Di ritorno nella Terra dei Morti
Sappiatelo, anzi, “sapetelo”. Scrivere questa recensione mi ha provocato paturnie di dimensioni gargantuesche e sudori freddi un punti poco soleggiati.
Perché?
Andiamo, c’è veramente bisogno di chiederlo?
È Grim Fandango, diamine, probabilmente la cosa migliore che la brillante mente di Tim Shafer abbia mai partorito. Quando, sul palco dello scorso E3, Sony annunciò il ritorno in alta definizione di Manny Calavera e compagni, il mio cuore ebbe un sussulto tanto forte che finii in ospedale con due costole incrinate.
Davvero, quando piove mi fanno ancora male.
Divagazioni cliniche a parte, il nodo del mio auto affliggimento nasce proprio dalla soggettiva difficoltà nell’esprimere un giudizio sulla riedizione di un gioco che, oltre quindici anni fa, amai ben oltre i limiti della pubblica decenza. Credo che, al tempo, solo io, Tim Schafer e pochi altri fedelissimi rifiutammo categoricamente di riconoscere quello che, numeri alla mano, fu il flop commerciale che determinò il progressivo allontanamento di LucasArts dal suo genere di punta, gli adventure games.
In sostanza sono un Grim Fandango fanboy. Ecco, l’ho detto.
Chissà se esiste un gruppo di recupero.
Eviterò quindi di tediarvi oltre misura con discorsi sulle indiscutibili qualità della struttura narrativa, o con menate pantagrueliche sull’originalità di ambientazione e cast, e mi limiterò a parlarvi dei pregi e dei difetti di Grim Fandango Remastered in quanto riedizione di un gioco eccezionale.
Pigrizia o rispetto?
Non so se succede anche a voi, ma il mio cervello tende a “rimasterizzare” in maniera autonoma le immagini mnemoniche dei vecchi giochi, allineandole agli standard della più recente generazione tecnologica. Non so bene come funzioni, forse è un difetto di rilevanza psichiatrica, ma tant’è. Forte di queste memorie neuro-aggiornate, il mio ritorno nella Terra dei Morti di Grim Fandango Remastered non è stato esattamente “indolore”.
Cerchiamo di essere onesti, in fondo parliamo di un gioco del 1998, quindi il “trauma grafico” ci starebbe tutto….se non fosse per il fatto che la versione in questione non è l’originale pre-millennium bug, ma un remaster uscito all’inizio del 2015.
Con una mossa – a mio parere – piuttosto discutibile, Double Fine Productions ha deciso di seguire una linea radicalmente “conservativa” con Grim Fandango Remastered, mantenendo sostanzialmente invariati gli asset della versione originale. Il protagonista del gioco, l’agente di viaggio Manny Calavera, si muove in ambienti pre-renderizzati ben 18 anni fa, riproposti nello stesso formato 4:3 dell’originale, con l’aggiunta – esteticamente controversa – di bordi in stile art deco. Sebbene nel gioco sia presente un’opzione per adattare i fondali allo standard odierno dei 16:9, il risultato di tale “forzatura” risulta spiacevolmente sgranato e, pertanto, sconsigliabile. I modelli dei personaggi, malgrado il gambetto dell’alta definizione, contano esattamente lo stesso numero di poligoni della versione originale, con l’aggiunta di una generosa mano di anti-aliasing per ridurre al minimo scalettature e dettagli frastagliati.
Non risulta particolarmente incisivo neanche il nuovo sistema di illuminazione che, seppur generalmente gradevole, appare a volte acontestuale e “incollato”, tanto che poco o niente aggiunge alla resa finale del tutto. Stendiamo poi un velo peloso (non è un refuso) sui filmati in-game, rimasti ligi allo standard degli anni ’90 e orbi perfino della succitata mano di anti-aliasing. Decisamente apprezzabile, invece, l’aggiunta di un modello di controllo “punta e clicca” (Scumm style) come alternativa a quello rigidamente “tank” dell’edizione originale, rivisto e corretto – nei limiti del possibile – per questa edizione rimasterizzata.
Operazione nostalgia…GO!
Se l’ultima stagione videoludica ci ha insegnato qualcosa è proprio che certe “operazioni nostalgia” tirano più del proverbiale carro di buoi (non quanto l’altrettanto proverbiale pelo, sia chiaro), quindi sorge il sospetto – tutto sommato legittimo – che questo remaster sia stato confezionato ad arte per ottenere il massimo rendimento economico con il minimo sforzo creativo. Da notare poi la quantità non trascurabile di bug presenti nella nuova versione, alcuni dei quali importati direttamente dall’originale del 1998.
L’unica vera novità è, di fatto, il commento dei membri del team di sviluppo originale (Tim Schafer in testa), che offre allo svolgersi dell’avventura un controcanto fatto di aneddoti e retroscena in grado di strappare più di qualche sorriso. Sicuramente un bonus gradito, che però non basta ad allontanare il pensiero che molto di più poteva esser fatto per “impreziosire” questa edizione rimasterizzata. Anche solo l’aggiunta di un sistema di suggerimenti, ad esempio, sarebbe stato un piccolo – e apprezzabilissimo – passo avanti nella giusta direzione, specialmente considerando la natura non sempre strettamente consequenziale degli enigmi del gioco.
Va pur detto che il prezzo del titolo (19,99 euro) non rappresenta certo un’estorsione, specialmente se si pensa che il gioco originale è sostanzialmente irreperibile e, in ogni caso, incompatibile con i sistemi moderni. Ergo, l’intera operazione potrebbe essere letta in chiave di “recupero e condivisione”, con lo scopo di offrire alle “nuove generazioni” (tanto per farmi dare del vecchiaccio) la possibilità di giocare a una pietra miliare della storia videoludica.
Concludendo…
A prescindere dalle valutazioni sull’intento – fattualmente inconoscibile – degli sviluppatori, quello che ci rimane tra le mani è la riedizione – tutto sommato – dignitosa di un gioco assolutamente splendido. Un’operazione nostalgia che ben vale l’esborso di 19,99 euro, specialmente per chi non ha mai avuto l’occasione di giocare all’originale Grim Fandango, l’ultimo grande capolavoro dell’era LucasArts.