Pronunciare il nome della famiglia Romero dovrebbe innescare violenta piloerezione in tutti coloro che, con qualche annetto di esperienza in più da videogiocatori, abbiano a cuore la storia dell’intera industria, nonché della sua capacità di espressione: Brenda ha lavorato su quelle che poi si sono rivelate delle vere e proprie gemme come Jagged Alliance 2 e Wizardry 8, John invece è colui che ha dato i natali a colossi come le saghe di Doom e Quake, insomma, non degli sprovveduti senza arte né parte. Altra piloerezione andrebbe dedicata a un altro nome altisonante, quella Paradox Interactive che, sia sviluppando che distribuendo veri e propri capolavori, ha fatto la gioia della strategia su PC degli ultimi venti anni.
Converrete con me che, matematica alla mano, un titolo sfornato da Romero Games e patrocinato\distribuito dalla Paradox Interactive abbia tutte le carte in regola per dominare tanto il mercato, quanto i cuori degli appassionati. E questo è proprio il caso di Empire of Sin, titolo dai natali sicuramente illustri ma che, a discapito dei meri calcoli matematici di cui sopra, deve anche fare i conti anche con le aspettative di cui si fa carico il nome di chi lo ha sviluppato e di chi si è preso la responsabilità di distribuirlo.
Le aspettative alte non sono sempre un bene, e questa ne è l’ennesima prova.
La mafia uccide, la ripetitività pure.
Empire of Sin è un titolo sulla carta decisamente intrigante, a partire soprattutto dall’ambientazione: la Chicago anni Venti, nella quale il Proibizionismo faceva violentemente a cazzotti con la malavita che aveva trovato, proprio nella produzione di alcolici, un modo decisamente remunerativo per proliferare, il tutto mentre il rumore del nostro caricatore a tamburo si alternava alla radio che suonava il Jazz, tra un radiogiornale e l’altro. Senza girarci troppo intorno, il set in cui è calato il giocatore è decisamente affascinante e, grazie al fatto di non essere stato abusato negli ultimi anni, risulta abbastanza fresco per questo genere di giochi.
Il genere. Già, il genere a cui appartiene è un discorso decisamente complicato, difficile da definire poiché tra i più ibridi che il mercato abbia offerto ultimamente. Da una parte è sicuramente un gioco tattico a turni, in cui la nostra squadra avrà dei punti azione da spendere a ogni turno, ciò per attaccare i nemici, difenderci da essi e spostarci in mappe – sempre piuttosto contenute – costituite da caselle quadrate che sono in grado di offrire diversi bonus legati ai tipi di copertura. Dall’altra abbiamo una struttura dall’anima spiccatamente manageriale, quasi tycoon, che porta a dover gestire il nostro impero mafioso, partendo dalla produzione di alcolici, il mantenimento di locali di lusso e la conquista di edifici situati in città che permetteranno l’espansione del vostro impero mafioso. Inoltre si dovranno reclutare i propri sgherri, affiliandoli alla famiglia, che andranno equipaggiati e livellati esattamente come succede nei giochi di ruolo, e sarà necessario curare la diplomazia con chi vi contende il ruolo egemonico in città in modo non dissimile a quanto avviene nei giochi della serie Civilization.
“Pur con qualche differenza, un titolo molto vicino ai giochi della saga di XCOM” direte voi? Beh, sì, ma si discosta da questi ultimi per la profonda vena narrativa che Empire of Sin porta con sé. Ogni dialogo intavolato con i vostri sottoposti o con i padrini delle fazioni avversarie ha delle conseguenze anche sul gameplay, restituendo una sensazione decisamente positiva quando, ad esempio, l’accusa di doppiogiochismo al vostro miglior tiratore si traduce nella sua assenza durante l’attacco al locale di un boss che vi vuole morti per aver conquistato troppo nella sua zona. Il taglio quasi cinematografico di queste sessioni è sicuramente un valore aggiunto alla produzione e va a valorizzare anche la caratterizzazione dei personaggi selezionabili, ispirati in modo più o meno velato alla mitologia malavitosa di quegli anni, da Al Capone a Frank Ragen, passando per tutta una serie di personaggi poco raccomandabili ma dall’enorme carisma, ognuno con i propri perk che influenzano l’approccio alla partita.
Tirando le somme, sulla carta, Empire of Sin andrebbe promosso anche sotto il profilo del gameplay per la peculiarità dell’ibridazione tra generi così diversi tra loro. Purtroppo, al di fuori di quella “carta”, ci troviamo di fronte a una mezza delusione poiché soprattutto sotto il profilo delle meccaniche qualcosa è andato irrimediabilmente storto. I combattimenti a turni, ad esempio, risultano sempre facili e scadono velocemente nella ripetitività, mentre la parte manageriale è semplificata fino a diventare quasi banale, senza alcun accenno a una progressione del livello di sfida nelle fasi più avanzate. Il nostro consiglio è dunque quello di giocarvelo al massimo livello di difficoltà, giusto per tamponare, laddove possibile, il più grande difetto dell’intera produzione.
Un’offerta che puoi rifiutare?
Sul fronte tecnico Empire of Sin non si comporta benissimo, soprattutto per quel che concerne le animazioni durante i dialoghi in cui modelli poco dettagliati e spesso approssimati si muovono in modo legnoso e decisamente poco accattivante. Il motore utilizzato è Unity e, nonostante qualche limite rispetto a engine più blasonati, negli ultimi anni è stato capace di cose decisamente migliori rispetto a quanto fatto in questa occasione. Tuttavia, allontanando la telecamera, cosa possibile soprattutto durante la fase manageriale, è possibile godere di un colpo d’occhio più che sufficiente, capace di rendere ancor più comprensibile la già chiarissima interfaccia di gioco in stile liberty, altro punto forte della produzione.
La direzione artistica, anche senza il supporto di una solida tecnica, è di quelle che ti fanno comunque apprezzare quanto di buono vi è nelle atmosfere che intende evocare, e in questo la famiglia Romero conferma la sua incredibile capacità visionaria: dal già citato stile liberty che permea l’interfaccia di gioco, alla caratterizzazione dei personaggi, dall’equipaggiamento della nostra squadra, alla scelta dei brani jazz degli anni Venti, riconoscibili poiché il genere è in un momento in cui sta per codificare anche quello swing che salirà alla ribalta nel decennio successivo. Tutto trasuda competenza, cosa che accentua ulteriormente l’amaro nella bocca di chi riponeva speranze in un progetto che avrebbe avuto sicuramente qualcosa in più da dire, e invece a fatica si ritrova a galleggiare poco al di sopra di una sufficienza che gli sta stretta.
È completamente assente, sia per quel che concerne i dialoghi che i testi, la traduzione nella nostra lingua, ma a sopperire a tale mancanza vi è un buon doppiaggio in inglese che, nonostante qualche sporadico calo di stile, riesce a migliorare la caratterizzazione, già buona, dei personaggi.
Concludendo…
Nella Chicago degli anni Venti è indubbiamente bello scorrazzare, da una parte è un set altamente suggestivo, dall’altra gestire la propria organizzazione mafiosa sgomitando con altri padrini per il controllo della città è un’attività potenzialmente divertentissima. L’aspetto artistico è curato, tanto nella scelta dello stile liberty per l’interfaccia quanto per la caratterizzazione dei personaggi selezionabili, senza dimenticare l’ottima scelta di brani jazz in grado di evocare correttamente l’affascinante atmosfera del Proibizionismo. Se a questo aggiungiamo il fatto che il gioco è un’ibridazione di più generi, ognuno portatore di meccaniche peculiari e finalizzate a rendere l’esperienza il più fresca possibile, sulla carta Empire of Sin andrebbe annoverato direttamente tra i titoli migliori di questo strano 2020.
La realtà dei fatti è però un’altra: abbiamo combattimenti facili e ripetitivi, una fase gestionale che difficilmente creerà un qualche tipo di grattacapo anche al giocatore meno smaliziato e un utilizzo dello Unity Engine decisamente poco accorto. Sono tutte cose che pesano – e non poco – sull’economia della valutazione di un titolo che, visti gli illustri natali, avrebbe dovuto offrire molto di più, soprattutto sotto l’aspetto più squisitamente ludico.
Non un disastro completo, il gioco infatti riesce a offrire qualche spunto interessante e raggiungere la sufficienza nella valutazione complessiva, ma ne sconsigliamo l’acquisto al prezzo pieno di 39,99€ a cui è venduto su Steam.