Cosa accadrebbe se un bel giorno venissimo catapultati in un mondo parallelo al nostro, un po’ ‘a la “Matrix”, in cui moralità/etica, leggi giuridiche, filosofia, stile di vita e quant’altro fossero tutte subordinate ad una grande “V”. . . che non sia però il “Verbo”? Sostituite infatti “Verbo” con la parola “Videogioco”, ed otterrete uno scenario paradossale, ai limiti del surreale. . . E se Tommaso Campanella parlava della Città del Sole come mondo “sociale” utopistico, qui, in un certo senso, la “terra utopistica” per tanti videogiocatori d’oggi risponde al nome di “Gamindustri”.
Proprio così, perché la folle idea di ” Idea Factory ” (scusate il voluto gioco di parole), team indipendente giapponese, è stata quella di proiettare il “mondo del Videogioco” all’interno del suo stesso videogioco, in questo caso il nostro Hyperdimension Neptunia . Vediamo in che modo e con quale spirito.
Un mondo in panne
Quasi a voler rappresentare l’attuale situazione dell’industria videoludica, in particolare quella giapponese, il pianeta “Gamindustri” sta vivendo una situazione di profonda crisi, riconducibile in primo piano ad una vera e propria “crisi d’identità”. Quattro regioni primarie del pianeta, infatti, sono in combutta tra loro e, per ripristinare l’ordine sociale, un’apparentemente placida ragazzina di nome Neptune decide di avventurarsi tra le lande del pianeta alla ricerca di un manoscritto dai tratti a dir poco “latineggianti”, “Histoire”, e dai poteri evidentemente salvifici. Ma la particolarità di questo scenario, altrimenti ripetitivo e poco originale, risiede proprio nel movente della “battaglia”: d’altro non si parla, pensate, se non di “Console War”, un termine ben noto alla maggior parte dei giocatori, che si vedono così catapultati in un mondo dove componenti hardware (CPU) ed accezioni teoriche risalenti al Videogioco, diventano parte integrante e motore pulsante del gioco.
Il nostro compito, nelle docili e provocatorie vesti scolaresche di Neptune, affiancata da altre “dee” delle regioni benigne, consiste nel “ripulire” i diversi dungeon sparsi sul pianeta. Il “modus operandi” è quello tipico dei giochi di ruolo giapponesi (J-RPG), con la variante di un’ambientazione in realtà chiusa e “limitata” agli stessi dungeon. Potremmo dire che Hyperdimension Neptunia si prefigge il compito di “badare a spese”, racchiudendo in sé l’essenza dei “turni” anche per quanto riguarda i dungeon: prima questo e poi quello, scorriamo la mappa (quasi in stile platform vecchio stampo) e vediamo cosa capita. Certo, la progressione “storica” procede di pari passo con la curva di difficoltà, più o meno crescente a seconda della modalità, tra le tre disponibili (Facile, Normale, Difficile), scelta. Tuttavia, l’andamento è a dir poco statico, un mero pretesto ai combattimenti che, dunque, sono i veri protagonisti. Certo, prima di poter mettere per la prima volta mano sul pad passeranno un paio di interminabili minuti, visto e considerato che i dialoghi, soprattutto se impostati in lingua originale (giapponese) risulteranno presto noiosi, infantili (volutamente), ed esageratamente lunghi. Gli sviluppatori hanno purtroppo optato per un sistema di dialogo “old school”, senza il minimo accenno a cut-scene dinamiche. . . insomma, un J-RPG coi fiocchi, che potrebbe far felici gli amanti più nostalgici. Ma ci fermiamo qui.
Evoluzione o Involuzione?
E’ difficile poter definire Hyperdimension come un’evoluzione o un’involuzione del genere. . . più che altro sarebbe più corretto parlare di semplice “derivato”. Il gameplay resta quello tipico del genere, con spiccata tendenza ai combattimenti casuali e alla crescita dei personaggi. Presente naturalmente il “Party”, gestibile in base alle necessità, con agguerrite ragazzine in tenute sexy intercambiabili. Uno specchietto per allodole per chi, non conoscendo il gioco, se lo ritrova nella vetrina di un negozio che attende, impaziente e provocatorio, di essere posseduto. Leggendo anche solamente i sottotitoli (che saranno al massimo in inglese), si capisce da subito che il contenuto di gioco è ironicamente fuori portata per bambini smaliziati, eventualmente già in grado di cogliere il significato di parole quali “Thunder Tits” et similia. Diventa invece una prova di resistenza rimanere concentrati davanti allo schermo nelle fasi di dialogo ai limiti dell’orticaria (ergo, schiamazzi sottoforma di acuti orgasmici che tentano di strapparci un sorriso nonostante si parli di “guerra e pace”). Lasciare il doppiaggio in inglese significa alleviare, seppur di poco, il dolore, tenendo presente che chi vi parla non è avvezzo agli “accenti” giapponesi. . . quindi certi passaggi potrebbero pure risultare “melodici” o poetici per chi, al contrario, lo è.
Tralasciando questo fattore, interpretabile come “piaga”, i combattimenti offrono per fortuna qualche spunto interessante: pur essendo a turni, la sensazione di partecipare attivamente agli scontri deriva dal fatto che, per attivare colpi e mosse speciali, sarà necessario combinare i tasti “azione” del pad e scatenare così, a proprio piacimento, diversi tipi di combo. Combo che varieranno a seconda dell’elemento naturale selezionato, sia esso aria, fuoco, acqua o terra: tale distribuzione di poteri restituisce al giocatore un pizzico di strategia, assolutamente richiesta nel momento in cui si presentano nemici con particolari punti deboli. Al solito, al termine di uno scontro ci verranno assegnati i punti esperienza necessari per il potenziamento di Neptune e compagnia; le apparenze scolaresche delle nostre eroine, inoltre, mutano quando decidiamo di attivarne i rispettivi poteri di trasformazione, ritrovandoci così a controllare delle vere e proprie “cyber girl” mature sia nell’aspetto che nella voce (per fortuna).
La componente esplorativa, come accennato pocanzi, si traduce nella semplice “penetrazione” dei dungeon, pressappoco lineari (da A verso B con davvero poche articolazioni): qui interviene un’altra caratteristica, ossia quella posseduta da ogni singola eroina nello sbloccare aree di gioco “nascoste” o semplicemente “bloccate”; con Neptune, mediante un martello gigante potremo abbattere muraglie cinesi, recinzioni e quant’altro e proseguire così nel dungeon, mentre con Compa (la prima compagna che si unirà al party) sbloccheremo arene da combattimento suonando un campanellino che attirerà i nemici, e così via. In ogni caso, il fatto che il gioco si limiti ad offrire un dungeon dopo l’altro risulta ben presto un’involontaria nota di merito, poiché la lentezza fisiologica delle animazioni e la macchinosità del connubio “telecamera/movimento” rendono il gameplay “innaturale”, quasi forzato.
Design ballerino
Non v’è mai fine al peggio, ed il comparto tecnico di questo Hyperdimension Neptunia, purtroppo, non è un’eccezione che conferma la regola. Al primo colpo d’occhio sembrava di ritrovarsi, sperando magari in uno scherzo, di fronte ad un titolo della generazione “48bit” (a metà tra i 32 ed i 64 insomma). . . patina sfocata, texture a bassa definizione e colori spenti: è in queste tre caratteristiche che si può riassumere l’aspetto grafico, che non aiuta di certo a migliorare la condizione già precaria del giudizio parziale. Un impatto decadente. A salvarsi, ma solo in parte, il tipico desing adolescenziale delle ragazzine giapponesi tuttofare, di stampo chiaramente “Anime” e dalle differenze estetico – stilistiche ben delineate. I tratti psicologici, però, si fermano ad un “tabula rasa” generale che coinvolge un po’ tutta l’atmosfera di gioco. Far rientrare l’impianto sonoro tra gli aspetti tecnici, a questo punto, sembra altrettanto superfluo: da sottolineare la presenza di una colonna sonora monotematica ed in pieno stile “midi”, comunque apprezzabile se siete dei grandi nostalgici.
Thunder Tits e schiamazzi non bastano. . .
A convincere. Idea Factory ha sfornato un titolo assolutamente di nicchia, di quelli da apprezzare anche solo per il coraggio e lo spirito “retro – nostalgico” che trasudano da ogni singolo pixel. Effettivamente, Hyperdimension Neptunia è une di quelle “confezioni” da tenere gelosamente a casa, sapendo che in pochi riescono ad apprezzarlo così com’è. Consigliato a chi è abituato, ma davvero tanto, al genere J-RPG: con un po’ di impegno finirete per giocarlo dall’inizio alla fine senza particolari cedimenti, consapevoli dei suoi evidenti difetti.