Tutt’altro che rivoluzionario…
Mancano ancora una manciata di ore prima dell’esordio europeo di Homefront: The Revolution, lo sparatutto in prima persona sviluppato dai Dambuster Studios di Deep Silver che pone il giocatore nei panni di un rivoluzionario alle prime armi, impegnato a respingere le forze d’invasione Coreane da una Philadelphia distopica e devastata. Lo ammettiamo candidamente e senza vergogna: il concept di questo gioco aveva suscitato in noi turgidità di una certa rilevanza, dovute in parte all’interessante “setting” rivoluzionario del titolo Dambuster e in parte alla promessa di un gameplay vario e sfaccettato, ambientato tra i vicoli di una giungla urbana occupata con tirannica violenza da un nemico all’apparenza imbattibile. Peccato però che, alla prova del pad, Homefront: The Revolution non si dimostri affatto all’altezza delle aspettative, palesandosi invece, almeno nelle prime ore, come un titolo mediocre, scialbo e sostanzialmente dimenticabile, caratterizzato da un profilo tecnico decisamente problematico. In questa fase di “recensione in fieri”, però, non ci sentiamo ovviamente di esprimere giudizi di massima sul gioco, ma vogliamo comunque condividere con voi le nostre prime impressioni sullo sparatutto open-world di Dambuster Studios.
Le fiamme della banalità
Malgrado la premessa altisonante, la rivoluzione portata avanti dal protagonista Ethan Brady è cadenzata dal continuo susseguirsi dei compiti tipici di questo genere di produzioni open world. Nel caso abbiate giocato agli ultimi tre Far Cry, allora conoscere bene la formula: una mappa da “svelare” attivando appositi dispositivi\punti di interesse, avamposti da conquistare a suon di piombo, contenitori carichi di ogni sorta di beni da vendere o utilizzare per produrre equipaggiamenti, incarichi secondari altamente ripetitivi e una trama portante interessante ma tutt’altro che “rivoluzionaria”. Il fatto che il protagonista, malgrado la sollecitazione di amici e beneauguranti, si ostini a non proferire verbo per tutto il corso dell’avventura non aiuta certo ad immergersi anima e cuore nel dramma della Philadelphia post-invasione. Queste caratteristiche, da sole, non rendono Homefront: The Revolution un brutto gioco, ma la piattezza creativa dell’opera contribuisce a sottolineare e rendere particolarmente evidenti gli indiscutibili problemi tecnici del titolo di Dambuster Studios. In primis una direzione artistica non particolarmente ispirata, che fatica ad offrire alle varie zone di Philadelphia la giusta caratterizzazione, seguita a ruota da un frame rate ignobilmente instabile, che varia da 15 a 25 fps senza soluzione di continuità, rendendo le fasi di shooting ingiustamente ardue. Aggiungete a queste fluttuazioni una gestione delle hitbox tutt’altro che precisa e un gunplay drammaticamente privo di personalità, ed ecco che avrete un quadro piuttosto preciso delle “sfide” proposte dal gameplay di questo Homefront. Va inoltre detto che l’instabilità sul fronte frame rate non corrisponde, purtroppo, ad una qualità grafica in linea con le altre produzioni di genere, ma invece risulta impoverita da texture poco definite e shader a volte pessimi. Freeze ricorrenti (5-6 secondi per ogni salvataggio automatico) e glitch imprevedibili (missioni che non si aggiornano o aree incomprensibilmente inaccessibili) collocano poi la ciliegina sulla torta di un comparto tecnico decisamente carente, che avrebbe dovuto rimanere “nel forno” ancora per qualche tempo.
Quanto detto finora, lo ripetiamo, è il frutto delle impressioni maturate in appena 5-6 ore di gioco, e pertanto non rappresenta necessariamente il nostro parere finale sul gioco di Deep Silver. Va però detto che, al momento, nutriamo ben poche speranze sul fatto che Homefront: The Revolution riuscirà, con un’altra ventina d’ore di gioco, a sollevarsi dall’attuale quadro di mediocrità assoluta.
L’appuntamento è fra qualche giorno, con la recensione completa di Homefront: The Revolution.