Naughty Dog, la famosissima casa di sviluppo creatrice di serie come Crash Bandicoot, Jak and Daxter e The Last of Us, è riuscita nel corso degli anni a migliorare sempre di più, producendo giochi di ottima qualità senza fermarsi mai, anche grazie al supporto costante dei propri fan che, fin dalle origini, hanno sempre creduto nel team premiandone anche la condotta impeccabile.
Non a caso, anche moltissimi sviluppatori appartenenti ad altre case di sviluppo hanno riconosciuto la qualità dei titoli Naughty Dog, da sempre capaci di catturare una fascia di pubblico molto ampia.

Sic parvis magna

La casa di sviluppo statunitense, con la saga di Uncharted, è riuscita nel corso del tempo a modernizzare il genere avventuroso, trasformando di fatto Nathan Drake (il protagonista della saga in questione) in un vero e proprio erede di Lara Croft.
Per capire appieno l’evoluzione del personaggio e dello stesso team di sviluppo, può essere utile concentrarsi su un pilastro fondamentale della loro intera produzione recente: il ritmo.
Il primo Uncharted, grazie a una solida struttura TPS coadiuvata da numerose e riuscite sezioni platform/adventure, è riuscito a svecchiare senza fatica l’intera mitologia avventurosa tipica di film come Indiana Jones, rielaborando in chiave moderna la figura del cacciatore di tesori un po’ eroe e un po’ canaglia.
Nel primo capitolo della quadrilogia, Nathan Drake si ritrova ad affrontare una pletora quasi infinita di avversari a suon di piombo, non solo a piedi ma talvolta anche a bordo di veicoli. Il ritmo dell’intera vicenda risulta quindi da subito molto frenetico per merito di numerose trovate interessanti e colpi di scena ben orchestrati.
La storia, scorrevole e lineare, non presenta tempi morti per tutta la sua durata, anche grazie alla riuscita caratterizzazione del protagonista, molto spesso autoironico ma anche un po’ sbruffone.

Con Uncharted 2, la casa di sviluppo ha deciso di donare alla propria opera una marcia in più, puntando fin da subito su sequenze al cardiopalma in grado di innalzare vertiginosamente il livello di spettacolarizzazione degli eventi.
Così come il primo God of War ha portato le sequenze QTE su un nuovo livello, allo stesso modo Uncharted 2 ha imposto nuovi standard per le sequenze scriptate.
Nel secondo capitolo della saga, infatti, Drake affronta nuovamente molti nemici in rapida successione, anche se questa volta la maggior varietà degli ambienti e delle situazioni hanno contribuito a portare l’opera su nuove vette qualitative grazie a numerose sequenze iconiche diventate in breve tempo un vero e proprio marchio di fabbrica della saga, mai come ora vicina a influenze tipiche dei blockbuster hollywoodiani.
La stessa scelta di far iniziare l’avventura da metà storia risulta una trovata molto efficace dal punto di vista narrativo, spingendo così il giocatore a domandarsi fin dall’inizio chi o cosa ha portato Drake a trovarsi in quella (pericolosissima) situazione.
In Uncharted 2 siamo quindi portati ad attendere i vari momenti scriptati con trepidazione, perché capaci di aumentare in modo vertiginoso il ritmo degli eventi, grazie a un sapiente connubio di stilemi tipici del media videoludico amalgamati perfettamente a quelli di stampo cinematografico.

Un altro round

Con Uncharted 3 la gestione del ritmo cambia ancora dato che questa volta le numerose sequenze scriptate risultano distribuite in modo più armonico rispetto al passato.
In questo capitolo infatti i momenti di azione pura, seppur sempre presenti in gran numero, risultano maggiormente integrati alla progressione degli eventi, regalando al giocatore un grado di immersività ancora più accentuato rispetto a quanto visto in precedenza.
Drake si ritrova come sempre a viaggiare per il mondo, anche se questa volta non deve solo affrontare una mole improponibile di avversari senza fermarsi, dato che alcuni capitoli sono maggiormente incentrati sull’esplorazione o su sequenze di semplice camminata.
Il protagonista vive così un’avventura dove le scene action sono perfettamente integrate a sequenze più ragionate e tranquille, regalando al giocatore un’esperienza ancora più vicina a un film.
In Uncharted 3 ci troviamo quindi di fronte a un personaggio più vivo e credibile rispetto al passato e ancora più integrato all’interno del mondo di gioco anche grazie alle sequenze in cui Drake parla direttamente con i propri nemici per fargli notare quello che sta accadendo attorno a loro.

Fine di un ladro

Con l’ultimo capitolo della quadrilogia, Naughty Dog ha deciso sostanzialmente di condensare in modo organico tutte le esperienze pregresse maturate nel corso degli anni, andando così a chiudere la saga nel miglior modo possibile.
Il ritorno dell’introduzione in medias res vista anche in Uncharted 2, capace ancora una volta di catturare l’attenzione del giocatore in pochi minuti, è solo il primo tassello dell’enorme mosaico che compone l’immensa struttura di Uncharted 4.
Fin dall’inizio l’intenzione di Naughty Dog è quella di far evolvere la struttura narrativa dell’opera, riuscendo a donare a Drake una profondità umana e caratteriale mai così suggestiva ed empatica, capace di immergerlo senza difficoltà in un mondo estremamente vivo e pulsante in grado di andare avanti anche senza di lui, nel bene e nel male.
Uncharted 4 sfrutta il tema dell’ultimo colpo/dell’ultima sfida per descrivere la vita di un uomo comune che però ha vissuto moltissime avventure fuori dall’ordinario.
Già dal titolo risulta chiara l’intenzione di dare una degna conclusione alla saga, cercando di puntare al massimo su un Drake più maturo rispetto al passato, conscio del fatto che un determinato tipo di vita non può continuare in eterno.
In questo capitolo le fasi platform assumono un ruolo preponderante, portando il tema del viaggio interiore a diventare sempre più importante con il proseguire della trama; Drake è quindi portato a dover fare i conti con il proprio passato per capire come affrontare il presente.
L’azione poi non è più la protagonista assoluta, quasi a testimoniare il fatto che è arrivato il momento di fermarsi a riflettere; il protagonista infatti, durante il corso dell’avventura, si ritrova spesso immerso nella natura dove i maestosi scenari che attraversa diventano parte integrante del racconto dato che adesso non è più il rumore degli spari a lasciare il segno, ma il silenzio.
Uncharted 4 risulta quindi il capitolo più riflessivo e profondo della saga, grazie a una gestione del ritmo estremamente funzionale per il tipo di storia raccontata in cui anche il lato umano di tutti i comprimari risulta caratterizzato splendidamente.
La saga di Uncharted è così diventata una delle pietre miliari dell’ammiraglia Sony, dimostrando al mondo intero che anche i videogiochi, al pari di alcuni libri, film o fumetti, possono essere considerati arte.

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Odia i giochi facili e anche quelli troppo poco difficili. Gioca a tutti i videogiochi ma proprio tutti, tranne quelli di calcio e quelli di macchine. Anche se è ricercato dalle organizzazioni segrete più pericolose di tutto il mondo, nel tempo libero scrive per vari siti tra cui Cyberludus. Per alcuni è un genio (del male?) visionario. Per tutti gli altri è solo un povero pazzo.

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