Torno a casa dopo una lunga giornata di lavoro, accendo la Playstation 4 e faccio partire The Sojourn senza alcuna aspettativa, sia essa in senso positivo che in quello negativo. Dopo neanche 10 minuti di gioco, vuoi per un racconto minimale ma decisamente ben pensato, vuoi per un comparto artistico di alto livello, mi ritrovo senza fiato a osservare gli scorci che questo gioco mi offre, facendomi anche chiudere semi-consapevolmente un occhio sulle imperfezioni della produzione.
Anche se potrebbe essere considerato un vero e proprio “spoiler” della recensione, con fermezza voglio anticiparvi che The Sojourn è stata una gran bella sorpresa, un’esperienza di certo non perfetta, a tratti difficile da capire in quanto solo gli animi più profondi potranno apprezzarne a pieno il senso della narrazione, ma è assolutamente un gioco in grado di dire qualcosa ai propri utenti. Se a tutto questo aggiungiamo anche che è venduto a poco più di 20€ sullo store di Epic, e allo stesso prezzo è disponibile anche su Xbox One e PS4 (quest’ultima la versione da noi testata), davvero scuse non ce ne sono per non dargli una piccola possibilità.
Il videogioco, il cammino iniziatico e la metafisica
Sviluppato dai ragazzi di Shifting Tide – un piccolo team britannico dalle evidenti capacità di sviluppo – The Sojourn è un particolarissimo puzzle-game in prima persona in cui saremo chiamati ad affrontare un cammino iniziatico che porta a una sorta di “rivelazione” in grado di donarci un grado superiore di consapevolezza, facendoci rimettere in discussione la percezione stessa della realtà. Parole forse un po’ vaghe e altisonanti, ma che ben rendono l’idea di un’esperienza ludica e narrativa davvero trascendentale.
Partiamo con il descrivervi l’ambientazione: il mondo in cui ci muoveremo “non è”, è un non-luogo in cui assoluto e metafisica prendono forma per diventare il palcoscenico della nostra scalata verso quello stadio di consapevolezza superiore di cui sopra. Le pareti, i pavimenti, le scale, compaiono solo se sollecitate dal passaggio di alcune piccole luci che ci faranno da guida lungo tutta l’avventura, senza proferire parola o comunicare in alcun modo se non creandoci un percorso obbligato, lasciandoci soli, in balia della riflessione che è parte integrante dell’esperienza.
Il cammino comincia con un episodio paradigmatico, la nascita di un bambino, probabilmente il simulacro del nostro alter-ego, portatore del significato della presenza cosciente in quel luogo. Davanti a noi il sole splende in cielo e il vuoto si trasforma, le strutture si creano all’improvviso, cambiano, si muovono, scompaiono, regalando scorci molto vicini, soprattutto cromaticamente, a quanto visto in Rime o in The Witness, nonostante le architetture del prologo mi abbiano ricordato per stile quanto visto nel mai troppo lodato ICO. Superato questo momento iniziale vi ritroverete in un’accademia, luogo metonimicamente collegato alla conoscenza necessaria al raggiungimento di uno stato superiore, usata come hub centrale dalla quale sarà possibile visitare i quattro mondi di cui si compone il gioco, ognuno caratterizzato in maniera visivamente certosina. Lasciamo a voi il piacere di scoprirli proseguendo nel gioco ma degne di menzione sono le maestose “isole fluttuanti” della prima area, davvero incredibili.
Linearità e discontinuità: un capolavoro mancato?
Dal punto di vista del gameplay The Sojourn offre enigmi piuttosto classici, in cui fattore spazio e fattore tempo sono determinanti alla loro risoluzione. L’elemento fondamentale di tutto il gameplay consiste nella dualità delle dimensioni in cui ci sposteremo: una luminosa ma sterile per quel che concerne le possibilità di movimento, l’altra oscura in cui le ombre diverranno vere e proprie barriere, ma dalla quale sarà possibile attingere al potere in grado di attivare i “nodi” del nostro interagire con l’ambiente, ovvero i quattro tipi di statua, ognuna delle quali presenta una certa funzione da piegare a nostro vantaggio. Il confronto più stringente che si può fare con le meccaniche di The Sojourn è sicuramente con quel capolavoro che risponde al nome di The Talos Principle, a parere di chi scrive ancora una spanna abbondante al di sopra della concorrenza.
La difficoltà delle sfide ci è sembrata tutto sommato giusta, difficile quanto basta da risultare stimolante a gran parte dei giocatori. Ogni livello richiederà grande spirito di osservazione, rigorosità logica e attenta pianificazione, tutte cose che dilateranno a dismisura i ritmi di gioco e le esigue ore necessarie a completare il titolo, ovvero tra le 8 e le 10 ore di gioco alla prima run: sicuramente non tantissime ma il titolo si presta a farsi giocare (e terminare) tutto d’un fiato.
Prese singolarmente la componente narrativa e quella ludica sembrano essere due aspetti della produzione decisamente riusciti, è la discontinuità marcata nell’alternanza delle stesse a risultare problematica, soprattutto se affiancata a una linearità di fondo forse troppo slegata dai tempi videoludici in cui viviamo. Prima si percorre un’istanza panoramica in cui poche linee di testo raccontano la storia di questo percorso di elevazione, si supera una porta grazie alle luci che ci accompagnano durante il viaggio e si affronta il puzzle\sfida fino a completamento, e lo stesso schema si ripete ancora e ancora, fino alla fine del gioco. Certo, a un certo punto avremo la possibilità di scegliere la sequenza dei quattro mondi che andremo ad affrontare, ma è davvero poco per scrollarsi di dosso la sensazione di inorganicità dell’insieme.
Ecco che aspetto ha la trascendenza
Riprendendo quanto detto nei paragrafi precedenti il gioco di Shifting Tide, nonostante le non imponenti risorse utilizzate, riesce a stupire per la maestosità dell’apparato visivo.
Dal punto di vista meramente tecnico non c’è nulla che meravigli il giocatore più smaliziato.
Ciò che è stato fatto dal punto di vista artistico – forte di una libertà che un set metafisico riesce a regalare – è semplicemente sbalorditivo, un lavoro di una qualità tale da rendere da solo l’esperienza non-ludica del gioco un piccolo gioiello.
Vi ritroverete in più di un’occasione a fermare il vostro personaggio per divorare in religioso silenzio la sensazione perdifiato che alcuni scorci riescono a offrire, sensazione resa ancor più decisa da un commento sonoro di prim’ordine: il silenzio, vero tappeto musicale dell’intera offerta, è interrotto da delicatissimi arpeggi intrecciati, accompagnati da persistenti note di sintetizzatore che evocano atmosfere degne di capolavori dello space-ambient.
Insomma, l’apparato artistico è decisamente promosso a pieni voti.
Concludendo…
The Sojourn è un piccolo, grande gioco, in grado di rappresentare una ventata fresca in questo marasma di grandi produzioni che non hanno nulla realmente da dire.
Sicuramente è un titolo non facile da digerire, appartenente a un genere – quello dei puzzle in prima persona – non fortissimo dal punto di vista commerciale ma proprio per questo più libero di esplorarne le possibilità. Tanto la narrazione, ben realizzata, quanto l’ambientazione, altrettanto riuscita, riescono a far leva sulla libertà consentita dal mondo trascendentale in cui è ambientato il titolo dei Shifting Tide. Gli enigmi, fulcro dell’intera esperienza, risultano mai banali e in grado di offrire un livello di sfida arduo ma sempre equilibrato.
Tuttavia linearità e discontinuità tra fasi di gioco rendono The Sojourn solamente un “buon titolo”, consigliato a chiunque riesca a tollerare, tra le altre cose, i ritmi lenti del genere a cui appartiene.