Fin dalle primisse battute di gameplay di Steel Seed, si avverte subito l’impronta di uno studio abituato ai meccanismi stealth più raffinati: non a caso, alle spalle dell’italianissimo Storm in a Teacup Studios troviamo infatti veterani della serie Hitman. Eppure, chi come noi arrivava da esperienze stealth caratterizzate da intelligenze artificiali imprecise e meccaniche di furtività forzate – stiamo parlando degli ultimi due AAA Ubisoft, quali Star Wars Outlaws o Assassin’s Creed Shadows troverà in questo action-stealth platform un’autentica ventata di aria fresca. È sorprendente come un titolo “indie” riesca a trasmettere la sensazione di un prodotto da budget più grande alle spalle: controlli reattivi e ambienti così curati da indurti a fermarti, ammirare i dettagli e pianificare ogni mossa.
Ma bando alle ciance e addentriamoci nella nostra disamina di Steel Seed, recensito in versione PC, grazie ad un codice fornitoci dal publisher.
La trama ruota attorno a Zoe, una giovane ingegnere determinata a salvare il padre, il cui cervello è stato frammentato in quattro memorie digitali custodite all’interno dei vari settori di un immenso impianto robotico sotterraneo. Con l’aiuto di Koby, un droide tattico capace di scansionare l’ambiente, segnalare rotte di pattuglia nemiche e perfino trasformarsi in una torretta difensiva, Zoe si immerge nei corridoi di metallo nel tentativo di recuperare ciascun “frammento di coscienza”. Attraverso datapad sparsi, registrazioni vocali e brevi scambi di battute, il giocatore ricostruisce a poco a poco la personalità del padre e i retroscena della catastrofe che ha decimato l’umanità.
Non ci sono colpi di scena epocali, bensì una narrazione frammentaria che attraverso espedienti narrativi, come diari e logs sparsi nel mondo di gioco, cerca di restituire al giocatore spessore emotivo e tensione drammatica. Non ci si trova di fronte a un’epopea colossale, bensì a un racconto fatto di frammenti, di momenti sospesi che suggeriscono più di quanto non mostrino: un pianoforte arrugginito su cui suonare melodie improvvisate, le luci rossastre di una camera di fusione, le ombre di strutture abbandonate, e quel sottile legame che si crea fra Zoe e il suo compagno meccanico, tra battute pungenti e silenzi eloquenti.
Parola d’ordine: stealth
Sul fronte gameplay, Steel Seed mette subito in chiaro le sue carte: il comparto stealth è solido e gratificante: i robot seguono percorsi di pattuglia ben definiti, riconoscibili grazie ai loro marker visivi e sonori, mentre il giocatore manovra Zoe con eleganza fra cespugli olografici e pilastri metallici. Basterà attivare un’onda sonora per attirare un nemico, nascondersi in un cespuglio che nasconde completamente il corpo accovacciato, e piombargli addosso per un’eliminazione silenziosa. Più avanti, grazie a un potenziamento, sarà possibile piazzare “patch” di erba olografica a distanza, un’abilità che si rivela provvidenziale nei corridoi più affollati. In ogni zona il level design riesce a bilanciare l’evidente “giocosità” con un aspetto organico: passaggi angusti, aperture a volta, sezioni dall’illuminazione neon che creano contrasti di luce e metallo.
Non meno importante è l’intelligenza artificiale dei nemici: se Zoe si fa scoprire, l’allerta è immediata e i robot non si limitano a indirizzarsi verso l’ultima posizione rilevata, ma convocano rinforzi e mantengono la tensione fino a quando non si riesce a uscire dall’area o a trovare un rifugio sopraelevato, come le torri scalabili disseminate nei livelli. Per orientarsi negli intricati corridoi e stanze è possibile sfruttare Koby in vari modi: modalità volo per segnare singoli nemici; abilità di tracciamento dei percorsi di pattuglia, che disegnano sulla mappa le rotte dei robot; scanner ambientale che evidenzia sporgenze scalabili e nascondigli. Koby si trasforma anche in una torretta d’assalto, dando a Zoe un prezioso supporto a distanza, e può acquistare abilità hacker per “convertire” i nemici con un dialogo elettronico che capovolge l’inerzia dello scontro.
Il sistema di progressione poggia su una rete di skill interconnesse: per sbloccare abilità più avanzate, bisognerà rispettare precise condizioni di sfida, incentivando esplorazione e sperimentazione. In questo modo lo stealth rimane sempre al centro, anche se il gioco prevede la possibilità di affrontare le orde meccaniche in combattimento diretto. Qui però la rosa di mosse è meno articolata: Zoe impugna un’unica spada laser neon, disponendo di un colpo leggero, uno pesante e di un sistema di schivate che, se eseguite al momento giusto, garantiscono un attacco potenziato e qualche punto energia extra. L’assenza di parate o di mosse melee più complesse limita un po’ la varietà, ma non intacca la sensazione di controllo grazie a un lock-on efficace e a un set di animazioni fluide.
La versatilità di Zoe
Ancora più sorprendente è la componente platform: lontano dall’essere un mero contorno, il parkour tridimensionale è un vero e proprio piacere. Zoe salta con doppio impulso, scivola verso le coperture, corre lungo pareti verticali e salta da una piattaforma all’altra con estrema precisione. I livelli, concepiti come giganteschi nodi interconnessi, offrono passaggi nascosti, corridoi secondari e sezioni di equilibrio su travi sottili, il tutto immerso in scenari che cambiano look di continuo: dalle officine infuocate alle sale di assemblaggio avvolte nel neon, fino a grotte che sembrano custodire segreti antichi. L’esplorazione è premiata da collezionabili, data log e registrazioni che arricchiscono la cornice narrativa.
La struttura di Steel Seed si rifà parzialmente ai Soulslike: ogni nodo è “segnato” da checkpoint specifici, simili ai falò dei Souls, dove Zoe può salvare, spendere skill point e far ripopolare i nemici in cambio di energia vitale. Le stazioni di teletrasporto indicano anche la percentuale di completamento, per chi ama setacciare ogni angolo.
Dal punto di vista tecnico il gioco non delude: il motore grafico regge scenari complessi senza cedimenti, mentre un aggiornamento post-lancio ha ottimizzato la telecamera, eliminano ogni incertezza nei movimenti. La colonna sonora industrial-ambient supporta perfettamente l’atmosfera “metallica” di Steel Seed, i suoni degli ingranaggi e il fruscio dell’erba olografica sono curati nei minimi particolari, e il doppiaggio in italiano dona personalità ai personaggi.
Concludendo…
Steel Seed non è solo un buon gioco indipendente: è un esempio di come un team di dimensioni contenute possa sublimare l’esperienza stealth e il platforming in un contesto post-apocalittico, superando addirittura quello di software house più blasonate, che hanno sicuramente avuto budget di gran lunga superiori. Se da un lato le opzioni melee risultano un po’ limitate e i nemici non brillano per varietà, dall’altro la qualità dell’IA, la profondità del level design e la presenza di un arsenale tattico variegato riescono a tenere il giocatore sempre sul filo del rasoio. In un panorama videoludico in cui il genere stealth è sulla via dell’estinzione, Steel Seed rappresenta una boccata d’aria fresca, capace di appassionare chiunque cerchi tensione, esplorazione e parkour in egual misura.