Chi troppo vuole, nulla stringe

Vi è mai capitato, chessò, di ritrovarvi di fronte ad un gioco che, per quanto brutto, cercate a tutti i costi di farvi piacere? Un gioco che, a pelle, sembra basarsi su un’idea buona, abbia più di qualche aspetto che possa interessarvi, ma la quale realizzazione è così carente da farvi finire in un eterno circolo di incertezza? Che faccio? Lo abbandono? Non lo abbandono? E se poi migliora? E se ora spengo la console, perchè ho questa irrefrenabile voglia di continuare? Anima: Gate of Memories è l’esempio perfetto di dissidio interiore petrarchesco rapportato al medium videoludico. Non è un brutto prodotto, tutt’altro; ha solo tante, troppe buone idee, nessuna delle quali sviluppata a dovere. È un’accozzaglia di concetti prelevati (spesso, neanche furbescamente) da saghe di maggior successo ed infilate a forza in un unico disco, senza seguire alcuna logica di coerenza stilistica o progettuale. E non è neanche questo gran problema, a dirla tutta.

 

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Tutto nasce da un’idea

Anima è eclettico, e questo non lo si può negare in alcun modo, ma abbiamo imparato sulla nostra pelle che “prendere spunto” non significa automaticamente essere delle brutte copie di qualcosa. Siamo strapieni di prodotti – magari non così innovativi – che riescono ad alzare la barra della qualità già solo prendendo in prestito idee dai propri concorrenti (chi ha detto Uncharted?). Il problema di Anima, però, non è tanto il suo avere poca inventiva, ma il non riuscire neanche a proporre una base solida per tutto ciò che è stato buttato lì e poi sviluppato troppo velocemente. Questo Action/RPG si mostra, palesemente, come il progetto ambizioso di un team che ha forse fatto il passo più lungo della gamba, e che avrebbe fatto meglio a guadagnare esperienza lavorando prima più sul “piccolo”. Il tutto si presenta, alla stregua di un Dark Souls qualunque, come un gioco d’azione con forti elementi ruolistici, che andranno ad intaccare non solo la nostra vitalità e barra del mana, ma anche e soprattutto i danni inflitti in battaglia, quelli a cui potremo resistere e la nostra capacità di reggere la fatica. Ogni azione, infatti, è legata ad un contatore di Stamina che converrebbe sempre tener d’occhio, onde evitare di ritrovarsi senza forze nel bel mezzo di una combo. Schivate e attacchi sono quindi due facce della medesima medaglia, e tanto al giocatore più navigato come a quello più inesperto converrà studiare tattiche che comprendano offesa e difesa senza che l’una escluda l’altra.

 

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Memorie fugaci

Per quanto riguarda la trama in sé, non c’è nulla di realmente memorabile da segnalare. La storia parla di una ragazza impegnata a recuperare un antico testo sacro, prima che venga utilizzato dai cattivoni di turno per chissà quale rituale segreto. La protagonista, ovviamente, è un “soldato” che agisce senza mai porsi domande, a causa di un’amnesia che le impedisce di ricordare le sue origini. C’è il classico dualismo tra chiesa ed esercito, il demone da evocare, il maestro che si rivelerà essere ben presto un traditore e l’immancabile spalla comica (che, in verità, funziona anche benino): insomma, la fiera dello stereotipo concentrata e mescolata in un’unica sceneggiatura di dubbia inventiva. Purtroppo, tanto la vicenda in sé come i personaggi che la compongono – causa anche dei filmati d’intermezzo improntati al risparmio – non risultano essere né sfaccettati né in alcun modo interessanti. Se riuscirete a trovare le forze di andare avanti e farvi strada tra le vagonate di dialoghi statici ed insipidi, finirete come noi, ad un solo giorno dai titoli di coda senza neanche ricordare il nome di un singolo personaggio.

 

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Toccata e fuga

Se è vero che la sceneggiatura offre davvero pochi spunti di salvezza, il gameplay riesce in qualche modo a comportarsi meglio, anche se solo leggermente. Come abbiamo già precisato prima, Anima si rifà parecchio ai capisaldi del genere, pur non riuscendo mai a raggiungere la stessa profondità o anche già solo lo stesso senso di soddisfazione di fronte all’abbattimento del nemico di turno. I ritmi, in verità, sono anche più forsennati di quelli delle saghe a cui strizza l’occhio, ma la semplicità di base non dà molto spazio all’inventiva o anche già solo alla fantasia. I due personaggi alternabili non sono poi così diversi, e nonostante abbiano un differente set di incantesimi ed attacchi all’arma bianca, finiscono sempre in qualche modo a sembrare più simili di quanto dovrebbero.

 

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I combattimenti in sé, tra l’altro, mancano di una qualsiasi profondità decisionale che riesca a tenere alta l’attenzione del giocatore; ci saranno anche varie tipologie di attacchi (aerei, dalla lunga distanza, ravvicinati) ma non sarà raro finire sempre e comunque per utilizzare quei pochi davvero utili e, nel frattanto, schivare ogni volta sia palese doverlo fare. La formula, nonostante una dose esplorativa da non sottovalutare, la possibilità di praticare back-tracking o anche già solo di finire per sbaglio in ambienti troppo ostici per il nostro personaggio attuale, finisce per stancare praticamente subito, incapace di rinfrescarsi nel corso delle molteplici e pesantissime ore di gioco. Una menzione d’onore va, però, all’albero delle abilità. È possibile infatti salire di livello e, contemporaneamente, guadagnare “gettoni” che ci permettano di sbloccare nuove tecniche, o di potenziarne di vecchie. La scelta è abbastanza ramificata ed assicura a chiunque un certo grado di libertà evolutiva che – in titoli del genere – non dovrebbe mai mancare.

 

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Almeno l’occhio vuole la sua parte

Anche tecnicamente, purtroppo, non c’è quasi nulla da salvare. Nonostante la direzione artistica delle ambientazioni possa risultare talvolta – vagamente – ispirata, il motore di gioco traduce poligoni e texture in strutture e personaggi blandi, slavati e assolutamente sottotono, soprattutto considerato l’hardware su cui il gioco gira. La mancanza di vere e proprie cut-scenes, poi, sottolinea ancor più come anche le animazioni abbiano sofferto di una produzione dal budget fin troppo risicato. Salvabili invece le colonne sonore, che riescono in qualche modo a sostenere il ritmo delle battaglie e – in molti casi – persino ad innalzarlo.

 

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Concludendo…

Anima: Gates of Memories non è più di quanto già sembri ad una sola, fugace occhiata. Un gioco di ruolo hack ‘n slash dal basso budget e con premesse più toste di quanto sia però riuscito a mantenere. Ha un po’ di tutto, ma non eccelle praticamente in nulla. Non è esageratamente brutto, ma una trama scialba ed un gameplay poco profondo gli fanno perdere ogni mordente già in meno di un’ora. Ha i suoi punti alti, come una direzione artistica a tratti ispirata ed un sistema di level-up piuttosto articolato, ma i limiti sovrastano i pregi di almeno 10 a 1. Potrebbe magari piacere a qualche fanatico dei ruolistici filo-nipponici con la bocca asciutta, ma sinceramente non ce la sentiremmo in alcun modo di consigliarlo a chiunque cerchi qualcosa – ludicamente parlando – di più altolocato. Peccato, però, perchè le idee c’erano. La messa in pratica, un po’ meno.

CI PIACE
- Buon sistema di crescita del personaggio
NON CI PIACE
- Combattimenti ripetitivi e poco profondi
- Trama dimenticabile
- Esplorazione e platforming di basso livello
- Tecnicamente scadente
Conclusioni
Un action ruolistico con qualche spunto interessante, che però cade vittima dei propri notevoli difetti ancor prima di riuscire a decollare
5.5Cyberludus.com
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