Un glorioso passato
I più anziani e i retrogamers più nostalgici non possono non conoscere Splatterhouse , serie picchiaduro in 2d prodotta da Namco più di 20 anni fa. Il fascino dei tre capitoli risiedeva nell’altissimo tasso di violenza visiva, nelle atmosfere da horror movie di serie b e nella colonna sonora indimenticabile; il tutto in salsa 16bit. Una trilogia da collezionare e custodire gelosamente. Ma il passato, si sa, è ormai un pozzo senza fondo da cui attingere quando non si hanno idee o quando bisogna spremere fino al midollo un brand: ed ecco che saltano fuori seguiti, riavvii di vecchie glorie e gli ormai inflazionati remake, che a volte risulatno vincenti, altre volte clamorosi disastri. Tale sorte è toccata anche a questa serie: Namco-Bandai ha infatti prodotto e sviluppato il remake di Splatterhouse, disponibile per Ps3 e Xbox360, nella speranza di riavvicinare i vecchi seguaci del successo proposto negli anni ’80 in sala giochi ( e successivamente su Sega Mega Drive) e magari anche la nuova generazione di videogiocatori. Il titolo è arrivato nei negozi, portando con se una nuova veste grafica, meccaniche da action in terza persona e naturalmente litri di emoglobina; ma saranno elementi sufficienti per superare il successo del capostipite? Scopriamolo insieme.
Non toccare quella maschera!
La trama è la stessa del capitolo originale: protagonista della nostra storia è il giovane Rick Taylor, studente universitario che un triste giorno, assieme alla sua Jennifer, si ritrova tra le mura di una villa a dir poco sinistra: si da il caso che la magione sia la residenza del perfido dottor West, uno scienziato con quasi tutte le rotelle fuori posto, che approfitta dello smarrimento della coppia per rapire la fidanzata del protagonista, cui lo attende una brutta fine. A un passo dall’essere spacciato, Rick entra in contatto con una strana maschera antica: indossandola, subisce una tremenda trasformazione ma si rende anche conto che essa è in grado di guarire le ferite e di conferire una forza sovraumana al suo possessore. Peccato che tale gingillo funzioni come un parassita e necessiti di sangue umano. L’unico modo per salvare Jennifer è rimanere in vita smembrando ogni essere fatto di carne sulla sua strada, per poter cosi attingere ad abbondanti dosi di sangue.
Pur non offrendo chissà quale profondità narrativa, la storia segue il plot narrativo del capitolo originale; gli eventi sono raccontati attraverso gradevoli filmati di intermezzo in CG, che faranno luce sui poteri della maschera e sulla natura del folle dottor West. Una scusa per tenere sul palco un show fatto di violenza gratuita e azione certo, ma perlomeno godibile fino ai titoli di coda.
DNA grezzo
Tecnicamente assistiamo ai primi (e purtroppo evidenti) difetti di questa produzione. La terza generazione non ha giovato granchè a Splatterhouse, che offre un comparto grafico piuttosto grezzo, caratterizzato da scenari sottotono e poco definiti, conditi da texture assolutamente tristi da contemplare. Un vero peccato, perché l’atmosfera delle ambientazioni, grazie a paludi, foreste, cimiteri e interni vari che pullulano di vita “organica”, poteva essere potenzialmente coinvolgente, grazie allo stile cel shading ; ma riempire ogni scenario di sangue e frattaglie non basta a correggere, o meglio, a mascherare un impianto realizzato alla buona. Interessante il design delle creature (soprattutto dei giganteschi boss di fine livello) e le animazioni che non sono malvagie su schermo. Terribili sono invece le interminabili fasi di caricamento, specie dopo ogni game over , che spazientiranno i giocatori, appassionati della serie compresi.
Buono il doppiaggio dei personaggi e coinvolgente la colonna sonora: sbudellare creature infernali a ritmo di rock regala non poche soddisfazioni, all’inizio almeno.
Sangue chiama sangue
Per questo remake, i programmatori hanno pensato bene di miscelare nella medesima formula meccaniche tipiche dei giochi d’azione in 3d assieme a sessioni 2d, tipiche degli anni ’80. All’atto pratico, il risultato non si può certo definire buono. Anzitutto, la ripetitività aleggia in maniera costante durante le 12 missioni principali che dovrete superare per porre la parola “fine”. Non dovrete fare altro che massacrare impunemente ogni cosa che si muove sullo schermo, in attesa che le porte chiuse si sblocchino per poi passare al livello successivo. Il combattimento prevede sequenze di combo, alcune un po’ complicate da realizzare, con armi di vario genere che vanno dalla mazza chiodata, all’immancabile motosega fino ad arrivare a fucili e ad armi più originali. In mancanza di queste potrete usare gli arti mozzati ai nemici. Più farete piazza pulita di nemici più sangue otterrete e con il quale potrete ripristinare l’energia e sviluppare abilità e potenziamenti per Rick, come ad esempio la trasformazione in stato Berserker, che lo renderà una minaccia ancora più mortale. Non mancano varianti al massacro action: risoluzione di (banali) enigmi e (terribili) sezioni platform, in cui i controlli risultano mal calibrati: il salto ad esempio sarà oggetto di frustrazione, perché poco preciso nonostante i vostri sforzi ( a volte vedrete Rick cadere nonostante un salto perfetto appena compiuto). La pessima telecamera peggiora la situazione, offrendo visuali allucinanti proprio nel bel mezzo dell’azione o della precisione. Le boss fight vi vedono alle prese con impressionanti boss di fine livello: purtroppo il fascino della sfida scema subito, non appena vi renderete conto che un solo errore, durante le quick time event , non solo vi costerà la vita ma anche caricamenti snervanti ed il ritorno all’ultimo (e lontano) checkpoint, rischiando seriamente di lanciare il gioco ( e la console) dalla finestra a causa della frustrazione più che giustificata.
A salvarsi sono solo le fasi in 2d, che rispecchiano in tutto e per tutto il fascino del passato e che risultano non solo più coinvolgenti ma anche meglio strutturate. L’avventura principale non vi porterà più di 6 ore di gioco; finita questa, potrete darvi alle missioni extra ma soprattutto ai tre capitoli originali, contenuto speciale di questa produzione che non poteva non essere acclamato con gioia.
Conclusioni
Splatterhouse non porta nulla di nuovo a questa terza generazione di console, se non un comparto tecnico mediocre ed un gameplay ripetitivo e soprattutto frustrante, a causa di magagne imperdonabili e della poca attenzione riservata a questa produzione, confezionata troppo in fretta e spinta forse più dal desiderio di attirare fan che da quello di regalare un degno encomio al capostipite del 1988. Il titolo va esclusivamente consigliato (con le dovute riserve) ai nostalgici del brand che vogliono continuare a massacrare mostri in chiave moderna. Oppure a chi è interessato a rigiocare in HD i tre capitoli originali, uno dei pochissimi pregi di questo gioco, che rappresenta la prova che certi tesori del passato devono rimanere tali e quali.