“Io vivo sempre nel mio sogno, e ogni tanto faccio visita alla realtà”.

 

Ingmar Bergman si è spento all’età di 89 anni nell’isola di Fårö, di fronte alla costa sud orientale della Svezia, dove si era ritirato da alcuni anni. L’intero mondo della cultura è in lutto per la perdita di uno dei più grandi artisti del Novecento: con il suo multiforme talento è riuscito ad arricchire il mondo del cinema, del teatro e perfino della scrittura.
Bergman nasce a Uppsala il 14 luglio 1918. Figlio di un pastore luterano, sin dalla prima giovinezza subisce un’educazione rigida e severa incentrata sui dettami morali di “peccato, confessione, punizione, perdono e grazia”. Questi principi influenzeranno molto la sua visione della vita e ritorneranno come tematiche nei suoi film.
A diciannove anni s’iscrive all’Università di Stoccolma, soffermandosi in modo particolare su letteratura ed espressionismo, e laureandosi con una tesi su Strindberg, importante drammaturgo svedese. È in questo periodo che nasce e si sviluppa in lui una naturale inclinazione alla regia: durante il periodo universitario si accosta con passione e interesse al teatro, diventando poi col tempo primo regista del Teatro Municipale di Goteborg.
Ma è negli anni ’30 del Novecento che la carriera di Bergman inizia la sua ascesa: porta le sue opere in scena nei teatri più importanti della Svezia e, nonostante venga ricordato in particolare come regista di cinema, il suo più grande amore rimarrà sempre la drammaturgia.
Il primo passo verso il cinema, invece, Bergman lo compie nel 1944 quando gli viene offerta l’opportunità di portare sugli schermi Crisi, la cui sceneggiatura viene tratta da un suo manoscritto, ma la critica non trovò questo lavoro particolarmente significativo.
Negli anni ‘50 il suo genio artistico trovò il successo che meritava e, grazie ai suoi film, il cinema svedese, rimasto nell’ombra fino a quegli anni, ebbe un notevole slancio. Infatti, Bergman ha lanciato sulla sfera internazionale attori del calibro di Max Von Sydow , Bibi Andersson e Ingrid Thulin (che diresse per la prima volta insieme in Il posto delle fragole), Liv Ullman ed Erland Josephson .

un estate d'amore 1951
Un’estate d’amore (1951) è uno dei suoi primi successi; la sua adesione alla corrente espressionista e al surrealismo sono evidenti. Bergman concentra il suo occhio di regista sulla donna, la figura femminile nel rapporto sentimentale, ripetendo spesso, “il mondo femminile resta per me l’enigma più grande”. Questa affermazione trova riscontro nella sua vita sentimentale: è stato sposato cinque volte e ha avuto nove figli, alcuni dei quali frutto di relazioni illegittime (come per esempio la figlia che nacque dal legame con Liv Ullman).Anche nel film Persona (1966), considerato un autentico capolavoro, Bergman sonda la psicologia umana, in particolare quella femminile, presentando la storia di un’attrice chiusa nel mutismo e della sua infermiera che inizia a raccontarle tutto di sé, spinta in parte dall’ammirazione, in parte dal sentimento di competizione.

Persona

Arriva, poi, sei anni dopo Il posto delle fragole che gli valse l’Orso d’argento a Berlino e il premio speciale della giuria a Cannes. Film amaro e profondamente nichilista, tratta il tema della giovinezza che non può più tornare, il tempo beffardo che scivola via imperterrito senza che si possa fare nulla per fermarlo e valorizza l’importanza di stringere legami affettivi duraturi.

Poco dopo, un’altra delle opere più significative di Bergman, Il settimo sigillo, dramma simbolico e intriso di riferimenti a temi esistenziali come il rapporto tra vita e morte, l’uomo che chiede aiuto a un Dio che sembra non ascoltare la sua invocazione. Celebre la partita a scacchi tra la Morte e il Cavaliere il quale, durante questo lasso di tempo, avrà la possibilità di riscattare se stesso e di compiere un’ “azione utile” – come lui stesso la definisce – salvando una famiglia di saltimbanchi dalla falce della mietitrice senza pietà.

Il settimo sigillo

Nonostante le precedenti opere del regista svedese avessero dimostrato a pubblico e critica il loro pregio artistico e contenutistico, il primo premio Oscar arrivò soltanto con il film La fontana della vergine, che dipinge, in modo sconcertante, il rapporto che intercorre tra ragione, religione, cristianesimo e paganesimo. In quest’opera il misticismo s’inasprisce, diventando perfino più estremo di quello percepito ne Il settimo sigillo, anche se, alla fine, affiora un debole sentimento di speranza.

Fecero seguito opere struggenti, di particolare intensità, come Sussurri e grida e Scene da un matrimonio dove riemerge l’esperienza infantile traumatica vissuta da Bergman: la famiglia viene dipinta come un luogo oppressivo e la relazione che lega due persone diventa qualcosa di malvagio, insano, terribile.
L’addio al cinema, Bergman l’aveva annunciato con Fanny e Alexander: in questo film si ripresentano i temi classici dell’esplorazione dell’animo umano, ma in modo edulcorato; non c’è più pessimismo, angoscia e tormento, sensazioni che hanno contribuito a definire il suo stile, ma sembrano affermarsi valori quali la vita, l’amore e la fede.
Bergman è riuscito ad affermarsi quale punto di riferimento nel panorama del cinema mondiale, raggiungendo personalità del calibro di Ozu, Tarkovsky, Kurosawa e Antonioni. E ora ci congediamo da un artista considerato (forse erroneamente) “difficile”, lui che, dopo essersi ritirato dalla vita pubblica, pensava al suo mondo come a uno dei suoi film, affermando: “Io vivo sempre nel mio sogno, e ogni tanto faccio visita alla realtà”.

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