L’autunno è, a parere di chi vi scrive, la stagione che più di tutte riesce a regalare emozioni al giocatore appassionato del retrogame, vuoi per una vena nostalgica propria tanto della “natura morente” quanto dei ricordi sotto forma di pixel, vuoi per l’inizio della scuola che costringeva il me bambino a terminare in fretta i compiti per dedicarmi al mio passatempo preferito.
Probabilmente è stata proprio l’atmosfera che ho respirato in questi giorni a enfatizzare i grandi punti di forza di Legends of Amberland: The Forgotten Crown, un’esperienza divertente che ha prepotentemente – e furbescamente – fatto leva sul fattore nostalgia, mai però in maniera stucchevole.
Tuttavia i limiti della produzione sono numerosi ed evidentissimi, ma se inquadrati nell’ottica di una produzione quasi amatoriale. Sì, perché il gioco è stato ideato, sviluppato e programmato da una sola persona, tale Chris (Krzysztof) Koźmik sotto l’egida della Silver Lemur Games.
Ora non vi viene voglia di chiudere un occhio e lasciarvi sorprendere comunque da quanto ha di buono da offrire?
E all’improvviso fu il 1993
Legends of Amberland: The Forgotten Crown è un classicissimo gioco di ruolo per PC, fortemente ispirato a Eye of the Beholder, la saga di Wizardry e tutti gli esponenti del genere – i dungeon crawler su griglia – che han fatto la fortuna dell’industria nella prima metà degli anni ’90, quando le schede video dedicate erano ancora un miraggio e il grosso dell’immedesimazione dipendeva esclusivamente dall’immaginazione dell’utente. Il movimento sulla mappa avviene seguendo gli obblighi che le caselle portano con sé, mentre i combattimenti sono tradizionalmente legati alla formula dei turni, la più vicina alla ruolistica tradizionale – quella fatta di matite e dadi da venti – di quanto siano i giochi di ruolo d’azione che spopolano sulle console odierne.
All’inizio di una nuova partita il giocatore ha la possibilità di scegliere un livello di difficoltà tra tre opzioni, ognuna caratterizzata dai bonus concessi ai nemici. Sconsigliamo anche ai giocatori di “primo pelo” di selezionare il più basso livello di difficoltà, visto che in quello difficile gli scontri ci sono sembrati ostici ma tutto sommato equilibrati, in grado di stimolare senza mai frustrare.
La seconda cosa da fare è creare sin dall’inizio un party composto da sette eroi che vi accompagneranno lungo tutta l’avventura. Le classi e le razze pescano a piene mani dai canonici stilemi del genere configurando il sistema come una sorta di Dungeon & Dragons piuttosto semplificato. Va riportato un piccolo squilibrio nella gestione delle stesse, poiché ci è sembrato che le classi tank (Warrior, Champion…) mantenessero un vantaggio anche con l’aumentare dei livelli, a discapito delle classi magiche (Sorcerer, Wizard…), mai veramente decisive. La crescita dei personaggi è un altro aspetto importante: esistono cinque attributi, ciascuno con effetti multipli sulle statistiche. La forza influenza il danno fisico inflitto dagli attacchi in mischia e la quantità di carico possibile, che per ogni dieci punti di forza, aumenta di un punto. La destrezza influenza la frequenza dei colpi e aumenta anche la statistica secondaria della schivata. Forse il più interessante è l’attributo Conoscenza, che è rilevante per tutte le classi poiché ha ricadute sui loro talenti. L’attributo Willpower determina il numero di punti magia e più personaggi investono in questo attributo, più punti magici otterranno quando saliranno di livello.
Altro elemento che restituisce una sensazione di déjà vu videoludico è che l’accumulo di punti esperienza non porterà automaticamente al passaggio di livello. Sarà infatti necessario visitare alcuni luoghi – prevalentemente città – in cui è attestata la presenza di Trainer che si faranno pagare in moneta sonante gli avanzamenti di livello, nonché qualsivoglia miglioramento nelle statistiche di cui sopra, meccanica che meglio si confà alla tradizione dura e pura che il gioco vuole evocare.
C:\giochidiunavolta.exe
Una volta entrati nel mondo di gioco saremo catapultati in un’avventura immediata e in grado di lasciarsi giocare divertendo. Senza spoilerarvi alcunché, vi basti sapere che nell’inventario apparirà una lettera del Grande Mago di palazzo che vi convoca con urgenza per discutere dei tumulti che stanno interessando il regno. Probabilmente, abituati ormai ai colpi di scena di The Witcher 3, o alle cosmogonie coerenti dei vari The Elder Scrolls, giocare alla trama di Legends of Amberland: The Forgotten Crown potrebbe risultare alquanto banale: il nostro consiglio è quello di approcciare a questo genere di giochi con la massima innocenza possibile, quella che avevamo quando il genere si è diffuso, un piccolo sforzo da compiere per ricevere davvero molto in cambio. Apprezzabile è la vastità del mondo di gioco e la quantità di quest in esso contenute: a una prima run impiegherete circa venticinque ore per portare a termine l’avventura principale.
Purtroppo i limiti nel gameplay sono evidenti anche all’occhio meno esperto. Innanzitutto il livello di dettaglio delle città è inesistente, ci limiteremo a una schermata passiva in cui sarà possibile cliccare sulle attività classiche (Inn, Trainer, Shop e da uno a tre NPC che ci parleranno); lo spessore dei dialoghi, sia con i personaggi comprimari, sia con i sopracitati NPC, è davvero inesistente, limitandosi alla costruzione frasi minime, finalizzate solo al riconoscimento del successivo luogo da visitare; il motore grafico – in un abbozzato 3D e elementi in sprite bidimensionali (davvero grezzi e poco leggibili) – non permette un orientamento comodissimo durante la partita, per ovviare a questo limite ci tornerà utile la mappa bidimensionale presente in una schermata in alto a destra, capace di offrire tutte le informazioni che negli anni ’90 riportavamo manualmente sulla carta millimetrata.
Nonostante ciò, agli amanti della pixel art e ai retrogamer più nostalgici non dispiacerà affatto muoversi nel mondo di gioco in queste condizioni, poiché talvolta foriero di alcuni scorci relativamente suggestivi. Decisamente riuscito il commento sonoro del gioco che riesce, attraverso il sapiente uso del sintetizzatore, nel non facile compito di evocare un’atmosfera consona all’intera opera.
Insomma, un risultato non di poco conto, soprattutto se lo si considera nell’ottica di una produzione indipendente, per di più diretta da un solo sviluppatore, evidentemente nostalgico e decisamente competente.
Concludendo…
È vero, la trama piuttosto banale e il ritmo lento sono ostacoli di non poco conto, difficili da digerire per il giocatore medio, così come la pochezza dei dialoghi e la caratterizzazione dei personaggi… ma possiamo davvero dichiarare Legends of Amberland: The Forgotten Crown un fallimento?
Chi vi scrive pensa di no, soprattutto alla luce di un divertimento che fa leva sulla nostalgia e sulla fame di esplorazione, quindi mirato a un target ben preciso. Inoltre riesce a regalare anche scorci di una certa suggestione, a offrire momenti di sicura qualità attraverso una colonna sonora presa a piè pari da qualche hard disk del 1994 e mostrare un legame con la tradizione videoludica che è un vero e proprio colpo al cuore per i giocatori più vecchiotti.
Mai come in questo caso, dunque, la soggettività è la vera regina del giudizio finale. Sta a voi decidere se e in che modo chiudere un occhio sui fisiologici problemi di una produzione che, seppur buona, risulta ai limiti dell’amatorialità. Se siete tra coloro che riescono a comprenderne a pieno l’essenza aggiungete pure una decina di punti al voto in calce.