Nonostante la missione di un recensore sia proprio questa, è veramente difficile parlare di un gioco come Blades of Time senza alcun tipo di pregiudizio: come si può analizzare in maniera neutra un gioco i cui presupposti sono una lunga gestazione prima di trovare un publisher tanto coraggioso da investire nel progetto, e un prequel di scarsa fortuna sia in termini di vendite sia di critica? Inserire il cd nella console, sgomberare la mente e impugnare il pad fissando lo schermo; Noi abbiamo fatto il nostro dovere, è la controparte ad aver mancato, garantito.
Ti sei rifatta? Mi piacevi di più acqua e sapone Non è nel nostro stile cominciare a parlare di un gioco trattando per prima il fronte grafico e artistico ma questo titolo merita un’eccezione.
Blades of Times , come già accennato, è il seguito di X-Blades. Il primo prodotto dei Gaijin, la software house russa che ha curato i due episodi, non faceva di certo gridare il miracolo grafico: quanto offerto dal primo capitolo era un cell shading senza pretese di sorta, un risultato sotto le righe, frutto però di scelte audaci e consapevoli, una linea artistica che (grazie a non si sa quale alchimia) imprimeva al titolo una certa identità. Sappiamo che molti di voi in questo momento staranno storcendo il naso. X-Blades non era un prodotto di qualità, e graficamente si confondeva con facilità tra il ciarpame più mediocre, ma è vero che ha avuto l’ardire di farlo con un suo stile, di irrompere sul mercato con personalità, gridando le proprie idee e il suo modo di concepire il gaming; forse con voce un po’ roca, ma lo faceva.
Complice sicuramente l’insuccesso della prima tornata, i Gaijin decidono per una triste e incoerente virata: si abbandona il cell shading, che era in grado di dare colore lucentezza e vitalità all’eroina protagonista sullo schermo, per vertere su uno stile più occidentale, senz’altro più cupo e sbiadito. Nel tentativo di dare una risposta più aderente al mercato, gli sviluppatori non si sono dati il tempo di interiorizzare quanto di buono avevano fatto in passato, di cesellare la formula sinora abbracciata; si è scelta la strada più ripida, e probabilmente si è fallito. Dalla formula filo-nipponica si passa a scenari e personaggi improntati al fantasy, dando vita a protagonisti visivamente banali come non mai, e nemici che finiscono tutti per assomigliarsi.
Se sul fronte artistico Blades of Time non può che deludere, non di meno è sul versante tecnico. Il numero dei poligoni non sembra per niente all’altezza delle ambientazioni che gli sviluppatori si sono proposti di offrire all’utente, e le textures appaiono slavate e prive di dettaglio. Ciò che però realmente allarma è la gestione della luce: l’abuso del contrasto unito a un’improbabile illuminazione danno vita a una tavolozza di colori molto prossima all’inguardabile. Inoltre, nonostante il poco sfarzo, e la mancanza di scene troppo concitate, il gioco spesso soffre di cali di frame-rate.
Tutto inizio così …
La storia che è alla base di Blades of Times è quanto in latino si definirebbe un casus belli, ossia un mero pretesto per menare le mani: una storyline di poco al di sopra di quanto può offrirci il cinema a luci rosse. Mentre una non precisata setta è intenta a richiamare un collegamento con la leggendaria dimensione di Dragonland, Ayumi e il suo compare irrompono nella sala, e gettando scompiglio, riescono ad avere accesso alla landa, aspirando a mettere le mani sul famoso tesoro nascosto presso il tempio del Drago. La componente narrativa in X-Blades rasenta lo zero: le vicende sono solo cornice a nuovi scontri, e i personaggi sono profondi quanto pozzanghere, assolutamente non caratterizzati. Qualcuno direbbe che in un action game la storyline può al massimo rappresentare un valore aggiuntivo, noi ci sentiamo di obiettare che, nel caso di specie, si è persa l’occasione di dare qualche spunto di gioco all’utenza.
Premo Rec
Se Blade of Times nei settori sinora affrontati non lascia il segno, lo stesso non può dirsi del gameplay offertoci dagli sviluppatori russi. Come ben suggerisce il nome non troppo originale, in aggiunta alla struttura Hack ‘n’ slash di base che connotava X-Blades, è la quarta dimensione a essere padrona. Cerchiamo di comprenderci, nonostante la capacità di Ayumi si chiami riavvolgi tempo, questa non ha nulla a che fare con il rewind alla Prince of Persia: attraverso il suo speciale potere, la nostra eroina è in grado di riavvolgere il tempo, creando così dei cloni che ripetono quanto la protagonista ha di recente fatto. E’ quest’intuizione il vero valore aggiunto di Blades of Time .
I Gaijin hanno sparso per tutta l’avventura simpatiche sessioni di puzzle solving da affrontare attraverso il sapiente utilizzo del tempo, ma la quarta dimensione dà il meglio di sé soprattutto nelle fasi di combattimento. Non solo mentre gli avversari sono alle prese con i nostri cloni, noi potremo facilmente affondare il colpo di grazia alle loro spalle, ma soprattutto, attraverso le nostre riproduzioni, potremo dare vita alle strategie d’offesa sempre più complesse e far fronte alle battaglie più concitate nonché alle impegnative boss battle.
Il riavvolgitempo riesce a dare la giusta scintilla a una formula di gioco altrimenti senza speranza. I tasti di attacco sono due: uno dedicato ai colpi con le immancabili due lame, e l’altro per un calcio rotante. Ayumi, sul campo di combattimento sembra una palla impazzita, e il più delle volte vi sembrerà di combattere a casaccio, dando vita al button mashing più puro: a contribuire a questa sensazione, oltre al sistema di combattimento particolarmente intuitivo, la mancanza di un tasto adibito alla parata in favore di una schivata laterale particolarmente teatrale, nonché una gestione della telecamera orrenda.
Dulcis in fundo, Ayumi ha anche la possibilità di destreggiarsi con un simpatico fucile. Assolutamente inspiegabile la gestione dell’arma da fuoco dacché, in pieno contrasto con l’assoluto dinamismo, prima citato, delle sessioni con armi bianche, quando impugna il fucile, la protagonista diviene assolutamente legnosa e quindi, data anche l’impossibilità di schivare in modalità di tiro, facile preda dei nemici. Ogni qual volta Ayumi impugna il fucile non si può che sbottare, prevedendo una frustrante sessione di combattimento a distanza che in breve tempo vi permetterà di fare l’appello dei santi da voi conosciuti.
Alberi in rivolta
Se quanto offerto dagli sviluppatori russi non dovesse essere gradito, non temete, i Gaijin hanno pensato a un buon digestivo. Già, perché oltre alla (dimenticabile) modalità storia, il gioco permette di continuare a giocare attraverso la modalità rivolta. La modalità Rivolta è giocabile sia in singolo sia in multiplayer, sia in cooperativa sia in competizione, e prevede lo scontro fra due schieramenti, controllati dall’Intelligenza Artificiale ma co-adiuvati dal giocatore, al fine di abbattere l’Albero (della legge o del caos) della squadra avversaria. Un simpatico diversivo che mantiene l’attenzione dell’utente viva qualche ora in più.
Conclusioni
Blades of Time è un titolo coraggioso, un gioco con delle idee, un prodotto di chi è stanco del solito e ritrito menare le mani, e cerca di stuzzicare il cervello spesso sopito di tanti giocatori oramai lobotomizzati da FPS tutti uguali; un coraggio, però, chiuso in una gabbia di conformismo, schiavo delle leggi di mercato. I Gaijin rinunciano all’audacia stilistica, si confondono nello scaffale dei negozi specializzati e ci propugnano un prodotto artisticamente uguale a tanti altri, tecnicamente mediocre, e certamente non privo di lacune sul fronte gameplay. Nelle poesie di Leopardi, Saffo si tolse la vita così che l’altezza del suo animo potesse liberarsi della prigionia di un corpo grottesco: Ayumi dovrebbe prendere spunto, altrimenti le ottime idee di questi ragazzi non varranno mai il prezzo pieno di copertina.