Non manca molto ormai – poco più di un mese – all’uscita di Lost Horizon , un punta e clicca piuttosto classico, sviluppato dai tedeschi di Animation Arts , già noti agli avventurieri più avventurosi grazie ai propri Secret Files . Vi avevamo già parlato di questa promettente avventura alcuni mesi fa, quando il codice di gioco era ancora più che acerbo, ma avevamo già avuto modo di apprezzare (ed elencarvi) tutte le curiose e accattivanti caratteristiche che avrebbero potuto decretarne – in modo più o meno decisivo – il successo nel poco florido e rigoglioso mondo delle avventure grafiche. In questa seconda (e ultima) puntata, praticamente a ridosso dal rilascio della versione completa, abbiamo avuto modo di mettere le mani sui primi due capitoli di gioco, esplorando una porzione piuttosto ampia ed esaustiva di quanto Animation Arts ci aveva promesso già un paio d’anni fa.

Verso nuovi orizzonti?

Per chi ci segue ma ha una cattiva memoria, o per chi non lo sapesse, le vicende che fanno da sfondo a Lost Horizon – ispirato, in buona parte, all’omonimo romanzo di James Hilton – raccontano le rocambolesche avventure del prode Fenton Paddock , un guybrush con la furbizia di Indiana Jones e dallo humor inglese. Fenton è un ex-soldato dell’Impero Britannico, ridottosi ormai al semplice e poco retribuito lavoro di pilota di cargo, dopo essere stato congedato con disonore. Il protagonista ci è parso non solo ben caratterizzato, ma anche e soprattutto arricchito da un background solido e ben strutturato, al pari di quasi tutti i comprimari principali, come la bella Kim (che ci seguirà più o meno ovunque andremo) o altri personaggi di cui non vi sveleremo l’identità.

È la cura per il dettaglio, in effetti, a rendere Lost Horizon molto promettente. Il personaggio principale, con i giusti accorgimenti, potrebbe addirittura annoverarsi, un giorno, tra le icone delle avventure grafiche: non siamo ancora ai livelli di una Kate Walker o di un Guybrush Threepwood , ma quasi. Allo stesso modo, le relazioni tra il protagonista e i vari personaggi del gioco ci sono parse ben sopra la media delle avventure grafiche; raramente ci è capitato di incontrare personaggi anonimi o comunque privi di qualche storia da raccontarci: l’illusione che ci hanno dato gli abitanti di Honk Kong, nel primo capitolo, è stata quella di un mondo vivo e pulsante, ovvero l’esatto contrario di ciò che Lost Horizon (così come tutti gli altri Adventure) realmente è.

I fondali, per quanto visto, vertono su livelli artistici veramente impressionanti, grazie ad una grafica ‘fumettosa’ e a inquadrature accattivanti (a volte persino isometriche!) che spaziano dai grandangoli più mozzafiato ai primi piani all’americana. La cosa che ci ha convinto di più, dal punto di vista grafico, è senz’altro la forte vivacità di tutte le aree esplorate, con scenari mai troppo simili l’uno all’altro e soprattutto mai statici; niente foto da cartolina: forti nevicate animeranno i paesaggi e i giochi di luce saranno sempre colorati e suggestivi. L’unico vero neo è da imputarsi all’ottimizzazione: il gioco è un vero spettacolo con l’antialiasing, ma attivare i filtri è davvero gravoso in termini di prestazioni.

Quanto offertoci, più che altro, ci ha permesso di verificare con maggiore accuratezza tutte le buone premesse dateci dal nostro primo hands-on. Nella scorsa anteprima parlavamo di alcune sequenze (una in particolare) in cui il nostro protagonista avrebbe potuto giungere alla risoluzione di certi enigmi soltanto con la collaborazione della già sopracitata Kim. I due, in più frangenti del gioco, si ritroveranno in zone separate ma comunicanti, e avranno così modo di scambiarsi oggetti, indizi e, talvolta, risolvere alcuni enigmi attraverso i dialoghi. Verso la fine del primo capitolo, ad esempio, eravamo a bordo di un furgoncino, inseguiti da dei tipi poco raccomandabili; nostro compito era di ordinare a Kim di ridurre o aumentare la velocità di marcia, o addirittura di frenare, mentre ci ingegnavamo a novelli McGyver per divincolarci dalla brutta situazione. Qualche mese fa questa sequenza ci aveva piacevolmente colpito, ma è stato con grande sorpresa che abbiamo notato che nel capitolo successivo tali meccaniche erano del tutto assenti! Al loro posto, piuttosto, ci siamo trovati alle prese con un paio di puzzle: in uno era necessario collegare dei cavi elettrici (tutti dello stesso colore) nell’ordine giusto, cercando di non confonderne uno con un altro; nell’altro ci veniva chiesto di completare una sorta di “pipe-mania”, ma con un bassorilievo. Di entrambi i puzzle era possibile regolare la difficoltà, ma, a parte questi casi isolati, in nessun modo è stato possibile “semplificarci la vita” con suggerimenti o walkthrough integrati d’ogni sorta, per la gioia di tutti i puristi.

Lo sviluppo degli enigmi e il modo in cui essi si intrecciavano alla trama hanno alimentato in modo positivo le nostre aspettative, anche grazie a dialoghi di ottima fattura e carichi di sano humor. Le uniche perplessità si concentrano tutte sul gameplay, che per quanto accattivante potrebbe comunque riservare meno sorprese di quanto fosse lecito aspettarsi. Manca comunque poco, Lost Horizon è ormai alle porte: il 24 settembre scopriremo quanto sia valsa l’attesa!

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