Nel momento in cui istallavamo l’anteprima di Amnesia: The Dark Descent, inviataci da Frictional Games, non avremmo mai potuto immaginare cosa ci attendesse. Ci eravamo interessati a questa avventura grafica (o survival horror, a seconda dei punti di vista) con particolare curiosità, attratti dalle insolite meccaniche di gioco che essa sembrava proporre, almeno per quanto si era visto sin’ora dai (pochi) filmati rilasciati dalla casa di sviluppo. E, nonostante le ottime aspettative, essa si è rivelata una vera e propria sorpresa.

A onor del vero, a dispetto della piccola porzione di gioco messa per noi a disposizione, è stato ed è tutt’ora difficile riuscire ad evitare di esprimere un giudizio anticipato, se non addirittura azzardato.

E’ persino un po’ mortificante, in effetti, dover ammettere che Amnesia, in sole due o tre ore di gioco, è riuscito non solo a rapirci, ma anche e soprattutto a terrorizzarci. Non è segreto, del resto, che la priorità di sviluppo dettata dai nuovi colossi del genere non abbia più molto a che fare con gli ‘spaventi’, ma piuttosto con la grafica, gli extra, la modalità cooperativa. Niente a che vedere con i bei tempi andati di Silent Hill 2 o i primi Resident Evil. Non esageriamo, dunque, se già in anticipo affermiamo con totale sicurezza che Amnesia, l’erede spirituale di Penumbra (l’ultima fatica di Frictional Games), non sarà altro che una manna dal cielo, o – per meglio dire – dall’abisso.

Pay attention, Daniel… make sure not to stray.

Come i più furbi tra voi avranno già intuito dal titolo del gioco, il protagonista di Amnesia sarà uno smemorato di prima categoria, di quelli che si risvegliano in una pozza di sangue ricordandosi a stento il proprio nome. Un esordio tutto sommato pluri-inflazionato, destinato però a uno sviluppo del tutto inusuale e ben lontano dai soliti cliché del genere.

È il 1839. Daniel, questo il nome del misterioso protagonista, riprende i sensi in un misterioso castello, apparentemente abbandonato. Gli basteranno pochi minuti per entrare in possesso di una lettera piuttosto inquietante, che darà poi il via all’oscura vicenda narrata in Amnesia. La missiva, scritta da egli stesso, lo metterà in guardia di un ‘incubo vivente’ sulle sue tracce, da debellare ad ogni costo, prima che sia troppo tardi. In effetti, la sensazione di essere osservati è una costante a cui, volente o nolente, chiunque giocherà ad Amnesia dovrà abituarsi. Non a caso, l’intero ecosistema di gioco fa ben più leva sullo stress psicologico, che non sugli spaventi veri e propri: ad esso è addirittura accostato un vero e proprio parametro psicofisico, quello della ‘sanità mentale’ (già visto in Call of Cthulhu e Penumbra), di cui sarà indispensabile prendersi cura per un efficace controllo sul nostro alter ego.

Saremo del tutto privi d’armi e, al contrario di quanto si vede usualmente in tutti i survival horror, l’unica vera soluzione a incontri spiacevoli sarà nascondersi. Potremo chiuderci in un armadio, barricarci in una stanza spostando la mobilia contro la porta, occultarci tra le ombre o, nel peggiore dei casi, darcela a gambe levate.

Ruolo predominante lo assumerà la luce, perpetua arma a doppio taglio che – anche nella più felice delle condizioni – andrà usata con estrema parsimonia. Gli scenari di Amnesia saranno quasi sempre totalmente immersi nell’oscurità, e sia la penuria di combustibile (carica dell’accendino o olio per la nostra lampada) che la presenza di nemici spesso ci indurrà a restare al buio (gli occhi di Daniel, dopo alcuni secondi, ci faranno l’abitudine); allo stesso tempo, però, restare troppo tempo tra le ombre avrà un effetto negativo sulla psiche di Daniel, già di per sé turbata e tormentata: per ora, questo aspetto del gioco non ci è sembrato particolarmente riuscito, a causa dei suoi scarsi effetti sull’economia di gioco, ma confidiamo nel fatto che Frictional Games vorrà perfezionarlo nel mese che ci separa dal rilascio ufficiale del gioco.

Ciò che realmente impressiona sono i ritmi e la direzione artistica. Il castello è ricco di dettagli, permeato da un’atmosfera difficilmente descrivibile a parole. Cascate di polvere che piovono dal soffitto, celate nella penombra, si confondono tra le ombre delle suppellettili, generando fantasmi ben più spaventosi degli stessi mostri che sarete costretti a fronteggiare. Non di rado vi volterete convinti d’aver sentito dei passi dietro di voi, né meno raramente vi chiederete come mai quella porta in fondo al corridoio si è chiusa da sola: vi sembrerà di impazzire. La pressione psicologica a cui Daniel sarà sottoposto si svilupperà in modo indipendente dalle vostre azioni, e sarà al di sopra della vostra volontà: la visuale si distorce, i suoni si ovattano, il battito cardiaco si appesantisce. Addirittura, se il vostro alter ego dovesse sentire un rumore sospetto o particolarmente agghiacciante, si volterà immediatamente nella direzione appropriata, interrompendo qualunque cosa stesse facendo.

I richiami a H.P. Lovecraft si sprecano, rasentando quasi il citazionismo, ma con classe. La trama, del resto, alla vecchia maniera insegnataci dal solitario di Providence, è narrata in modo indiretto, attraverso lettere, annotazioni, diari e flashback. Anzi, le prime ore passate a esplorare il mondo di Amnesia ci hanno lasciato giustamente sospettare che difficilmente incontreremo un altro essere umano durante l’intera esperienza di gioco: ma potremmo anche sbagliarci, chissà.

Non a caso, il senso di isolamento è a tratti desolante. Amnesia gioca sull’immedesimazione, l’atmosfera, l’autosuggestione: non a caso i reali momenti di terrore sono rarissimi, ma, in quanto carichi di aspettative, disarmanti.

Da qui la scelta di calare il giocatore direttamente ‘nelle scarpe’ del protagonista, in prima persona, privando l’esperienza di gioco di qualsivoglia sequenza filmata o momento di pausa. Del resto, al di là delle apparenze, la prima persona è una prospettiva profondamente funzionale alle meccaniche di gioco. Difatti, come chi ha provato Penumbra avrà sicuramente già immaginato, l’interazione con gli elementi dello scenario sarà il cardine di tutta l’esperienza di gioco: per aprire una porta non basterà premere un tasto, ma ci sarà bisogno di simulare l’azione attraverso il movimento del mouse. È la conseguenza di un sistema fisico che non ha niente da invidiare a quello di Half Life 2, o a quello di un più recente Bioshock 2. Tutto è manipolabile, tutto può essere spostato (tranne le candele e i candelabri, ma pare che Frictional Games ci stia lavorando su), tutto è funzionale all’economia di gioco.

Gli enigmi, di conseguenza, saranno nettamente legati alle leggi della fisica; non sarà raro trovare carrucole mal funzionanti a causa di una corda impigliata, o di meccanismi disattivi per la mancanza di un ingranaggio. Sfortunatamente, però, la porzione di gioco mostrataci proponeva enigmi di semplice risoluzione, quasi sempre immediati: un aspetto che, se non destinato ad approfondirsi nelle fasi più avanzate di gioco, potrebbe rivelarsi il vero tallone d’Achille di Amnesia.

Un breve scorcio di Amnesia: The Dark Descent

Siamo in un corridoio. Improvvisamente, in un battito di ciglia, perdiamo i sensi senza comprenderne l’effettivo perché. Al nostro risveglio, l’intero corridoio, così come tutta l’ala del castello, è completamente allagato. Qualcosa si muove nell’acqua e sembra intenzionato a ghermirci: fendiamo il buio con la luce della nostra lanterna e cominciamo a correre. Durante la fuga disperata, ci accorgiamo che la ‘cosa’ non è sola: ce ne sono altre e sono tutte dirette verso di noi. Nascondersi è inutile, e le creature sono troppe per sperare di riuscire a correre abbastanza veloce: unica soluzione e salire su una cassa che galleggia nell’acqua, stando attenti a non attirare l’attenzione delle creature.

Notiamo subito che la via d’uscita è sbarrata da una grata, che richiede l’uso di una manopola per essere aperta. Comprendiamo che tentare di girare la manopola con le creature pronte a divorarci sarebbe un suicidio bello e buono, così ci guardiamo intorno: ai nostri piedi c’è un cadavere smembrato. Prendiamo in prestito un arto, cercando di non guardarlo troppo per non aggravare la già precaria condizione psichica di Daniel, e lo lanciamo in un angolo della stanza, in direzione opposta all’uscita. La creature si fiondano sul pezzo di carne e, mentre si impegnano a banchettare con il loro nuovo pasto, noi con la stessa foga ci lanciamo sulla manopola, disperati. Afferratala saldamente, cominciamo a ruotare il mouse come degli ossessi, per aprire la grata: pochi secondi di silenzio sono sufficienti per intuire che le creature hanno appena terminato il loro pasto, e che ora sono dirette verso di noi. Ma la manopola scricchiola e a stento sfugge all’attrito causato dalla ruggine: la grata si solleva troppo lentamente. Presi dall’angoscia, decidiamo di tuffarci accovacciati sotto di essa, anche se si è a malapena separata dal pavimento. Sfuggiamo quasi per miracolo alle creature, tanto quanto al peso della porta, che chiudendosi ne schiaccia una intenta a seguirci: ce l’abbiamo fatta.

Il gioco varrà la candela?

Amnesia: The Dark Descent sembra avere tutte le carte in regola per risollevare le sorti di due generi ormai in piena decadenza – quello delle avventure grafiche, e quello dei survival horror. È pieno zeppo di innovazioni, idee ripescate dal buon vecchio Penumbra (ma rivedute e corrette) e di richiami all’alta letteratura dell’orrore. Le incertezze sono ancora molte, come alcune gravi mancanze del motore fisico (l’impossibilità di spostare le fonti di luce in primis) o la scarsa influenza sul gameplay che il parametro della sanità ci è sembrato avere. Allo stesso modo, il livello di difficoltà degli enigmi con i quali ci siamo cimentati ci è parso eccessivamente tarato verso il basso, considerati gli standard di un’avventura grafica. Tuttavia, è ancora presto per giudicare: manca ancora un mese all’uscita del gioco (prevista per l’8 settembre) e una mole immensa di altri orrori da scoprire. Se tutto va per il verso giusto, al ritorno dalle vacanze estive avremo tra le mani un capolavoro dal quale difficilmente i nostri incubi riusciranno a sottrarsi.

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