculture (e relativi slang) contenute in esso. Un fumetto che sfiora il mondo dei videogame, e del suo (meta)linguaggio e di quello degli appassionati, senza però dimenticarsi della musica e del cinema, rovistando così in tutti quei sottomondi spesso legati (superficialmente) all’universo dei nerd (e non), il tutto giuntato dai rapporti interpersonali, tormentati o meno, dei personaggi e dai, confusi, sentimenti che il protagonista prova verso gli amici, le ragazze e il mondo. Il materiale per farne un film c’è, e avanza anche, la sfida è la rilettura e la contestualizzazione di un immaginario così sfaccettato e astratto nella (teoricamente) razionale e realistica immagine cinematografica . La sceneggiatura è stata curata con la partecipazione attiva dall’autore del fumetto, il canadese Brian Lee O’Malley , senz’altro un buon segno, mentre la regia è stata affidata al talentuoso inglese Edgar Wright (che ha già firmato “Shaun of the Dead” e “Hot Fuzz” ), produzione (ad alto budget) dell’americana Universal e il cast, in gran parte canadese, hanno fanno il resto. I presupposti per un adattamento fedele ci sono tutti, e anche quelli di vedere un film fuori dalla norma. La ragione di interesse maggiore però è data dalla coesistenza di tutte queste “biodiversità” in un formato unico e, paradossalmente, molto più vincolato del foglio di carta, sia per la varietà di pubblico cui s’è rivolti, che concedono poche via di fuga verso nuovi lidi e anche visto l’altro costo e la necessità di alti ritorni. Ci troviamo quindi a parlare di un progetto che nasce da un prodotto appartenente a una nicchia circoscritta, adattato per un vasto pubblico (necessità di vasti consensi e di incassi) ma con la volontà dichiarata e premessa a gran voce di non voler tradire la sua nativa multiculturalità . Questa si che è davvero una sfida produttiva d’altri tempi…
Scott Pilgrim Vs. The Cinema’s World (and his point of view)
Prima ancora che sotto il profilo contenutistico, è interessante analizzare il film da un punto di vista strettamente visivo. Sotto quest’ottica il prodotto Universal vince senza rivali, riuscendo in un’impresa praticamente inedita nella storia del cinema, piegare il punto di vista del prodotto cinematografico in quanto “carne e ossa” a quello del fumetto , senza compromessi. Se fino a oggi il miglior risultato era rappresentato da “Sin City” di Robert Rodriguez, il film di Wright crea un solco che sembra incolmabile. Il film del regista messicano ha giustamente puntato tutto su un sensazionale utilizzo della fotografia e a un intelligente uso del bianco e nero, in linea col fumetto, quindi con gli elementi forti (come il sangue, o di interesse per la scena) virati su bianco perfetto, e come unici colori presenti quelli di “disturbo” (esempio riflesso delle sirene della polizia, o il celebre vestito rosso del prologo). Le dinamiche “fumettose”, per quanto riuscite, soffrivano di una lieve mancanza di credibilità (come la sequenza in cui Rourke, con una mano guida e con l’altra, fuori dal finestrina, sfregia un poliziotto, tenendogli la faccia rasente alla strada), o meglio ancora generavano una sorta di incoerenza, creavano contrasto con il resto della messa in scena, realistica. In altre parole, la demarcazione tra visione fumettosa e realistica continua a essere presente , rischiando di rovinare il film e la scelta in chiave di coerenza visiva, quasi come se vi fosse un’indecisione su una strada netta da intraprendere. In altre parole, la stessa direzione artistica, rimbalzante tra iperrealismi e scatti fumettosi, ha in qualche modo minato (seppur in modo meno grave di quanto possa apparire in quest’analisi, da leggere come riferimento e non come critica generalizzata) alla qualità del prodotto finito “Sin City”. “Scott Pilgrim Vs. The World” ha scelto una strada ancora più difficile, quella del fumetto tout court: un mondo, e una realtà, apparentemente identica alla nostra ma guidata da meccaniche “nascoste” assolutamente irrealistiche. Sembra il nostro mondo di sempre ma non è così, e il film mette le cose in chiaro fin dalle prime inquadrature. Le onomatopee che si vedono quando squilla il telefono, Knives che suona il campanello, oppure i tratti disegnati a matita provenienti dagli strumenti musicali, come basso e batteria, e il geniale tratto con “linee dinamiche” al restringimento/allargamento immediato e impulsivo del campo visivo. Una premessa che suona come un avviso ai naviganti, si tratta di un film girato dentro un fumetto e non un film girato su un fumetto. Il costante utilizzo delle onomatopee, peraltro efficacissimo, aiuta a rafforzare l’idea dello spettatore, che capisce di non trovarsi in un contesto normale , per quanto possa sembragli familiare, evitando in questo modo un poco conveniente spaesamento, che potrebbe deconcentrare e distrarre lo spettatore. Gli ultimi dubbi cadono quando arriva Matthew Patel, il primo dei malvagi ex, entrando nel Rockit sfondando un tetto in volo, e cercando di colpire subito Scott. Lo spettatore si trova inizialmente disorientato, e controllerà la reazione degli astanti e, una volta constatato che la gente è “indignata per la caciara” e non perchè i due combattano praticamente volando, si renderà conto di essere lui in errore. Regolandosi di conseguenza alla regole del mondo della visione. Un mondo dove la gente viene vaporizzata, trasformandosi in monetine, e nessuno si preoccupa , urla, nè chiama la polizia o simili. Chi guarda penserà qualcosa come “Se è normale per gli altri e nessuno dice niente, allora quello che sbaglia sono io.”. In paio di momenti Pilgrim verrà letteralmente lanciato, una volta contro un castello e una volta per aria (il tutto sottolineato dall’urlo disegnato su schermo), senza alcun tipo di conseguenza fisica per il personaggio, se non un semplice mal di testa o la preoccupazione di essersi fatto la pipì addosso. L’approccio funziona alla grande, e regala di conseguenza carta bianca agli autori, che hanno ormai la libertà di muoversi come meglio credono nel loro fumetto di celluloide. Lo stile sembra quasi ricordare la vecchia avanguardia pop-art, con un intelligente uso dello split screen, in modo da dividere la ripresa come la tavola di un comics, scelta non originalissima ma di certo molto saggia, che paga nelle sequenze di riflessione sull’autobus (totalmente identica, anche per espressioni facciali, a quella del fumetto) o nelle telefonate, e in generale nelle già citate onomatopee. Momenti di spettacolare surrealismo sono nelle sequenze molto scure, come la simbolica porta per l’iperspazio utilizzata da Ramona e il momento in cui Scott rompe con Knives, evidenziato dalla totale assenza di scenografia dietro i due, un unico sfondo nero dove la concezione del tempo e dello spazio è inutile e superfluea, e il protagonista per uscire dall’imbarazzo balza letteralmente fuori dal riquadro. Sottolineare tutte le finezze e i colpi di genio presenti nel film equivarrebbero quasi a raccontare interamente tutte le sequenze. Gli effetti speciali, molto presenti nelle sequenze ma mai realmente pesanti, concretizzano l’idea estetica degli autori e realizzando un vero e proprio miracolo visivo . Nonostante l’assoluto irrealismo che domina la scena, nulla sembra esagerato o fuori posto, dalla “gente volante” alle monetine, passando per i poteri psichici dei vegani o un martello gigantesco estratto dal nulla dalla magica borsa di Ramona, nel bel mezzo di un locale. E anche quando Scott racconta che, per stare con Kim, ha dovuto sconfiggere molti ragazzi, e che uno di loro era altro due metri, volava e sparava raggi laser dagli occhi, nessuno di noi lo prenderà per pazzo . Questa forse è la più grande dimostrazione di come “Scott Pilgrim Vs. The World” sia riuscito nell’impresa di creare un immaginario collettivo profondo, variegato e soprattutto credibile un mondo irreale. Non il fumetto in film, ma il film in fumetto. Da questo punto di vista si riesce a creare qualcosa di raffinatissimo e ricercatissimo, delicato e allo stesso tempo potente, realizzando un’alchimia incredibile tra mondo reale e mondo non reale/irreale probabilmente addirittura irripetibile. Il montaggio è una delle armi in più nel film di Edgar Wright, specialmente nella prima parte del film, in modo da rendere percepibile la confusione della mente di Scott. Tagli improvvisi in base ai momenti degli attori, che si sovrappongono tra loro in piani ambientali e temporali diversissimi e distanti, dando una sensazione di perdita della concezione del tempo e della lucidità, aiutando l’immedesimazione nel protagonista. Anche il ritmo resta sostenuto e ben bilanciato proprio grazie al montaggio, tranne che nel finale dove si perde qualche colpo (con qualche lungaggine di troppo), ma parliamo di peccati veniali.
Scott Pilgrim Vs. The Videogame’s World
Non si tratta di un film sui videogame ma indubbiamente c’è una correlazione, ed è interessante parlarne anche in termini di incidenza del mondo ludico sulla fibra narrativa (e spirituale) della storia. Le citazioni fini a se stesse lasciano il tempo che trovano, del resto la citazione è strumento potente ma spesso anche piuttosto superficiale , mentre è più interessante approfondire il legame della storia di Scott con quella dei videogiochi. Del resto se ci si dovesse solo soffermare sulle magliette indossate da Scott per tutto il film/comic, si potrebbe tranquillamente scrivere un trattato di sociologia adolescenziale . Nella versione cinematografica il rapporto videoludico più forte è ovviamente quello del mondo dei giochi di ruolo: il percorso di crescita di Scott, non solo dal punto di vista caratteriale, è legato all’amata Ramona che, in un certo senso, è fin dall’inizio tenuta sotto scacco dal cattivo Gideon (G-Man). Se nelle vicinanze infatti, Gideon può facilmente “prendere possesso” dei pensieri e dei sentimenti di Ramona, grazie a un chip posto dietro la sua testa. Per poterla liberare, il nostro Scott dovrà sconfiggere la lega dei sette ex malvagi fidanzati , composta e capitanata proprio da Gideon , e liberarla così dalla sua “maledizione”. Da notare come i sette boss, e sottintesi sette livelli, si rifacciano a un numero piuttosto ricorrente nel mondo dei videogiochi, come nelle saghe di “Paper Mario” e “Sonic The Hedgehog”. Nel finale, quando Pilgrim scopre la Forza dell’Amore, Scott guadagna non solo un’arma ma anche un aumento delle “proprie caratteristiche” fisiche e spirituali . La crescita si concretizza realmente, coincidendo anche con la necessità, fisiologica per ogni videogiocatore, di “dover morire” per poter superare alcune battaglie. Impariamo dai nostri errori , e la necessità di capirli ci costringe a sbagliare in modo da non sbagliare di nuovo. Trattasi quindi di esperienza , non solo in termini di “punti per salire di livello”, fondamentale sia nella vita reale che in quella virtuale. La morte per Scott diventa un’opportunità per riflettere sui perchè delle sue azioni passate, presenti e future, e la vita aggiuntiva non diventa solo l’opportunità di “continuare” ma anche di tornare indietro e rimediare ai propri errori. L’idea di riavvolgere il tempo come un nastro, evitando la banale e abusata immagine della “resurrezione sul posto”, non solo si rivela azzeccata e originale (nel mondo del cinema) ma è anche l’occasione per permettere a Scott l’ultima “evoluzione”, e forse la più importante di tutte, il rispetto per se stessi, l’autostima . Il protagonista ripercorre tutto “il livello” e arriva al Chaos Theathre, e la prima cosa che fa è parlare con i suoi amici di sempre, interrompendo il loro concerto. La prima azione è la riappacificazione definitiva con Kim, con tanto di punteggi bonus a ripetizione, dettaglio la cui importanza può essere solo intuita da chi ha letto il comic, e “promuove” il giovane Neil a grado di “Neil e basta” , in quanto maturato come persona e migliore di lui al basso, consacrandolo nel mondo degli adulti. Gideon lo ferma di nuovo, domandando lui il motivo di questa sua iniziativa. Adesso Scott non sta combattendo più (solo) per Ramona ma (anche) per se stesso, e lo dice forte e chiaro al suo interlocutore. Questa volta l’incremento delle sue capacità fisiche e mentali sono nettamente maggiori, facendo intuire la maturazione definitiva del personaggio . Scott, infatti, non solo sconfigge Gideon, ma ricuce anche i rapporti con (e tra) Knives e Ramona, trova anche il tempo per andare d’accordo con il suo Nega Scott , ovvero con la sua controparte malefica, e invitarla a uscire la prossima settimana, perchè ha scoperto di “avere molte cose in comune”. L’eroe è al culmine del suo percorso, e può finalmente stare con la sua amata. Dopo questa chiave di lettura le molteplici citazioni alla serie “The Legend Of Zelda” acquisiscono ancora più risalto, giusto per citarne qualcuna le ineccepibili ‘Triforze ribaltate’ che compongono il logo di Gideon, presente anche nel chip di Ramona (che spingono a collegare, e a notare l’assonanza, Gideon a Ganondorf) o quella presente sulla saracinesca da cui escono Scott e la sua nemesi. Per gli amanti delle citazioni è giusto ricordare anche gli omaggi fatti a “Final Fantasy II” (e il suo giro di basso), la maglietta con il logo del Nintendo 64, il nome della band di Scott (Sex Bob-omb, si proprio come la “bomba” di “Super Mario”), i rimandi a “Sonic The Hedgehog” nel Chaos Theathre finale e ovviamente i suoni marieschi e zeldosi provenienti dal mondo 8 bit, legati alle spade e alle monete. Poi, facenti parte del linguaggio universale e non di un gioco in particolare, gli hit delle combo, le monete per ogni nemico eliminato, la schermata Vs. prima dello scontro con ogni Ex, i punti per la loro eliminazione o per i rapporti interpersonali (vedi Kim), la stilizzazione di Scott fumettosa accanto alla vita guadagnata (1-Up), e la ciliegina finale, la voce tipica delle sale giochi che ci chiede se intendiamo continuare o meno , con il suo inquietante “Continue?” e relativo count down. L’universo ludico compone il film ma senza esserne eccessivamente dipendente, lasciando chicche agli appassionati ma senza esasperazioni fuori luogo da giocatori incalliti .
Prove d’attori e prove di doppiatori
Il lavoro svolto dal casting è davvero superlativo. La somiglianza tra attori e personaggi del fumetto è a volte incredibile, a eccezione forse e paradossalmente del solo Scott, reso comunque bene nelle movenze dall’impeccabile Micheal Cera (già ammirato nell’interessante, e vincente, ‘Juno’). Mary Elizabeth Winstead (ricorderete per la parte della cheerleader in ‘Grindhouse – Death Proof’ di Tarantino) è una Ramona perfetta, così come Ellen Wong è una splendida Knives e Kieran Culkin (sì, fratello di “quel” Culkin) è un a dir poco esilarante Wallace, il coinquilino gay di Scott. Anche i comprimari, come la band (Kim, Stephen e il “Giovane” Neil), la sorella di Scott ( Anna Kendrick , vista già nella saga di Twilight) e i malvagissimi ex, dove spiccano le prove di Jason Schwartzman (il cattivissimo Gideon) e di Brandon Routh (il Superman di ‘Superman Returns’ e il nuovo e controverso ‘Dylan Dog’) nella parte del vegano bassista, tutto muscoli e poco cervello. Le prove sono tutte davvero convincenti, con grande uniformità qualitativa. Solo per dare un’idea della cura del casting, basterà far caso alla somoglianza della batterista dei ‘Clash and the Demonhead’, assolutamente identica alla sua “controparte cartacea”. Per quanto riguarda l’annosa questione “doppiaggio – non doppiaggio”, questo è un film dove i registri linguistici e i giochi di parole si sprecano, quindi sia scegliere i sottotitoli che il doppiaggio corrisponderà a una rinuncia . L’adattamento dei dialoghi è comunque sufficiente, le voci scelte sono sufficiente somiglianti, ma nonostante l’impegno il distacco con i registri recitativi originali è abbastanza marcato. A rendere il solco più profondo ci pensa la musicalità dei suoni, lo slang , che contraddistingue la recitazione originale. Del resto, vederlo in lingua originale, oltre a distrarre i meno abituati (e lenti a leggere) dal turbinio su schermo, farà notare ai più attenti le imprecisioni di traduzione. Il consiglio del sottoscritto è quello di rivolgersi, in ogni caso, alla sottotitolazione per poter apprezzare la recitazione degli attori, e non la bravura o meno dei doppiatori, e di godere di dettagli e suoni ambientali persi dal doppiaggio stesso. Se proprio non riuscite ad abituarvi alla sottotitolazione, potreste scegliere di vederlo una prima volta doppiato e una seconda sottotitolato, anche per carpire le differenze. In originale potrete notare anche la curiosa presenza di qualche italianismo, come il “capish?” di Scott a Todd, il suo “ciao” finale a Knives e un “gelato” pronunciato da uno dei poliziotti vegani.
Differenze tra DVD e Blu-Ray
Oltre al riversamento video, e compressione audio, le edizioni DVD e Blu-Ray del film si distinguono soprattutto per qualità e quantità dei contenuti. Se nel formato DVD troveremo qualche scena tagliata o estesa (comprendente l’interessante finale alternativo), e i commenti audio del regista, i divertenti errori sul set, e delle vaste gallery, alcune davvero molto interessanti, legate al blog di lavorazione di Wright e momenti sul set, oltre che lo story board dell’idea originaria dello scontro finale, con Gideon a bordo di un Mech (eliminato probabilmente per una questione economica, e forse anche per il rischio di un’esagerazione di troppo). Nell’edizione Blu-Ray oltre questi contenuti ne troveremo degli altri, su tutti anche un making of piuttosto lungo (circa 50minuti). Visto anche il poco scarto di prezzi tra i due prodotti, chi potrà scegliere è meglio, naturalmente, che si diriga verso il formato Blu-Ray .
Contaminazioni linguistico/visivo, ovvero Scott Pilgrim DEFEAT The World
S’è parlato frequentemente, e altrettanto frequentemente a sproposito, dei film che avrebbero innovato il cinema lo scorso anno, un 2010 di rinascita per l’industria cinematografica. Tralasciando buona parte dei discorsi spesi, dobbiamo in ogni caso isolare il fondo di verità presente. Il 2010 è stata un anno ricchissimo di spunti di riflessione , nel bene e nel male, e su tutti c’è stato sicuramente uno che s’è accaparrato più inchiostro di tutti gli altri, spesso oltre i reali meriti. Nonostante la collocazione 2010 sia un po’ forzata, visto l’uscita in tutti i paesi a dicembre 2009 tranne nel nostro stivale, troppo attaccato alle proprie perversioni casalingo-cinepanettoniane, ‘Avatar’ è comunque un film degno di attenzione. Senza ora dilungarci sull’Avatar film, di cui s’è scritto (ben più che) abbastanza, è stuzzicante invece soffermarsi sulle reali innovazioni di ‘Avatar’ inteso come (molto) presunta svolta tecnologico-sensoriale. Il 3D , appena un anno fa osannato in tutte le salse, si sta già avviando silenziosamente, e per l’ennesima volta nella storia del cinema, nel dimenticatoio. Praticamente tutti i film proposti al cinema dopo ‘Avatar’ vantano, se così si può dire, un rigonfiamento 3D artificiale al computer, in quanto girati con telecamere canoniche. Girare in reale 3D costa molto, e se non puoi contare sul supporto di una macchina pubblicitaria imponente e assordante, il rischio di un fiasco annunciato è molto forte. ‘Avatar’ è stato spesso criticato per il suo infantilismo o banalità di fondo, ma aprire a un pubblico il più vasto possibile è obbligatorio se vuoi rientrare nei costi. Insomma, il 3D è più un limite espressivo che una conquista , in quanto costringe a pensare film commerciabili per più persone, impedendo l’espansione del “vero 3D” al mercato di nicchia, di genere o d’autore. Tralasciamo i costi maggiorati del biglietto del cinema, sarebbe davvero sparare sulla croce rossa. Dando per scontato, quindi, che il 3D è ancora oggi un oggetto misterioso, e che da un punto di vista narrativo non aggiunge nulla a quanto visto in oltre 100 anni di storia, e che da un punto di vista anche visivo ha debiti con molti più autori di quanto si pensi, cosa resterà di ‘Avatar’ ? Probabilmente resterà la miglior “convivenza” tra attori in carne e ossa e attori digitali vista oggi per qualche tempo, e generalmente considerato più per la maturazione della CG come raffronto per il futoro. Finito l’esperimento tecnologico non esistono motivazioni per chiamare in causa il film di James Cameron, vi starete ora, giustamente, domandando cosa possano avere i due film in comune. Detto in parole povere, non centrano nulla, e sarebbe doveroso aggiungerci un “per fortuna”. A differenza del giocattoloso film di Cameron, il film di Wright rinnova, e innova, davvero tutto l’impianto cinematografico moderno . Riesce nella sfida di far coesistere universi diversissimi tra loro, ne (ri)prende, ne adatta e ne piega i linguaggi, a uso e consumo del cinema. Un film girato come un fumetto, e non come film che semplicemente racconti un fumetto, che solo da un punto di vista semiotico è una vittoria incredibile. Probabilmente definirlo “Cinema 2.0” sarebbe un’affermazione presuntuosa, oltre che priva di significato, ma è indubbio che “Scott Pilgrim Vs. The World” porti con sé una forte carica di freschezza. Un utilizzo degli effetti speciali non fine a sé stesso, cosa meno scontata di quanto si creda, che arricchisce il cinema di concetti nuovi e mai visti su schermo prima, senza però essere vincolati da un pubblico destinatario. Non stiamo infatti parlando di un film dedicato ai videogiocatori, a questo punto il discorso sarebbe caduto nel vuoto da un pezzo, ma di un film “vero e proprio”, con una forte identità cinematografica , pur con elementi appartenenti a sottoculture che fino a ora nel cinema non avevano mai veramente trovato una spazio “alto”. Si potrebbe anche dire che fino ad ora il videogioco è apparso solo sotto forma di riciclo commerciale, spesso anche poco rispettoso nei confronti degli stessi potenziali spettatori, con prodotti quasi denigratori e decerebrati, quasi come se fosse impossibile creare qualcosa di serio, e forte qualitativamente, attorno a un universo così sottostimato (eppure così vasto e popoloso). In altre parole, non utilizzando il videogioco come punto di partenza e riferimento assoluto, per esempio gli adattamenti cinematografici di ‘Resident Evil’, ma come linfa nuova e collante per creare un tipo di cinema nuovo, che non dipenda ovviamente dal videogioco ma che lo inglobi come risorsa visiva in più . Quasi una sorta di upgrade del linguaggio cinematografico , un processo simile (seppur di proporzioni ovviamente diverse) all’introduzione del sonoro prima e del colore poi. Nonostante l’insuccesso al botteghino, dove il film non ha nemmeno coperto i costi (e di riflesso in Italia è apparso in circa una ventina di sale, per pochissimi giorni di programmazione e con una sola proiezione al giorno, spesso pomeridiana), attorno al prodotto Universal si sta (giustamente) creando un’aurea di culto e, grazie all’home video, riuscirà sicuramente a pareggiare e chiudere in attivo.
Ti porto a fare un giro sul camion della spazzatura!
La band di Scott suona una sorta di rock alternativo , e lo fa meglio di quanto loro stessi credano. Mentre nel fumetto si fa di tutto per evidenziarne la loro inascoltabile mediocrità, nel film s’è deciso di dare alla musica dei Sex Bob-omb una carica trascinante . Del resto, si potrebbe anche dire che la carica videoludica del fumetto sia stata trasferita sottoforma di carica musicale nella versione cinematografica. Scelta condivisibile per evitare di fare un film autoreferenziale per i soli appassionati di videogame, con il rischio di rendere incomprensibile per molti le citazioni stesse. Le canzoni hanno testi irreali, e per certi versi anche un po’ trash, evidenziano una composizione musicale, e dei testi, volutamente disturbata e rozza , ma efficace e sincera. I quattro pezzi suonati nel film dalla band di Scott sono tutti orecchiabili e allo stesso tempo propongono anche un ascolto piuttosto interessante. Fatto curioso, Cera è un bassista anche nella vita real e , ed è lui a suonare realmente le linee di basso durante le canzoni dei Sex Bob-omb. Il resto della colonna sonora è davvero molto valido, e si sposa sempre benissimo con quanto avviene su schermo. Si tratta di uno score davvero molto eterogeneo, caratterizzato da molti pezzi di alta qualità (‘By Your Side’, ‘Scott Pilgrim’, ‘Ramona’, oltre ovviamente a quelli cantati dai Sex Bob-omb). Sono incluse anche due vecchi classici, ‘Under my thumb’ dei Rolling Stone (ascoltabile in secondo piano, quando Scott e Gideon “fanno conoscenza”, e la band firma il contratto musicale senza di lui) e ‘Teenage Dream’ dei T-Rex tanto per evidenziare la biodiversità anche musicale del film. Da notare la netta “canadesizzazione” della soundtrack, con pezzi dei gruppi canadesi Plumtree, Metric, Broken Social Scene e la partecipazione di Beck (statunitense di nascita ma di padre canadese). I Plumtree addirittura godono di un particolare doppio richiamo, in quanto la maglietta di Scott durante lo scontro con il primo malvagio ex, Matthew Patel, porta proprio il logo della band canadese. Il richiamo è anche al fumetto, in quanto anche nella versione cartacea della stessa scena Scott indossa esattamente la stessa maglietta (invero, il dualismo film/comic per le magliette del protagonista – e non solo – è rispettato per quasi tutto il film). Una chicca è data dallo scontro tra band, che vedrà i due fratelli Katayanagi, DJ, contro i Sex Bob-om. I due gemelli avranno dalla loro due draghi , uno a testa, mentre i Sex Bob-omb un gigantesco scimmione . Nonostante derivi dalla cultura cinese, nella cultura giapponese il drago assume un significato leggermente diverso, rappresentante l’acqua (in particolare i fiumi e i corsi d’acqua) ed è sintomo di equilibrio e forza che, nella musica, possono essere chiamati rispettivamente affiatamento/coordinazione e potenza. Dall’altro invece troviamo un gorilla, simile non a caso a King Kong, che rappresenta più forza bruta che altro, visto il tipo di musica, rozzo e underground, della band. Alla fine prevale non la tecnica ma appunto la forza bruta, di cui si fa trascinatore Scott una volta rialzatosi da terra, a sua volta trainato dall’aver scoperto che Gideon è tra il pubblico accanto a Ramona. Questo scontro tra band è una trovata molto divertente, e in più ironizza sull’infinito scontro tra occidente e oriente
La qualità dell’adattamento e il confronto con il fumetto
E’ sconsigliata la lettura di questo paragrafo per chi è interessato a leggere il fumetto, in quanto vi sono numerose anticipazioni, anche sul finale. Tornando al discorso iniziato in apertura, e stringendo il campo all’adattamento, concentrandoci sul solo “Sin City”. Innanzitutto “Sin City” è una saga complessa, composta da capitoli a se stanti e raccolte di storie brevi, mentre “300” è una singola storia breve. L’adattamento di “Sin City”, molto più complicato (e stimolante), s’è distinto sia per l’elevata qualità della confezione, avveniristica da un punto di vista tecnico, e dalla scelta di un incastro lineare di tre episodi centrali fortemente caratterizzati. Scelta vincente anche da un punto di vista di proposta del prodotto, in quanto ha dato l’opportunità di formare un cast variegatissimo e ambio, di star omogenee tra di loro sia per generazione attoriale che per attitudini recitative (giusto per citarne una manciata: Bruce Willis, Mickey Rourke, Rutger Haur, Clive Owen, Elijah Wood, Benicio Del Toro, Micheal Madsen e l’elenco potrebbe continuare). Una delle maggiori forze del “Sin City” cinematografico è stata quindi quella di utilizzare a proprio vantaggio la “frammentazione”, aggiungendo molti elementi diversi in modo da ricreare, o quantomeno sintetizzare, in modo relativamente semplice un universo vasto , affascinante e complesso. Non potendo apportare alcuna semplificazione drastica nel mondo di Scott Pilgrim, gli sceneggiatori sono stati costretti a sacrificare molteplici elementi originali , puntando tutto sul ricreare l’atmosfera del fumetto, nel tentativo di isolare i concetti più importanti, sia a livello di situazioni, sia di caratterizzazioni e di personaggi comprimari, quest’ultimi fondamentali per rafforzare il tessuto esterno della storia. Escludendo le somiglianze, di cui abbiamo già parlato nella sezione dedicata al casting, vediamo ora cosa è cambiato in termini sostanziali tra il fumetto e il film. Le modifiche più evidenti le ha subite proprio Scott , più impacciato e “effeminato” dell’alter ego cartaceo, e per Cera si tratta probabilmente di un effetto collaterale derivante dal personaggio interpretato in “Juno”. La Winstead ha reso Ramona ulteriormente più seria, ma senza modificare nulla di sostanziale, come del resto il personaggio di Knives , che si differenzia per una leggera crescita rispetto al fumetto, evidenziata più che altro dai dialoghi “finali” totalmente diversi tra film e cartaceo. Molti sono stati i tagli/adattamenti dai sei volumetti di Bryan Lee O’Malley, perlopiù iniziati dal quarto volume. E’ interessante notare che, grossomodo, proprio fino all’inizio del quarto volume, Wright segue il più possibile inquadrature e tagli del fumetto . Se possibile si tratta di un rispetto visivo ancora più rigoroso di quello utilizzato da “Sin City”, pur discostandosi nell’ultima parte (anche per l’impossibilità, in quanto il film è stato finito di girare prima della conclusione del fumetto, a tal proposito è meritevole di attenzione il paragrafo dedicato ai due finali). Da punto di vista scenico si nota una certa semplificazione di alcuni scontri, su tutti quello con Todd, e la totale reinvenzione dei gemelli Katayanagi (diventati DJ nel film, mentre nel fumetto erano qualcosa di simile a degli ingegneri meccanici, che attentano alla vita di Scott attraverso trovate tecnologiche, come robot da loro programmati), ma si tratta di sacrifici relativamente di poco conto e passabili. Altri sacrifici, ben più importanti da un punto di vista narrativo-contenutistico, sono l’ assenza del concetto di “autostrada per l’iperspazio” , appena accennata nel film (quasi fosse una battuta nonsense), e la mancanza di approfondimento del lato negativo di Scott , Nega Scott. Se sull’autostrada per l’iperspazio si può comunque soprassedere in quanto, pur avendo una certa importanza nell’economia del fumetto era un concetto difficile da sviluppare degnamente nella durata filmica, l’abbozzo del personaggio di Nega Scott è il vero cruccio di tutto l’adattamento. L’importanza del lato malvagio di Scott, che poi a conti fatti potrebbe essere sintetizzato più come “ricordi sopiti” e “vera essenza del protagonista” che reale lato malvagio, incide in quanto manca una parte fondamentale della crescita del personaggio. Nel fumetto il lato “negativo ma vero” si fonde, dopo una breve scazzottata, con lo Scott che ha “dimenticato tutto”, a evidenziare che i difetti e gli errori compongo tutte le persone, e che anzi la comprensione e la conoscenza dei proprio sbagli rende adulti. In quel momento Scott ricorderà tutti gli errori che hanno fatto soffrire in passato altri, e di cui lui non s’è curato. Nel film “il lato che ignora” è onnipresente fino alla fine, esattamente fino al momento in cui chiede scusa ai membri della band, grazie alle riflessioni “nell’aldilà”, come una sorta di estrema sintesi del concetto espresso nel fumetto, in qualche maniera pareggiando il livello di crescita e evoluzione del protagonista, seppur in modo nettamente meno incisivo. Il film cerca di mettere in evidenza lo Scott menefreghista inconscio , quasi per autodifesa, figura identificabile in alcune scene, su tutte nel momento in cui Ramona domanda di come Knives abbia preso la loro separazione e del suo rapporto con Kim, poco prima dello scontro con Roxanne). Ma il rischio è che lo spettatore percepisca questi attimi come una semplice amnesia . Nega Scott appare come un lato malvagio tout-court nel film , con cui comunque Scott stringe amicizia, travisando il concetto di partenza. Forse sarebbe stato un’idea migliore rimuovere del tutto della pellicola l’intero personaggio, in quanto non aggiunge nulla alla storia e allunga ulteriormente il finale. Del resto, come si evince dagli extra, molte altre scene con apparizioni di Nega Scott sono state rimosse dal montaggio finale, proprio per non spezzare il ritmo narrativo. Dal punto di vista del tempo della narrazione, la durata delle due storie è nettamente diversa, poche settimane nel film, mentre la durata del fumetto supera l’anno solare, un’altra scelta azzeccata. In ultimo l’assenza del lungo flashback del fumetto, dove si racconta degli incontri di Lisa (totalmente assente nel film) e Kim nella vita di Scott, quando formano la loro prima band (chiamata non a caso ‘Sonic & Knuckles’), è (solo parzialmente e frammentariamente) presente nel breve corto-trailer, chiamato “Scott Pilgrim Vs. The Animation”. Nel complesso l’adattamento sfiora la perfezione assoluta, in quanto riesce a cogliere l’essenza del fumetto pur rinunciando a molti aspetti importanti. I tempi e i linguaggi molto diversi costringono, così come per la letteratura in generale, un adattamento/reinterpretazione, ed è davvero difficile immaginare per Scott Pilgrim una “conversione” più azzeccata di così.
Un aspetto particolare: il curioso rapporto tra i due finali cinematografici
Se siete giunti (addirittura) fin qui, anche se non avete visto il film ormai non dovreste temere altri spoiler, in ogni caso siamo infine giunti al livello massimo di anticipazione possibile. Tra gli extra, più o meno interessanti, troverete un buon numero di scene tagliate o alternative (spesso solo accorciate in fase di montaggio di pochi secondi). Tra il materiale escluso quello senza dubbio più interessante è il finale alternativo. Durante la lavorazione del film era emersa la volontà di differenziare il finale cinematografico da quello del fumetto, il film che in ogni caso fu girato prima del completamento del lavoro di O’Malley e, di conseguenza, la sceneggiatura di Wright fu costretta a improvvisare il finale. L’ending girato in origine era profondamente diverso da quello visto al cinem a , in cui Scott, rinfrancato da Knives, insegue Ramona invitandola a ricominciare, seguendo anche visivamente un taglio piuttosto simile a quello cartaceo. Nell’originale, il nostro protagonista si comporterà in maniera diversa, ringraziando Ramona e tornando da Knives, con un Ramona praticamente in lacrime che, cogliendo la decisione di Scott, si allontana fino a sparire dalla porta per l’iperspazio. In seguito si vedranno Scott e Knives tornare in sala giochi al loro “picchiaduro-musicale”, visto a inizio film, eseguendo le stesse mosse con cui hanno combattuto e sconfitto Gideon. Vedendo e raffrontando i due finali non solo si intuisce la confusione del regista, e la difficoltà della scelta, ma si intuisce anche che la confusione si avverte ben prima della differenziazione tra i finali. In effetti, analizzandolo a ritroso (anche se non è intuibile in primo passaggio), la scelta di far combattere Knives e Scott assieme , con Ramona fuori gioco, è un chiaro segnale delle intenzioni dell’autore . Nonostante questo, una volta letto il finale del fumetto, e dopo numerose riflessioni, addirittura un anno dopo Wright sceglierà di rigirare l’ending in linea con in finale del fumetto . La decisione è stata motivata soprattutto dal fatto che il regista ha fatto proprio in modo profondo il finale del disegnatore, decidendo che fosse giusto che anche il film finisse in linea con i sentimenti del suo creatore originario. Il brusco collage crea, specialmente se si è al corrente della vicenda, un’evidente scollatura tra lo svolgimento del combattimento e il finale della storia. Ma se vogliamo, probabilmente il finale originale avrebbe creato solo ulteriori problemi, sia per lo scostamento troppo evidente dal finale del fumetto, che sarebbe stato difficilmente digerito dai fan del comic, per il rischio di mandare a monte un po’ tutto il significato e la storia del film. In altre parole, perchè mai due ore di pestaggi e dure lotte, per lasciar sfuggire la donna dei propri sogni e tornare con la ragazzina immatura da cui si era (più volte) sfuggiti? In ogni caso, l’unhappy end non sarebbe stata una scelta saggia anche per altre ragioni, creando contraddizioni nei personaggi (Wright stesso racconta che la Wong preferiva l’altro finale, in quanto a suo modo Knives non sarebbe tornata così facilmente e velocemente da Scott). Un’altra immagine del ending originale non proprio riuscita era data dalla Ramona dal cuore spezzato, dirigersi quasi come un’entità irreale e astratta verso la porta. Quasi come se la venuta di Ramona fosse qualcosa di etereo e che il ritorno di Scott da Knives sia il risultato di una maturazione, quasi come se il personaggio della Winstead fosse solo finalizzato alla crescita di Scott , una sorta di sacrificio . Per certi versi, proprio “per colpa” di questo leggero sfilacciamento, il finale è l’unica parte del film, se vogliamo, imperfetta, e che soffre anche di qualche “minuto di troppo” nel combattimento decisivo, spezzando un po’ troppo spesso il ritmo, appesantendo la visione. Invero si tratta comunque di difetti veniali, che si notano maggiormente in un secondo passaggio piuttosto che alla prima visione, e in ogni caso “il finale riparatorio” minimizza i danni.
Scott Pilgrim, The Videogame
Visto il tema, è giusto segnalare l’esistenza del bel tie-in , prodotto da Ubisoft , eccovi la recensione, scritta dal nostro valoroso Alessandro “Il Notturno” Perlini .
Conclusioni
“Scott Pilgrim Vs. The World” non è solo un film, è qualcosa di più: un vero e proprio miracolo . La realizzazione di un’utopia. Un progetto basato su alchimie irripetibili tra elementi irreversibilmente diversissimi tra loro, il film di Wright è un’impresa sotto tutti i punti di vista, e nonostante un debutto sottotono al cinema, si sta già consacrando come cult movie generazionale. Una sfida produttiva praticamente senza precedenti, dove videogiochi, fumetti, musica underground e schegge vaganti dei media moderni confluiscono in un prodotto dalla carica innovativa notevole e dalla freschezza travolgente . Visivamente visivo e, proprio per la sua visione irreale e allo stesso tempo verosimile della realtà, trascendentale , annichilendo e schernendo produzioni ben più pompate e costose, su tutti l’ultimo film di James Cameron, mostrando un utilizzo della computer graphic intelligente come se non ne vedeva più da moltissimi anni. Il videogioco e il fumetto intesi come linguaggio integrativo (non sostitutivo) di quello cinematografico, e non utilizzati/sfruttati, ancora una volta, come trame da raccontare o personaggi estirpati. Il videogioco e il fumetto non erano mai stati così importanti in un film, divenendo ingranaggio fondamentale e imprescindibile , quasi invisibile, per il tessuto di un film dove non si parla mai, paradossalmente, né di videogiochi e né di fumetti. Quasi una sorta di emancipazione/consacrazione definitiva per l’intero movimento culturale underground dagli anni 80 (o dagli 8 bit, fate voi) in poi, fino a oggi . Oltre ai meriti di cui sopra, è bene ricordarlo ancora, “Scott Pilgrim Vs. The World” è anche un gran bel film, scritto, diretto e recitato in modo magistrale, ricco di ironia e in grado di spiazzare e sorprendere anche il più navigato dei cinefili. Come tutti i prodotti con forte carica passionaria, il film di Wright non è esente da difetti che, se possibile, rendono ancora più umano e, profondamente emotivo, il prodotto finito. Tra i migliori film in assoluto di questo inizio decennio, senza se e senza ma.