Diciamolo subito, è evidente che The Last of Us Parte II abbia subito un mostruoso review bombing. Ma è altrettanto vero che, tra moti d’umore che sono sempre più spesso autentiche dimostrazioni di dogmatico amore profuso verso questioni che, spesso, sono solamente “promesse” più o meno mantenute, il “giurare fedeltà” ad un gioco no matter what, è divenuta una sorta di kantiana legge morale uber alles. Una quotidianità diffusissima, con un retrogusto “messianico” e che, chi osa contraddire, non è «figlio di Maria». Ed ecco che, tra idioti pronti allo zero spaccato perché omofobici, per mero (e ormai vetusto) trolling o per chissà quale astruso motivo, ci sono state manifestazioni opposte per contenuto ma speculari per metodi. Eccessi fatti per tanti motivi. Ecco che sono spuntati tizi “in lacrime” che hanno postato collage dei loro volti “rigati dal dolore” per far vedere che, loro fra i tanti, avevano la necessaria sensibilità per comprendere appieno l’andirivieni emotivo che Naughty Dog ha ricamato per noi. Tizi che, al primo accenno di critica (se un qualcosa ti fa emozionare, meglio: ma che bisogno c’è di farci un post sui social?), scompaiono e si ritirano “indispettiti” perché, se insulti la loro sensibilità (ma sarebbe stata tale anche senza una camera puntata in pieno volto?) sei un gretto bruto. Al contempo, anche figuri “impossibili” che hanno, improvvisamente iniziato a postare foto a raffica del gioco ma che, scorrendo la loro home Facebook, era impossibile o quasi scovare tracce recenti di altri videoludi testati. Naturalmente, sono bastate poche ora di gaming con il titolo Naughty Dog per rendere, taluni figuri mitologici, in grado di descrivere il senso ontologico del gaming e la ricerca dell’io con un pad in mano: l’illuminazione, all’improvviso.

A questo, si aggiunga il modus operandi unanime della critica videoludica che, con The Last of Us Parte II, si è “superata”. Vi avevamo già parlato della mostruosa levata di scudi fatta molti giorni prima che il titolo Naughty Dog venisse rilasciato: una difesa ad oltranza che si è ripetuta anche nei giorni post-lancio, soprattutto dopo il review bombing. Con alcuni siti maggiori che si son lanciati in appellativi non troppo simpatici (ma cosa non si fa per qualche click) nei confronti degli utenti «cretini» di Metacritic, senza però prendersi la briga di verificare se, effettivamente, fossero tutti “bombaroli”. Perché, di commenti negativi ma costruiti decentemente, lunghi anche 600/700 parole ce n’erano tanti. Ma che senso ha sporcarsi le mani per fare decentemente il mestiere giornalistico, se fare decentemente il mestiere giornalistico non porta click né tantomeno la “benevolenza” di chi potrebbe comprare spazi pubblicitari, inviare giochi a sbafo gratuitamente ed invitare ad eventi esclusivi? Le bellezze di un “cartello”.

La “fortuna” del review bombing

Perché, naturalmente, il mestiere giornalistico è “sporco e puzzolente”: sarebbe bastato, invece di etichettare in tre secondi più di quattromila utenti, fermarsi dieci minuti e leggere. Leggere che, fra i tanti idioti dallo zero facile corredato da tre o quattro insulti, c’erano persone che si son prese la briga di spiegare il perché del loro basso voto. Perché, diciamocelo chiaramente: The Last of Us Parte II è molto fortunato. Quando un gioco viene subissato di voti negativi, in sostanza, generalizzare l’opinione di massa è il meccanismo successivo automatico. Ma la marea di insulti è probabilmente, una mano santa “indiretta” per un gioco che, seppur la critica abbia elevato a capolavoro, non sembra aver convinto proprio tutti specialmente guardando, in prospettiva, al capitolo passato (da cui parrebbe non differenziarsi più di tanto, sentendo taluni). Perché una mano santa? Una marea copre sia il “buono” che il “cattivo”. In sostanza: i tanti, aencefalici zero con cui il gioco Naughty Dog è stato subissato, hanno coperto anche i copiosi voti di mediocrità o piena insufficienza dati da alcuni utenti che, ma guarda un po’!, avevano anche un’opinione concreta che è confluita in commenti anche piuttosto estesi.

In una prospettiva alla “Sliding Doors”, il review bombing attuale è forse la soluzione migliore: se su Metacritic ci fosse stata una piena mediocrità (corrispondente, orientativamente, ad un valore numerico di 3/4 unità più alto) con annessi i pochi e costruttivi commenti attualmente presenti (che, ad occhio, sarebbero stati qualche centinaio), lo User Score sarebbe stato coadiuvato da un’opinione generale più attendibile e, conseguenzialmente, più facilmente riscontrabile. Ma in un mare di fango, è difficile scorgere una piccola pepita. Ergo, meglio uno zero assoluto connotato da una rabbia, per la maggiore, immotivata, ira che consente poi alle testate, com’è poi accaduto, di generalizzare “ad occhi chiusi” piuttosto che un 6 (che, diciamocelo chiaramente, oggigiorno vale come uno zero) con chilometri di rispettabili argomentazioni. Anche perché, una cosa è ovvia: il review bombing era una possibilità, i commenti argomentativi sulla presunta mediocrità una certezza. E, a riprova di ciò (e anche del fatto che poi, in sostanza, il review bombing sia più un caso da clickbaiting informativo piuttosto che da effetti concreti), basta guardare le vendite del gioco: stratosferiche, no matter what. Con buona pace di chi pensa che l’alto numero di vendite sia, effettivamente, segno di una qualità (ma da quando, i numeri sono l’unico fattore determinante per stabilire la validità di qualcosa?). Potrebbe esserlo, per carità: ma se i commenti negativi concreti non fossero coperti da una mare di merda insensata, magari la storia sarebbe diversa.

Il teorema della torta alla merda

Molti, anche ammessa la presenza di commenti negativi “validi”, hanno però lo stesso confutato aprioristicamente la concretezza degli stessi, sottolineando l’impossibilità di avere un commento concreto con pochissime ore di gioco. Al di là del fatto che, spesso e volentieri, le release nel resto del mondo, rispetto alla stessa Italia, fanno i conti con i fusi orari (quindi, nella fattispecie, la giornata di oggi potrebbe iniziare “prima” altrove rispetto a noi). E che, seguendo questo criterio, appena comparsi i primi segnali dello tsunami marrone che si stava scagliando contro il titolo Naughty Dog, c’era già qualcuno che avrebbe potuto essere già avanti di circa 10/15 ore nel gioco (se si pensa che, a difficoltà più bassa, uno shooter moderno oggi è una boccata d’aria fresca). Ma, anche ammesso che avessero giocato un paio d’ore di gioco (e, facendo riferimento al primissimo The Last of Us, già in così poco tempo potevano esser chiare le meccaniche di gioco, l’ossatura narrativa e i cardini del gameplay), in che senso la loro opinione avrebbe dovuto esser scartata aprioristicamente? Se applicassimo questo principio, i filoni delle “prime impressioni” e delle “anteprime” giornalistiche andrebbero completamente cancellati.

E poi, come non citare il mitico teorema (da me coniato, sia chiaro) della “Torta alla Merda”: ci sarebbe davvero bisogno di assaggiarla, per capire che effettivamente non avrebbe un buon sapore? In questo frangente, basterebbe il semplice odore per farci capire che, per la stra-grandissima maggioranza dell’umanità (coprofagi a parte), sarebbe tutt’altro che squisita. Un paragone estremo ed audace che, riducendo ai minimi termini, può e deve dare alle opinioni “premature” il giusto valore: un giudizio fuoriuscito da un’esperienza di poche ore è valido, seppur limitato intrinsecamente. Ma, di base, rarissime volte abbiamo assistito a mutamenti rivoluzionari nella struttura videoludica. In parole più semplici: solitamente, un gioco di calcio non diviene dopo 50 ore, un gioco di Formula 1. Anche per gli action e gli shooter funziona così: quanti sparatutto o giochi d’azione conoscete che, dopo qualche decina d’ore di esperienza, mutano completamente e in un modo così drastico da divenire “nuovi”? Pochi, pochissimi, pochissimissimi. Senza contare che, con un salto concettuale notevole, lo stesso teorema potrebbe essere applicato, videoludicamente parlando, ad una serie di altre casistiche di base. Perché ad un giocatore di action, non piacciono gli strategici? Di certo non ha esplorato integralmente Age of Empires per scoprirlo. Perché un fan di FIFA non si lancia in una temeraria partita ad Heartstone (anche lì ci sono le carte)? Di certo, non ha necessità di sbloccare tutti i deck del gioco per scoprirlo. Giuste logiche? Pragmaticamente si, le applichiamo ogni giorno: ma, chissà perché, per taluni giochi c’è l’asterisco, ogni tanto.

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