Difficilmente, a nostro avviso, la linearità e la schematicità che in genere contraddistinguono una buona recensione riuscirebbero ben a riprodurre le impressioni che Skyrim ci ha restituito. Il quinto capitolo della storica saga di The Elder Scrolls, proprio come i suoi predecessori, è un autentico tripudio di suoni, immagini, avventure e storie da ascoltare, o da raccontare. Non i singoli elementi, ma l’insieme degli stessi dona all’ultima produzione di Bethesda quel “qualcosa in più” capace di renderlo una vera esperienza, piuttosto che un semplice giochino: un inno alla libertà e un passepartout per un mondo parallelo. Disabbigliati di ogni presunzione, abbiamo accettato il non facile compito di giudicare – e criticare – un prodotto così vasto e ricco, che, al di là della propria qualità intrinseca, ci ha letteralmente travolti tra mille opportunità e segreti da scoprire. Armati di mouse e tastiera, oltre che di una Xbox 360, ci siamo avventurati nelle fredde terre di Skyrim: ecco la nostra recensione!

Le (nuove) antiche pergamene

La maniera in cui il titolo introduce il giocatore al mondo di Skyrim è, sotto certi punti di vista, fuorviante. Morrowind non perdeva troppo tempo in convenevoli, catapultandoci direttamente nella desolata Vvanderfell con un pugno di Septim nelle tasche e un coltello arrugginito; Oblivion, piuttosto, ci proponeva un lungo e tedioso dungeon utile a far pratica con le meccaniche di gioco (dalla prima all’ultima). Skyrim, si potrebbe dire, è una via di mezzo tra i due. Come da tradizione alla serie, il nostro protagonista è un silenzioso condannato scampato miracolosamente alla morte e destinato a sorti ben più felici e avventurose. Stavolta, però, non prenderemo il controllo del personaggio in una gelida cella: a congelarci, piuttosto, ci penseranno direttamente i nevosi paesaggi cui presto (e con piacere) ci abitueremo. Nei minuti successivi ci verrà chiesto di presentarci (e quindi di scegliere nome, sesso e razza) e di lì a poco un gioviale boia sarà pronto a decapitarci! Il “fortuito” attacco di un drago alla cittadina in cui ci troveremo, però, ci darà l’occasione di salvare la pellaccia. Da lì in poi, una lineare e scriptata fuga dal luogo dell’attacco ci vedrà fare amicizia con i comandi, i vari possibili equipaggiamenti e quant’altro. Soltanto dopo una mezz’oretta avremo modo di mettere mano alla “sostanza” e di valutare Skyrim per ciò che realmente è: un vastissimo e dettagliatissimo mondo da esplorare nella sua interezza, senza alcuna limitazione.

Caratteristica particolarissima di questa produzione è rappresentata dall’antico retaggio del protagonista. Questi è infatti Dovahkiin, un dragonborn: un figlio dei draghi. La sua eredità gli permetterà di acquisire, nel corso di certe quest, dei poteri particolari, denominati “Urli”. Ogni Urlo (ce ne sono in tutto venti) è composto da tre parole, che andranno “collezionate” presso determinati santuari. Alcune di esse potranno essere scoperte nel corso della main quest, ma per altre occorrerà sudare un po’. Usare gli Urli, manco a dirlo, produce effetti unici e devastanti, spesso utilissimi per venire a capo degli scontri più ardui. Scontri che, come molti già sapranno, trovano massima espressione nei fugaci e spettacolari incontri con i Draghi, autentica new entry nel già vasto bestiario della saga.

Tutto, in questo quinto appuntamento, sembra essere stato progettato per far sì che l’intera esperienza di gioco appaia il più immediata e naturale possibile. Niente più classi, o abilità preferite: la progressione del nostro alter ego (per il quale sarà comunque possibile scegliere tra nove diversissime razze) sarà interamente subordinata al nostro metodo di gioco. Non avremo bisogno, quindi, di scegliere in anticipo se votare la nostra esistenza alle mazze pesanti o alla scuola magica dell’Illusione. Semplicemente, la nostra bravura in questo o quell’altro ambito sarà regolata dalla nostra esperienza nello stesso. Un bonus razziale ci fornirà un vantaggio in certe skill determinate (gli Elfi Oscuri, ad esempio, sono più abili nella magia di Distruzione), ma nulla ci impedirà di addestrarci e riuscire in tutt’altre abilità. Allo stesso modo, gli sbilanciati segni zodiacali sono stati rimossi, sostituiti da alcune benedizioni che sarà possibile ottenere presso certi santuari (è possibile attivare una sola benedizione per volta). Viene da sé, quindi, che la componente ruolistica di Skyrim si presta molto di più ad un approccio di gioco immediato, rispetto a quelle dei titoli precedenti. Ciò però non vale necessariamente a dire che la profondità sia stata sacrificata: ad ogni singola delle 18 abilità previste, infatti, è stato abbinato un set di talenti ottenibili spendendo determinati punti, guadagnati ad ogni passaggio di livello. I suddetti talenti permettono una personalizzazione senza precedenti nella serie, consentendo a un esperto di Armi a una Mano, per esempio, di scegliere se i propri colpi avranno una probabilità di paralizzare il nemico o di decapitarlo (o entrambi!). A conti fatti, dunque, i cambiamenti apportati da Bethesda al regolamento liberano The Elder Scrolls da due pesanti fardelli che da sempre avevano contraddistinto la serie: la macchinosità e le scarse possibilità di personalizzazione.

Altre scelte di design, sempre mirate a rendere più immediata e fruibile l’esperienza, sono di carattere secondario ma più discutibili: l’equipaggiamento, ad esempio, non è più soggetto al logorio. Parimenti, la barra del Vigore ha un reale impatto sul gameplay soltanto nei combattimenti, unica porzione di gioco in cui fa la sua comparsa. A nostro avviso, però, si tratta di scelte felici che hanno reso prossimi allo zero i tempi morti: in un gioco in cui l’ammontare d’ore offerto si conta in centinaia, e non in decine, allungare il brodo non serve a molto. Diciamo volentieri addio, quindi, a quel realismo forse un po’ eccessivo che ci impediva di correre durante i lunghi viaggi o che ci obbligava a riparare i nostri armamenti ogni volta che prendevamo la statale Balmora-Ald’Ruhn. In fin dei conti, si tratta di elementi che non intaccano significativamente l’economia di gioco, che anzi in Skyrim appare rafforzata, per non dire risorta.

Tutte le strade portano a Tamriel

A rischio di menzionare il superfluo, è opportuno precisare che The Elder Scrolls V: Skyrim , come tutti i suoi predecessori, mette a disposizione del giocatore un vastissimo mondo da esplorare liberamente. L’area totale di gioco è pressoché delle stesse dimensioni di quella di Oblivion, ma le è superiore in contenuti e realizzazione artistica. Le foreste pre-generate di TES IV hanno ceduto il posto a piccoli capolavori audio-visivi, come ruscelli che si fanno strada tra rocce e tronchi vecchi o piccoli villaggi abbandonati nelle praterie. Viene facile perdonare, quindi, una realizzazione grafica lontana dalla perfezione e colma di texture impastate e ripetute alla nausea, poiché saggiamente utilizzate e impreziosite da una cura artistica insindacabile. Gran parte di questo lavoro è largamente agevolato da una colonna sonora evocativa e d’impatto, pure stavolta firmata Jeremy Soule; molte arie tratte dal buon vecchio Morrowind sono state riprese e arrangiate nuovamente, per la gioia delle orecchie di tutti gli storici fan della saga.

Tra l’altro, il motore di gioco è leggerissimo, e dona parecchie soddisfazioni anche sui PC meno aggiornati: in linea di massima, un computer in grado di far girare Oblivion a 60 FPS, in Skyrim non scenderà al di sotto dei 30. Anche su console, il livello del dettaglio è decente e non grava troppo sulle prestazioni. Tale ottimizzazione, unita a una quasi totale assenza di bug e glitch più o meno gravi, rende l’esperienza complessiva leggera e scevra da preoccupazioni.

Lo stesso sistema di gioco, come un regista virtuale, si prende cura di noi e si assicura che il nostro alter ego virtuale non debba mai starsene con le mani in mano. Oltre alle innumerevoli quest che potremo accettare presso accampamenti, città e quant’altro infatti, altre ci verranno affidate dal gioco stesso in maniera “intelligente” e indipendente dalla nostra effettiva posizione geografica. Si tratterà perlopiù di piccoli incarichi che andranno risolti sul momento, tendenzialmente ricorrendo al dialogo o alle armi, ma abbastanza vari e diversificati da risultare sempre divertenti e interessanti. Oltretutto, essi svolgono in maniera impeccabile la loro funzione, e cioè quella di donare imprevedibilità e personalità ai viaggi intrapresi da coloro che vorranno fare a meno del “fast travel”, la funzione che permette di raggiungere un luogo già visitato semplicemente cliccandoci su. Le suddette quest sono giustamente offerte a seconda del livello del personaggio, ma questo è l’unico caso in cui il gioco ci faciliterà la vita offrendoci una sfida alla nostra portata. A differenza di quanto succedeva nell’ultimo capitolo della serie, infatti, incontri e missioni non sono subordinate alla nostra potenza, e non di rado potremmo imbatterci in nemici che non siamo ancora in grado di affrontare, o che sgomineremo con un paio di blandi fendenti. La frustrazione, però, non è di casa a Skyrim : abbiamo giocato al massimo livello di difficoltà, e nel peggiore dei casi abbiamo tranquillamente aggirato gli ostacoli più ostici per poi tornarci in futuro, forti dell’esperienza guadagnata e del nuovo equipaggiamento recuperato.

Molti altri però sono i casi in cui Skyrim dona sorprese e piccole avventure impreviste. Anche al nord di Tamriel dungeon e rovine sono numerosissime e colme di insidie e tesori. I dungeon poco ispirati e lineari di Oblivion sono un lontano ricordo, e qui più che mai ciascuno di essi trasuda la propria personalità. Quasi in ogni dungeon avremo occasione di approfondire le nostre conoscenze del luogo visitato (tramite dialoghi, lettere o documenti), e generalmente esisterà sempre qualche cattivo boss ad aspettarci alla fine del percorso. Il level design, in linea di massima, è della stessa caratura che contraddistingue le missioni principali (che per essere completate richiedono una trentina d’ore), e spesso comprende trappole, passaggi segreti, entrate secondarie e opportunità di interagire con l’ambiente (incendiando, ad esempio, pozze di liquido infiammabile). Di tanto in tanto ci capiterà persino di dover far fronte a qualche puzzle o semplice enigma, risolvibile (in genere) esaminando un oggetto particolare o diari e lettere.

Una storia vera

Chi aveva già visitato Cyrodiil o Morrowind si sentirà a proprio agio con la filosofia di combattimento professata da Skyrim , ma avrà modo di scoprire qualche gustosa novità. Come sempre, i controlli sono vicini a quelli di sparatutto in prima persona, e prevedono che il giocatore dia prova della propria destrezza personale, oltre che delle proprie capacità di gestione di skill e risorse. Novità sostanziale introdotta da Bethesda è costituita dal dual wielding, meccanica che prevede l’uso arbitrario delle braccia del personaggio. A seconda del nostro stile di gioco (e delle nostre esigenze), potremmo voler impugnare due armi contemporaneamente, o alternare l’uso di una spada a quello di uno scudo, o di un incantesimo. Oltretutto, preparare due volte lo stesso incantesimo ne raddoppierà la potenza, ma purtroppo non è consentito combinarne due differenti come in Magicka, a dispetto di quanto molti avevano sperato. Sfortunatamente, l’IA dei nemici non è competitiva come avremmo voluto: il più delle volte, non fanno molto altro che curarsi e attaccare. Più in generale, comunque, la situazione è ben più felice rispetto al passato. Le attività degli NPC, infatti, appaiono assai più regolari e credibili e raramente rischiano di rovinare l’atmosfera o, ancora peggio, innescare eventi disagevoli e imbarazzanti per l’utente.

Oblivion arrivò sugli scaffali senza aver mantenuto proprio tutte le promesse fatte. La tanto decantata Radiant AI, l’intelligenza artificiale che avrebbe dovuto offrire livelli di realismo senza precedenti, alla fine apparve talmente “castrata” e limitata da script ed esigenze di design che arrivò a destare più malcontento che stupore. A ragione, molti giocatori lamentavano proprio la mancanza di ciò che Bethesda aveva inizialmente garantito: verosimiglianza.

In Skyrim , la faccenda è radicalmente diversa. Gli sviluppatori sono stati abbastanza intelligenti da apprendere e ammettere i propri limiti, e piuttosto che lanciarsi alla caccia del Santo Graal degli algoritmi IA hanno optato per una soluzione ben più elegante ed efficace: l’illusione data dai dettagli. Ogni personaggio non giocante ha la propria routine, le proprie mansioni da svolgere e le proprie passeggiate da fare, e conduce la propria vita in maniera tutto sommato regolare e pedissequa. Grossomodo, tutto è stabilito e va bene così: come in un teatro, ciascuna comparsa è al proprio posto, e segue la propria parte. Il fabbro lavora tutto il giorno coi propri attrezzi, così come il cacciatore si reca nei boschi in cerca di conigli e cervi. Il numero di attività e di azioni svolte dai vari “attori” è impressionante, ed è facile che per le prime venti-trenta ore di gioco avrete ancora qualcosa da scoprire. Alcuni si lanciano in violente risse, altri tornano in città con cestini colmi di fiori raccolti appena oltre le mura urbane. Il tutto, però, conserva la propria equilibrata staticità, senza intaccare in alcun modo il prosieguo della storia ed evitando quelle situazioni assurde a cui ci aveva abituati Oblivion, in cui poteva capitare di vedere la guardia cittadina massacrare i passanti per una freccia scagliata nella direzione sbagliata. Anche il sistema economico delle città appare migliorato e realistico. Le nostre azioni, i nostri acquisti e le nostre vendite influenzeranno infatti in maniera dinamica la ricchezza dei singoli centri urbani che visiteremo. I mercanti non potranno più comprare tutte le cianfrusaglie che gli porteremo, a meno che non gli avremo dato il tempo necessario per rimpinguare le proprie tasche; mai come prima d’ora, quindi, smerciare certi oggetti può risultare complicato, in Skyrim , specialmente se si tende a non acquistare nulla nel corso delle transazioni.

Il succitato realismo tende a riflettersi anche nell’ampia rosa di attività secondarie a portata del giocatore. Il sistema di crafting, ricostruito da zero, consente nella sua interezza di passare altre preziose ore di divertimento a raccogliere materiali, lavorarli e impiegarli in diverse discipline che vanno dall’alchimia all’incantamento. Si tratta di una porzione di gioco che può essere agevolmente aggirata, ma che se presa in considerazione è in grado di regalare soddisfazioni indicibili; basti pensare che ci sarà consentito ricavare preziosi ingredienti alchemici persino dagli insetti che popolano prati e foreste. Per venire incontro a queste novità, da Bethesda hanno pensato bene di riprendere skill che avevano saltato il giro precedente, suscitando il disappunto di non pochi fan. Anche in questo caso i talenti giocano un ruolo fondamentale, e per forgiare le armature più resistenti o distillare i veleni più letali saremo costretti a spendere un gran numero di punti nelle relative abilità. Esiste comunque un gran numero di attività che non richiedono un addestramento particolare per essere svolte. Ad esempio, interagendo con spiedi o calderoni avremo modo di mescolare carni, verdure e ingredienti per cucinare pietanze dalle proprietà corroboranti o rinvigorenti.

Molti altri sono gli aspetti che arricchiscono un già nutrito e verosimile scenario come quello offerto da Bethesda. Ad esempio, se dovesse capitarci di essere arrestati, saremo costretti a scontare la nostra pena in cella: potremo scegliere di aspettare il nostro rilascio e lasciare che alcune nostre abilità si logorino, o tentare una fuga più o meno silenziosa. L’esperienza maturata con Fallout 3, inoltre, ha permesso agli sviluppatori di aggiungere ulteriori variabili alla già fittissima rete di opportunità messe in campo. Alcune di queste, come gli acquisti degli immobili, sono state migliorate e arricchite; altre, come il matrimonio, fanno per la prima volta il loro ingresso nella serie.

Piuttosto, delude un po’ la maniera in cui è stato implementato il reclutamento di compagni di viaggio. L’intelligenza artificiale di questi ultimi, proprio come quella dei nemici, lascia ampiamente a desiderare; ne risulta che, spesso e volentieri, portarli con noi vorrà dire condurli alla morte certa. Molto meglio affidarsi al cavallo: è veloce, non parla mai, scala le montagne e (per qualche motivo) ci aiuta coraggiosamente in battaglia!

Unica vera pecca del titolo risiede nella realizzazione dell’interfaccia. Purtroppo, l’eccessiva voglia d’innovazione presso gli studi di Bethesda si è rivelata deleteria per la gestione dell’inventario. Se l’HUD appare infatti elegante e funzionale, altrettanto non si può dire della gestione di abilità, oggetti e magie, accorpati in lunghi elenchi difficili da scorrere in cui perdersi non è cosa rara. Su PC, l’aiuto del mouse allevia la scarsa intuitività di funzioni e pulsanti, ma tutto resta comunque un po’ troppo caotico per un titolo in cui ci si porta dietro tonnellate di pozioni, ingredienti, armi, armature e documenti. Proprio non abbiamo digerito, inoltre, la gratuità con cui gli obiettivi venivano indicati su mappa e bussola: spesso, il gioco segnala anche oggetti e luoghi la cui ubicazione dovremmo scovare da soli! Per fortuna, è sempre possibile disattivare questa funzione (dalla lista delle quest “attive”) e cavarsela con le proprie forze. Inutile dire, però, che in un così ampio scenario di meraviglie e possibilità, un’interfaccia scomoda non possa far altro che passare inosservata.

Commento finale

Dopo una lunga recensione di circa tremila parole, ancora abbiamo la sensazione che ci sia qualcos’altro da dire su Skyrim . La quantità dei contenuti è travolgente, e anche dopo cento e più ore di gioco avrete la sensazione di essere solo all’inizio. Mai come prima d’ora ci è parso di vivere in un mondo parallelo, fatto di intrighi, magie, foreste e draghi. RPG definitivo o no, Skyrim è un autentico passo avanti nella storia del game design: non solo offre centinaia d’ore di divertimento, ma lo fa anche in maniera impeccabile. Varrebbe la pena di spendere qualche parola in più a proposito dei paesaggi mozzafiato, dei momenti emozionanti e della splendida colonna sonora (che meriterebbe una recensione a parte), ma così facendo rischieremmo di non finire più. L’immensità del mondo di Skyrim vanifica qualsiasi tentativo di analizzarlo fino in fondo. E questo, più d’ogni altra cosa, definisce la sfuggevole essenza del monumentale capolavoro di Bethesda.

Marco Maresca

CI PIACE
  • Centinaia d’ore di gioco assicurate
  • Cura per il dettaglio maniacale
  • Artisticamente meraviglioso
  • Colonna sonora meravigliosa
  • Un vero mondo parallelo!
  • Urli e draghi funzionano a meraviglia
NON CI PIACE
  • Grafica non sempre al massimo
  • IA da rivedere totalmente
  • Interfaccia da suicidio
Conclusioni

L’immensità del mondo di Skyrim vanifica qualsiasi tentativo di analizzarlo fino in fondo. E questo, più d’ogni altra cosa, definisce la sfuggevole essenza del monumentale capolavoro di Bethesda.

9.5Cyberludus.com

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