Se il genere dei giochi survival horror sta vivendo una seconda giovinezza lo si deve principalmente al florido sottobosco indipendente che, soprattutto su PC, sforna continuamente nuovi titoli. Questa situazione può però esser vista come un’arma a doppio taglio, non tutti i titoli raggiungono infatti la qualità dell’Amnesia di turno ed è innegabile che spesso troppa quantità non fa minimamente rima con un’adeguata qualità. Non è fortunatamente questo il caso di Song of Horror, ambiziosa produzione indipendente giunta oltre un anno fa su PC e che non esiteremmo a definire come piuttosto spaventosa.
Finalmente, come annunciato dal team di sviluppo di Protocol Games, il gioco ha debuttato su PS4 ed Xbox One. Song of Horror è ora disponibile su entrambe le piattaforme in versione digitale ma sappiate che presto verrà rilasciata anche una versione fisica da collezione, quantomeno per Playstation 4.
Come vi abbiamo raccontato a suo tempo con la nostra recensione della versione PC di Song of Horror, il gioco ci racconta la storia di un misterioso carillon, la cui melodia penetra senza pietà nella testa di chi la ascolta, portando le sfortunate vittime a vivere situazioni angoscianti, braccate senza tregua da un’oscura presenza…
La paura si nasconde dietro ogni porta
Il prologo ci mette nei panni di Daniel, colui che potremmo considerare come un protagonista che funge da filo conduttore per gli eventi narrati. Il gioco tuttavia ci permette di controllare ben tredici personaggi diversi attraverso una storia suddivisa in cinque capitoli. Prima di iniziarne uno, abbiamo la possibilità di scegliere tra quattro personaggi, se giochiamo bene le nostre carte quel personaggio basterà per portare a termine il capitolo. Attenzione però: al livello di difficoltà standard, quello consigliato dagli sviluppatori per vivere la reale esperienza di gioco, è presenta la meccanica di morte permanente. Di conseguenza, se il nostro personaggio muore, lo farà per sempre, costringendoci a sceglierne un altro tra quelli rimanenti per proseguire.
Ai tempi dell’uscita su PC, Song of Horror non proponeva livelli di difficoltà differenti quindi era possibile giocare soltanto con la meccanica della morte permanente attiva. Alcuni giocatori però insorsero chiedendo a gran voce una modalità di difficoltà senza morte permanente, definendo l’esperienza di gioco eccessivamente frustrante. I ragazzi di Protocol Games hanno deciso di accontentare la platea ed oggi è possibile selezionare il livello di difficoltà dalle impostazioni di gioco. Il nostro consiglio è però quello di vivere Song of Horror per come è stato concepito in origine, con tanto di morte permanente e costante sensazione di essere vulnerabilità.
In Song of Horror, la morte è sempre dietro l’angolo tra scontri pericolosi e trappole potenzialmente mortali. Proprio queste ultime rappresentano forse una delle criticità più fastidiose del gioco, portando ad alcune situazioni trial & error non particolarmente apprezzabili. Molte volte dovremo decidere se interagire o meno con determinati oggetti, come un’auto o una vasca da bagno… Il più delle volte sarà utile, ma può capitare di ritrovarsi faccia a faccia con un qualcosa di terrificante nascosto all’interno che ci ucciderà senza possibilità di reazione. Stando agli sviluppatori, questo era un modo per portare ad un nuovo step le iconiche meccaniche presenti nei vari Silent Hill o Resident Evil, in cui spesso viene chiesto al giocatore se vuole realmente effettuare una determinata azione, dando una finta sensazione di “libera scelta”. In quei casi in realtà si deve comunque “premere il pulsante” per interagire ed andare avanti. Qui, invece, quella decisione può fare la differenza tra la vita e la morte.
Apprezziamo l’idea di fondo e la volontà di proporre qualcosa di diverso, incrementando la sensazione di ansia e precarietà che aleggia per tutta la durata dell’avventura. Tuttavia morire improvvisamente, magari nel corso di una run giocata in maniera esemplare, soltanto per aver deciso di esaminare una vasca di bagno non è una scelta di game design particolarmente brillante. Inoltre, in certi momenti non è particolarmente intuitivo l’incedere, portando a situazioni in cui si avanza più per tentativi che per una reale logica di fondo. Queste situazioni, fortunatamente, sono sporadiche e non intaccano più di tanto la godibilità dell’esperienza di gioco.
Un’altra meccanica molto interessante che può portare ad un’inesorabile ed immediata morte è legata al fatto che dietro ogni porta potrebbe esserci la Presenza. Per evitare di incorrere in un triste game over è possibile poggiare l’orecchio e provare a captare eventuali mormorii poco rassicuranti. E’ proprio questa presenza oscura la minaccia più temibile per il giocatore. Si tratta sostanzialmente di un’IA “invisibile” che osserva e valuta il nostro modo di giocare in modo da venire a darci fastidio nei momenti più carichi di pathos, come quando incespichiamo in fase di esplorazione o nei momenti in cui la fretta prende il sopravvento e cominciamo a correre in giro.
Si possono così innescare eventi scriptati imprevisti: porte che sbattono improvvisamente, visioni raccapriccianti, radio che si accendono misteriosamente. La paura del giocatore va di pari passo con l’ansia che man mano va assalendo il povero personaggio di turno, aumentando così il suo livello di panico. Ciò non ha un riscontro a schermo, visto che l’interfaccia di gioco praticamente non esiste e dunque non sono presenti indicatori di sorta. Per monitorare lo stato del personaggio dovremo dunque basarci sulla vibrazione del controller, equiparabile ad un vero e proprio battito cardiaco. Tale meccanica accresce enormemente il livello di immedesimazione, facendoci respirare in maniera più diretta e senza fronzoli la malsana atmosfera che fa da sfondo agli eventi.
Se l’ansia diventa insostenibile, la Presenza prova a sfruttare il momento di debolezza manifestandosi sotto forma di Oscurità e venendo a cacciarci. A questo punto, l’unica possibilità di salvezza è trovare celermente un nascondiglio. Comincia così un mini gioco carico di tensione basato su QTE che dovremo superare per evitare la morte. L’avventura propone svariati mini giochi, perlopiù basati su tempismo e attenzione ma la regola di fondo è sempre la medesima: se sbagli muori.
Come avrete ormai capito, in Song of Horror si respira continuamente una sensazione di pericolo, con la percezione che la vita di ogni personaggio sia tristemente legata ad un sottile filo.
I personaggi giocabili differiscono per una manciata di caratteristiche come forza o velocità ma godono tutti delle stesse “abilità”, se così possiamo definirle. Possono dunque camminare, correre ed interagire con vari oggetti. Come ogni gioco del genere che si rispetti, lungo il percorso è possibile trovare appunti e lettere utili a far luce sui misteri che aleggiano tra le varie ambientazioni, oltre a fornire retroscena sugli eventi che ci hanno preceduti. La più grande differenza con i classici giochi dell’orrore a cui Song of Horror si ispira è relativa all’assenza di armi, quindi sappiate che non esistono dei veri e propri scontri.
Per quanto riguarda il comparto tecnico Song of Horror vive certamente di alti e bassi. Il livello grafico non è certamente encomiabile ma viene elevato da un art design di grande impatto che bombarda i vari livelli con una marea di squisiti dettagli. Apprezzabile anche il lavoro svolto per quanto riguarda il sistema d’illuminazione, ben gestito e terribilmente suggestivo – sicuramente un elemento capace di accrescere ancor più il livello d’atmosfera. Meno riusciti i modelli poligonali dei personaggi, sgraziati da volti ed animazioni facciali decisamente sottotono. Protocol Games è comunque un piccolo studio indipendente e non potevamo certo aspettarci di più in tal senso. Per il resto, a parte qualche sporadico glitch ed una certa legnosità nei comandi c’è ben poco da rimproverare al team di sviluppo.
Nonostante queste piccole magagne, di motivi per elogiare Song of Horror ce ne sono a bizzeffe: la cupa colonna sonora e l’affascinante trama mettono certamente a tacere qualsiasi singhiozzo tecnico. Per quanto riguarda la sceneggiatura, sono lapalissiani i riferimenti ai classici dell’orrore scritti da mostri sacri come Edgar Allan Poe o Lovecraft (i due danno persino il nome ai due livelli di difficoltà più alti del gioco), il tutto condito da numerosi ed inevitabili omaggi ai classici videogiochi survival horror come i già citati Resident Evil e Silent Hill.
Concludendo…
Nelle circa 12 ore necessarie per portarlo a termine, Song of Horror si presenta come un diamante grezzo, ricco di imperfezioni – perlopiù tecniche – ma estremamente suggestivo ed affascinante, soprattutto se consideriamo le ridotte possibilità del piccolo team di sviluppo. Forse alcuni frangenti possono essere frustranti ma siamo certi che ogni appassionato di giochi horror che si rispetti non potrà resistere all’invitante richiamo di questa deliziosa opera che con la sua atmosfera avvolgente, proprio come l’ammaliante melodia di un carillon, ci attira a sé in una tetra e riuscita avventura dal forte richiamo old-school.