Il campione della lega dei giardinetti
Quando la prima generazione di giochi Pokémon raggiunse il Vecchio Continente io ero un tredicenne sfigatello, improbabilmente in possesso di un Gameboy color rosa shocking. La stessa tonalità di “shock” apparsa sul viso del commesso quando alle parole “Guarda, ti conviene aspettare che me lo riportano, è rimasto solo rosa”, si era sentito rispondere “Fregacazzi biondo, domani esce Pokémon e ho l’obbligo sociale di finirlo prima che la pubertà picchi duro”. Già allora ero perfettamente cosciente che, per diversi anni ancora, non avrei conosciuto altro calore che quello della mia funzionale ambidestria, ma si tratta di dettagli di scarsa rilevanza.
Il pomeriggio del giorno successivo ero già nel parchetto del quartiere, con una bandoliera di pile stilo intorno al torace, un’espressione vagamente ebete sul volto e un blocchetto degli appunti con schizzi faunistici che “pfui, Darwin non sei nessuno”.
Era nato un allenatore.
Vent’anni di medaglie
Sei generazioni dopo mi ritrovo in quello stesso parchetto (vabbé, non è vero, ma solo perché oggi fanno -12 gradi e lì ora i tredicenni ci vanno a rapinare le vecchiette), con in mano un 3DS – dignitosamente grigio metallizzato – con il quale sto cercando di catturare uno Stufful dallo sguardo arrogante. Fatta eccezione per le differenze di tipo geriatrico (occhiaia tatuata, aspetto da galeotto in semilibertà e barba da nemico dell’igiene), sono lo stesso, problematico individuo, con l’aggiunta però di un paio di strati di coscienza sociale che, in generale, mi creano più disturbi che altro. Tipo sentire nel pensatoio quella vocina molesta che dice “oh scimmia, guardati intorno che non sia mai che quel gruppetto di truzzi si accorge che a trent’anni stai ancora farmando pokémon come se non ci fosse un domani”. Si tratta di un problema serio, anche perché l’atteggiamento da crisi d’astinenza, unito all’aspetto losco che contraddistingue la mia persona, potrebbe attirare attenzioni piuttosto indesiderate. Poi vaglielo a spiegare alla polizia che non sei un maniaco da giardinetti che usa i Pokémon per attirare giovani innocenti. A parte che oggi i “giovani innocenti” girano col machete, ma vabbé, ci siamo capiti.
Il bello è che so perfettamente che non esiste alcun motivo al mondo per provare imbarazzo in una situazione del genere, ma è un po’ come cercare di spiegare al vostro “io” sedicenne che per andare a comprare i preservativi in farmacia non c’è bisogno di indossare baffi e occhiali alla Groucho Marx, o confondere l’acquisto con una valanga di prodotti utili come il pettine di Massimo Boldi. Porca miseria, tra dentifrici alla salvia, caramelle alla menta e integratori all’arancia, manca poco che il commesso di turno tira fuori una bottiglia di vodka, uno shaker e mi serve un aperitivo direttamente nel Durex.
Poi una manciata di zigulì, due botte di antiacido alla fragola e via, spediti verso la movida provinciale.
A questo punto io sarei per avviare un movimento di sensibilizzazione sociale su larga scala: stop alla stigma sociale dei videogiocatori attempati, abbiamo anche noi bisogno di coccolare uno Snorlax fino a fargli emettere dei cuoricini rosa.
Per firme a favore, aneddoti contestuali, doverosi insulti, o semplici pensieri denigratori, vi invito ad approfittare dell’apposita sezione commenti.
“Il bello è che so perfettamente che non esiste alcun motivo al mondo per provare imbarazzo in una situazione del genere, ma è un po’ come cercare di spiegare al vostro “io” sedicenne che per andare a comprare i preservativi in farmacia non c’è bisogno di indossare baffi e occhiali alla Groucho Marx, o confondere l’acquisto con una valanga di prodotti utili come il pettine di Massimo Boldi. Porca miseria, tra dentifrici alla salvia, caramelle alla menta e integratori all’arancia, manca poco che il commesso di turno tira fuori una bottiglia di vodka, uno shaker e mi serve un aperitivo direttamente nel Durex.”Sintesi perfetta, ho riso di gusto!
Grazie, è un po’ il “rito di passaggio” puberale che tutti noi siamo stati costretti ad affrontare.
Comunque, splendida ironia a parte, la mia generazione e credo a questo punto anche la tua, convive con una sorta di vergogna atavica. Ci trasciniamo dietro la nostra visione onanista del ” videogioco”, condividerla cosi liberamente non è cosi semplice. Sarebbe bello approfondire questo tema: come il mezzo videogioco sia cambiato nel corso degli anni rispetto a chi ne usufruisce. A pensarci bene la generazione di videogiocatori degli anni 70/80 si sentiva quasi insignita di un grande potere che gli altri, la massa, non poteva comprendere. Oggi le cose sono cambiate, non so se in meglio o peggio, sicuramente mi piacerebbe sentire altri pareri a riguardo.
Mi hai offerto uno spunto interessante. In effetti quando noi eravamo videogiocatori imberbi, già col gomito del tennista a causa dei nostri hobby (e non parlo solo dei videogiochi), il gaming era una passione condivisa da pochi. Eravamo una sorta di élite al contrario, supereroi con una doppia identità: sfigatelli di giorno e campioni poligonali di notte. Ora i videogiochi sono un media quasi universalmente apprezzato, ma questa nuova “normalità” (che si conferma essere un concetto puramente statistico) ci ha liberato solo in parte dalla vergogna atavica di cui parli tu. Questo perché invecchiare non significa cambiare, e per la nostra generazione, malgrado tutto, siamo ancora sfigatelli che perdono tempo coi “giochini”. Ora come allora, non dovremmo far altro che reagire con un vigoroso ‘sticazzi.