HALO REACH
Uno speciale Microsoft non poteva che cominciare proprio con Halo, Halo: Reach per essere precisi. Ad accoglierci nel piccolo ma super attrezzato covo Bungie ci ha pensato Brian Jarrard, il leggendario game designer dell’ormai ex-team di casa Microsoft. In quella che è stata una breve dimostrazione di gioco, Jarrard ci ha parlato delle grandi novità (re)introdotte in questo attesissimo “epilogo”. A partire dalla modalità Firefight, ribattezzata “2.0” per l’occasione, sarà possibile personalizzare gli scontri sia in solitaria che in cooperativa, scegliendo per filo e per segno quali razze Covenant affrontare e quali armi rendere accessibili al giocatore. Stessa sorte è toccata anche alla Fucina, evolutasi fino a giungere in uno stato di forma pressoché impeccabile: questa aprirà le porte ad una nuova filosofia, incentrata interamente sull’uso “sfrenato” dell’editor di gioco, ora in grado di gestire le mappe ricreandole praticamente da zero. Basti pensare ad “Asylum”, ossia il rifacimento della vecchia Santuario, per capire cosa i giocatori riusciranno a creare all’interno del Forge World. Grande ritorno, invece, per la modalità Teatro, ereditata da Halo 3 e ulteriormente arricchita sul fronte visuali. Modalità, queste, che arricchiranno di gran lunga un titolo garante di un single player si spera longevo ed un comparto multiplayer che, a quanto pare, perfezionerà ulteriormente il bilanciamento del gameplay, fino ad ora impeccabile.
Tuttavia, quello a cui abbiamo assistito nel corso della dimostrazione è stato un assaggio, intenso, ma pur sempre un assaggio, della campagna single player. Avviato il quarto capitolo, Jarrard ha preso le redini del gioco nei panni della recluta Noble Six, uno dei componenti del Noble Team, chiamato alle armi per sostituire un compagno caduto. La prima impressione è stata quella di ritrovarsi di fronte ad Halo: Reach per come l’abbiamo visto finora, solo attraverso immagini e trailers, ma, la seconda, di vivere una vera e propria catarsi videoludica. Saranno state le entusiastiche parole del game designer Bungie a far da supporto alla dimostrazione di gioco, fatto sta che l’atmosfera si è rivelata da subito convincente. Certo, a contribuire ci ha pensato l’inconfondibile colonna sonora che ha reso celebre Halo. Vastissime ambientazioni ed elevata profondità di campo a parte, le meccaniche originali sono rimaste inalterate, lasciando al giocatore quel retrogusto nostalgico che tanto rievoca il capostipite. Insomma, se i vecchi amici prima o poi ritornano, allora anche Halo è tornato, con o senza Master Chief. A suon di lanciagranate, fucile d’assalto e pistola ad aghi, il nostro Jarrard si è fatto largo attraverso orde inferocite di Covenant, concedendosi persino il lusso di svelare un mezzo mai visto finora, dotato di torretta lanciamissili: il precursore di quello che, in Halo: Combat Evolved , si evolverà nel più leggero e versatile Warthog. L’azione ci è sembrata davvero fluida e, al tempo stesso, dai tratti particolarmente epici: prestando attenzione allo sfondo, infatti, abbiamo constatato l’assoluta dinamicità e vivacità dello scenario di guerra, ricco di scontri aerei a ciel sereno, esplosioni ben visibili da lontano ed altrettanti effetti coreografici piacevoli da vedere.
Verso il termine del capitolo, dopo aver scalato un promontorio cosparso di nemici, accompagnati dalle solite esplosioni d’effetto, la missione del nostro Spartan Noble Six si è infine conclusa con l’arrivo di un Phantom. Di lì a poco, avrebbe detto Brian, si sarebbe scatenato l’inferno, con Noble Six ed il resto della squadra intenti a raggiungere una torre Covenant attraverso un suggestivo ponte sospeso in aria. Una sequenza finale che ci ha ricordato, se ce ne fosse ancora bisogno, dell’oneroso carico di lavoro gravato finora su Bungie . Ma, soprattutto, la cura per i dettagli riposta in quest’ultimo capitolo sembra rimandare davvero ai fasti di un tempo. Tutti avvisati dunque: Halo is back!
FABLE III
La stanza delle fiabe era situata proprio accanto al covo Bungie , eppure, vedendo quella figura carismatica venirci incontro sorridendo, ci è sembrato di entrare in una dimensione parallela, fiabesca. Era lui, Peter Pan Molyneux . Nonostante gli anni passino, e dal primo Fable ne sono passati ben sei, quanto visto a porte chiuse sintetizza nel migliore dei modi gli intenti primordiali del genio anglo-francese. Tralasciando le cose già note, riportate in una nostra precedente anteprima, stavolta Molyneux si è presentato come un fulmine a ciel sereno, forzato dai limiti di tempo entro i quali poter esporre le sue nuove idee. Introducendo la componente gestionale di Fable III , uno degli sviluppatori si muoveva all’interno di quella che, molto probabilmente, sarà una delle stanze dalle quali poter controllare, a proprio piacimento, l’andamento culturale ed economico di tutta Albion, composta, come suole ad un regno tanto vasto, da zone ricche da una parte e medio/povere dall’altra, con un’alternanza di varianti sociali che si preannuncia curata nei minimi particolari. Lo stesso protagonista può acquisire diverse attitudini in base al nostro comportamento: potremmo infatti prediligere le abilità commerciali, tali da poter gestire un negozio per esempio, piuttosto che quelle fisiche, grazie alle quali muoversi meglio in battaglia, e così via. Un aspetto, questo della personalizzazione, decisamente più curato rispetto al passato, in grado di approfondire nei singoli aspetti lo sviluppo del personaggio. Tuttavia, in quei pochi minuti Mr. Molyneux si è concentrato principalmente sul sistema di combattimento, sottolineando come la pressione dei tasti, in base alla sua frequenza, determinerà la cadenza e la potenza dei colpi, così come l’allineamento del proprio alter ego comporterà una variazione sia estetica che fisica delle armi. Un atteggiamento rozzo e incurante delle “raffinatezze” in battaglia comporta un’usura precoce delle armi, con conseguenti ammaccature e danneggiamenti vari; al contrario, l’adempimento alle precise tecniche di combattimento richieste dall’arma brandita porterà con sé dei vantaggi, come una maggiore longevità degli strumenti di guerra ed un’oculata acquisizione dei punti esperienza.
In ogni caso, è sull’aspetto evolutivo del proprio alter-ego che Molyneux ha puntato ulteriormente e, a tal proposito, il chief Lionhead ha colto l’occasione per mostrarci un’ulteriore chicca, consistente in un’arena all’interno della quale il nostro eroe verrà catapultato in una dimensione parallela a quella di Albion. La sua particolarità risiede nella presenza di una serie, almeno all’apparenza, di comunissimi forzieri disposti in fila, ciascuno dei quali, una volta aperti, conterrà diverse “sorprese” atte a potenziare il nostro status, sbloccando nuove abilità di dialogo, di combattimento e così via. In linea di massi,a l’impressione generale è stata quella di assistere ad un’ulteriore evoluzione di quelle che erano le doti fondamentali di Fable II : combat system migliorato, fasi esplorative amplificate ed un comparto tecnico rinnovato fanno ben sperare per un terzo capitolo finalmente all’altezza delle aspettative. Inoltre, se il famigerato “Touch” dovesse rivelarsi così innovativo come Molyneux stesso ci ha voluto far credere, allora Fable III avrà tutte le carte in regola per rientrare, di diritto, nella classifica dei migliori titoli dell’anno.