Inutile girarci intorno, Death Stranding è il titolo più atteso dell’anno. Vuoi per il nome che c’è dietro, Hideo Kojima, papà di una delle serie più apprezzate di sempre – Metal Gear Solid. Vuoi anche per la stessa, innata, abilità di marketing del geniale developer, in grado di centellinare, fra boutade e foto con il vip di turno, le informazioni in modo da stimolare ossessivamente, quasi tortura cinese, la volontà dei fan di apprendere qualsiasi minuzioso dettaglio. Sulla questione che Death Stranding sia o non sia un capolavoro (noi i nostri dubbi a proposito li esprimemmo mesi fa, quando uno dei primissimi trailer del titolo provocò un immotivato “straccia straccia” di vesti redazionali), solo la sua uscita ufficiale potrà definitivamente saziare quel dubbio. Intanto, da bravi “topi di biblioteca”, abbiamo raccolto in modo sintetico tutte le principali informazioni inerenti il titolo di Kojima.

Cos’è Death Stranding?

Ma cos’è Death Stranding? Ad introdurlo, ci penserà lo stesso Kojima con una sua recente dichiarazione: «Le persone hanno costruito delle “Mura” e si sono abituate a vivere in isolamento. Death Stranding è un nuovo tipo di gioco d’azione, dove l’obiettivo del giocatore sarà ricostruire e ricollegare città isolate in una società frammentata. Tutti gli elementi, storia e gameplay inclusi, sono legate fra loro proprio dal tema della “connessione”».

Un po’ di storia…

Death Stranding è stato “non-rivelato” già dal 2016, da quando ci fu il “triste” divorzio tra Konami e Kojima di cui tutt’ora non si conoscono dettagliatamente le motivazioni. Di lì, poco a poco, intervista dopo intervista, si è iniziato a parlare del gioco, seppur nessuno ne avesse mai parlato “sul serio”. Man mano, nel mentre venivano svelati – volti dopo volti – gli attori famosi che sarebbero poi entrati a far parte nel casting “definitivo” del gioco, attraverso trailer criptici – e dalla palette cromatica tendente al buio assoluto – abbiamo iniziato a scoprire la misteriosa produzione di Kojima, un centimetro alla volta. Fast forward al 2019: la Gamescom di Colonia e il TGS hanno, dopo un paio d’anni circa di “famelico” dubbio, saziato la voglia di conoscenza dei fan di tutto il mondo su quello che, sin lì, era stato sostanzialmente un “infinito” trailer cinematico dai toni dark e misteriosi.

C’era una volta… l’America

Il setting del gioco è fissato negli (ma tu guarda…) Stati Uniti, 10 anni dopo un evento distruttivo chiamato “Death Stranding”. La pseudo-apocalisse ha messo in ginocchio la popolazione americana, decimandola irreversibilmente e distruggendo la società capitalistico-occidentale che tutti noi conosciamo. Com’è lecito aspettarsi, non esiste più un mondo civilizzato né una struttura organizzata degna di una società moderna: ed è qui che entriamo in campo noi. Il nostro protagonista, Sam, è parte integrante di una organizzazione speciale, la Bridges, incaricata dal Presidente dei defunti Stati Uniti di esplorare la terra devastata e portare ordine, cercando con del puro olio di gomito di ricostruire le infrastrutture di base e ricollegare ciò che resta della nazione affinché, appunto, ridiventi tale. In modo particolare, saremo chiamati a ristabilire connessioni speciali chiamate “Strands”, nodi principali di una rete chiamata “Chiral Network” il cui scopo è, appunto, connettere le persone (uno dei temi che Kojima ha più volte dichiarato di “inseguire” nel mentre approntava il titolo). Queste rete, al contempo, svolgerà un compito ludico-informativo a 360°: addirittura, il Network ci consentirà di vedere le orme degli altri giocatori, impegnati anch’essi nella “riconnessione” generale. In sostanza, il nostro ruolo sarà quello di una sorta di “fattorino” hi-tech, con il compito di sopravvivere per “consegnare” il necessario per continuare ad estendere la rete e ridare speranza alle persone.

Seppur razionalmente “folle”, nel gioco ci sarà un forte elemento soprannaturale connesso alla morte. Infatti, il titolo deriva dall’inspiegabile comportamento di alcuni cetacei, che sono soliti lasciarsi morire in massa sulle coste. In questo senso, con una metafora ardita, l’umanità del titolo di Kojima sarà “costretta” in una realtà spezzata, mischiata con una realtà alternativa connessa in qualche modo al mondo dei defunti. Questa confluenza di più realtà, umane e non, ha totalmente devastato il presente della stirpe che ci appartiene creando, innanzitutto, l’effetto del “Timefall”, una pioggia sovrannaturale in grado di far “invecchiare” chiunque venga a contatto con essa e che, a detta di Kojima, preannuncerà la presenza delle Beached Things, potenti essenze inumane che saranno complicate da abbattere. In aggiunta, la devastazione della realtà, ha consentito alle succitate entità sovrannaturali di popolare il mondo di gioco che, al contempo, non avranno buone intenzioni: il loro scopo sembra infatti di corrompere intere porzioni di terra e umanità affinché confluiscano proprio nella loro buia realtà mortale (ma ne parleremo più innanzi).

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Quei dannati volti

Come già preannunciato migliaia di volte, Death Stranding sarà un’autentica parata di attori piuttosto noti. Al di là del buon Norman Reedus e di Mads Mikkelsen (il quale ha recentemente che il suo personaggio, Cliff, non sarà “solamente” un cattivo ma si evolverà nel corso del gioco), troveremo tanti altri volti “minori” ma che avranno un ruolo di spessore nel gioco: ad esempio, Troy Baker, musicista e attore, che interpreterà il ruolo di un capo ribelle, ma anche Guillermo del Toro (doppiato da Jesse Corti), che vestirà i panni di Deadman, uno scienziato che studia i Bridge Baby. Per chi volesse una lista estensiva di tutti gli attori e volti noti coinvolti nel gioco, date un’occhiata a questo link.

Il motivo per cui imbracceremo i pad

Le premesse narrative, atipiche e particolari nel più classico stile Kojima, non saranno piazzate lì solo come mero orpello estetico: lo scopo del gioco e il senso stesso del nostro “torturare” il pad, saranno inestricabilmente legati proprio dalla tematica principale che muoverà il ludo, ovvero “ristabilire le connessioni”. Nel gioco vagheremo proprio cercando comunità e civili isolati, per ripristinare i succitati legami: più link si tradurrà anche in una capacità aumentata del nostro Sam di compiere azioni e sviluppare conoscenza e abilità – ad esempio, allontanandosi troppo dalla rete, il nostro Sam perderà alcuni benefici specifici, come dati sul territorio, mappe, giacigli, scorte varie ecc. Naturalmente, abbandonare la zona di comfort sarà parte integrante proprio della missione di Sam: in linea di massima, il gioco sembra voler per certi versi suddividere il gameplay in un manicheistico bianco e nero ludico, con il continuum narrativo e meccanico dell’ossessiva ricerca della “connessione perduta”. In linea di massima, facendo un subitaneo salto verso questioni più “numeriche”, Kojima stesso ha dichiarato che ci vorrà “molto tempo” per completare integralmente la nostra missione: lo crediamo sulla parola.

Guardare il titolo Kojima in azione, non può non far tornare alla mente Metal Gear e la sue ultimissima iterazioni, Ground Zeroes, Phantom Pain e Survive: in linea di massima, ciò che sembra trasparire dai vari video, è la sensazione che Death Stranding sia il prossimo step evolutivo proprio della succitata saga, che ha sterzato vistosamente a livello di gameplay proprio con The Phantom Pain. Ma torniamo al gioco: in generale, Death Stranding sembra improntato più su aspetti survival che stealth, in una riconferma di quanto già visto nell’ultimo capitolo della serie, cronologicamented. Ad esempio, è stato sin da subito chiaro che la gestione dell’inventario sarà fondamentale per il prosieguo stesso del gioco, soprattutto per quanto concerne della strumentazione “speciale” a sua disposizione, come la “famosa” scala estendibile. Una gestione che sarà ulteriormente approfondita dalla necessità per il nostro alter-ego di “bilanciare” gli oggetti nell’inventario, per mantenere un equilibrio fisico del protagonista piuttosto saldo, pena un movimento rallentato o addirittura impossibilitato. In aggiunta, il nostro Sam potrà contare su di strumentazione tecnologicamente avanzata, come una sorta di corazza hi-tech con tanto di… neonato, che avrà una funzione speciale (di cui parleremo più avanti).

Al contempo, Sam potrà avvalersi di mezzi di locomozione brutalmente hi-tech nel loro aspetto post-apocalittico, come una moto e una sorta di velivolo in grado di consentire, sempre previa “connessione”, il viaggio rapido. L’elemento survival però, sembra interessare anche altre aree del gioco: il nostro Sam potrà esser ferito in modo “chirurgico”, con danni specifici localizzati sul corpo, compromettendo l’esisto della sua missione e mettendo a rischio l’intera sopravvivenza. Oltre a ciò, l’equipaggiamento, il quale sarà suddiviso per aree – in una chiave non troppo dissimile dai canoni ruolistici a cui siamo abituati – potrà esser danneggiato con ripercussioni attive sul gameplay: ad esempio, un danno ai suoi stivali si tradurrà in una velocità di movimento più bassa, ma non solo, un eccessivo utilizzo dei suoi calzari potrebbe arrecare dei danni ai suoi piedi che, almeno in teoria, potrebbe innescare un processo potenzialmente letale per la salute stessa del personaggio. Naturalmente, l’esplorazione sarà il rimedio, grazie alla quale il buon Sam avrà la possibilità di scovare materiali per produrre da zero diverso equipaggiamento (in pieno stile Metal Gear Survive, sostanzialmente).

Naturalmente, oltre agli aspetti meramente survival, Death Stranding ci metterà dinanzi sfide quotidiane, sicuramente complesse: il nostro Sam potrà distendersi e riposare, il che sarà necessario affinché recuperi Stamina (che non si rigenererà in automatico) e possa controllare lo stato complessivo del proprio equipaggiamento, assieme al far “calmare” il Bridge Baby (il neonato), cuore pulsante effettivo delle possibilità del nostro esploratore post-apocalittico. Sam potrà rifiatare in zone sicure, sparse per il mondo di gioco, in cui il nostro alter ego vip potrà far anche riferimento a dati più squisitamente ludici, quali i progressi di gioco, modificare o creare equipaggiamento con delle apposite stampanti 3D, ma anche modificare l’aspetto, farsi foto in pose “artistiche” oppure rilassarsi con una birra ascoltando musica. Ma, ancora più a fondo, il nostro protagonista dovrà combattere agenti fisiologici classici, quali ad esempio l’urgenza di… urinare. Urina che, al contempo, servirà per “alimentare” la vegetazione o creare armi “biologiche” per contrastare le Beached Things (ah, Kojima Kojima!). Naturalmente, l’obiettivo del nostro protagonista sarà quello di ricostruire, come detto, gli Stati Uniti: in modo particolare, la missione “generale” sarà portata innanzi concentrandosi su tante piccole sotto-missioni, che vedranno Sam relazionarsi con vari ed eventuali personaggi sparsi per il mondo di gioco. Più aiuteremo, più saremo apprezzati in questa enorme rete globale, in un modo concettualmente non troppo dissimile dai moderni social: più “like”, più possibilità il nostro Sam avrà di sopravvivere ottenendo anche item speciali come ricompensa. Inoltre, i personaggi secondari potrebbero vivere o morire in base alla nostra decisione di dar loro una mano o meno: Kojima ha fatto l’esempio di un anziano uomo ammalato, che vive sottoterra e che ci chiederà dei farmaci. Nel caso in cui scegliessimo di non aiutarlo o ci “dimenticassimo” di lui, lo troveremmo morto dopo un certo lasso di tempo.

Un mondo isolato ma… non disabitato

Il nostro girovagare, seppur in larga parte solitario, non sarà sempre dominato dal silenzio: vuoi per i mille pericoli, umani e non, che vagheranno per le terre frammentate degli Stati Uniti. Vuoi anche per l’essenza stessa della nostra missione, ovvero il ri-creare legami proprio con chi un legame l’ha perduto. Concretamente, l’aspetto social del gioco sarà gestito in un modo non troppo dissimile da Dark Souls, seppur proponendo una struttura più “avanzata”: ad esempio, oltre al poter lasciare messaggi in pieno stile FromSoftware (Praise the Sun!), potremo addirittura affidare missioni ad altri giocatori, in una struttura online asincrona e non concretamente multiplayer, oppure lasciare costruzioni e scorte per altri in giro, fra cui strade e ponti (che consentiranno un viaggio più veloce), al fine di aiutarli. I giocatori potranno collaborare in combattimenti complicati proprio come Dark Souls, ma gli ospiti avranno più un ruolo di supporto. Kojima ha però specificato che la “Timefall” sarà distruttiva anche per quanto concerne l’operato dei player, che verrà irreversibilmente distrutto dopo un variabile lasso di tempo. Detto ciò, un gioco basato integralmente su esplorazione e sopravvivenza, potrebbe portare in futuro ad indurre lo stesso Kojima a valutare possibilità di multiplayer più estensive. Come detto però, il mondo non è “un paese per vecchi”, né tanto meno per pacifisti: Death Stranding ci metterà innanzi una realtà aspra, difficile e mortale in tutti i sensi.

L’universo di gioco in cui Sam muoverà i suoi passi sarà colmo di insidie, alcune comuni altre no. Generalmente, i nemici che affronteremo più spesso saranno umani che, in pieno stile Mad Max, reagiranno all’apocalisse con brutalità e violenza allo sconvolgimento. Ecco che ci imbatteremo in pseudo-banditi (per lo più, corrieri ostili che vorranno sottrarre il nostro equipaggiamento) con campi base, pronti a saltarci alla gola. In generale, Sam potrà optare per due soluzioni: ignorarli completamente oppure difendersi/attaccare. Potrà farlo in tanti modi: oltre ad armi da fuoco letali e non, Sam potrà usare speciali armi “di sangue” che serviranno ad abbattere i nemici più pericolosi, solitamente essenze ultraterrene estremamente pericolose e potenti. Queste entità, in modo particolare, chiamate The Beached Things, sciameranno in massa per le terre devastate del gioco: fatti “della stessa materia dei sogni” (appariranno come una sorta di fumosi spettri), questi feroci nemici potranno assumere diverse forme, umane e animali, e saranno l’effettiva emanazione della realtà alternativa vicina al regno dei morti. Queste entità saranno percepibili da Sam solo grazie ai Bridge Baby, i neonati parto di “madri catatoniche” proprio per la confluenza delle due realtà, quella umana e quella dei morti.

Ma per poterli effettivamente visualizzare, dovremo restare immobili e il Bridge Baby dovrà essere “calmo”, pena la mancata visualizzazione dei nemici. Le Beached Things saranno di tre tipologie: troveremo i Gazer, specie di vedette con il compito appunto di individuare Sam, poi gli Hunter, le quali cercheranno di avvinghiarci per trascinarsi nel buio mondo ultra-terreno e, infinite, se quest’ultimi dovessero riuscire nel loro intento, ci troveremo nostro malgrado al cospetto di un Catcher, bestia potente che attenterà direttamente alla nostra esistenza terrena. I combattimenti saranno, per certi versi, “reali”: a pesare (letteralmente) sarà anche l’equipaggiamento complessivo che avremo dietro, accumulato nell’enorme box giallo metallico che è quasi una signature del gioco. Più oggetti avremo nel nostro inventario, maggiore sarà il peso e lo sforzo che il nostro Sam dovrà applicare per potersi difendere: in sostanza, un meccanismo non troppo dissimile dagli ultimissimi Metal Gear Solid. La morte in Death Stranding, sarà “anomala”: Kojima ha confermato che non ci sarà permadeath, ma è previsto il ritorno in gioco per vie però ancora non completamente chiarite. Unica certezza o quasi, la morte porterà con se la perdita parziale degli oggetti presenti in inventario, assieme a (si presuppone) danni a cose ed equipaggiamento.

Ars technica

Da un punto di vista più strettamente tecnico, Death Stranding muoverà le proprie membra ludiche attraverso il potente Decima Engine, motore grafico proprietario sviluppato dalla software house olandese Guerrilla Games usato per la prima volta in Killzone: Shadow Fall, esclusiva di lancio della piattaforma videoludica Sony. Un potente motore grafico, che possiede sistemi di intelligenza artificiale, un motore fisico integrato ed è inoltre in grado di supportare la risoluzione 4K e l’utilizzo dell’high dynamic range imaging. Il gioco ha mostrato nel tempo una notevole impennata estetica da un punto di vista più squisitamente grafico: basta confrontare le immagini del gioco dal 2016 a oggi, passate da un’ottima resa al fotorealismo. Nonostante non ci siano tante informazioni sul lato più squisitamente tecnico, gli addetti ai lavori non scommettono sui 60 fps in 4K, anche se è molto probabile che possa essere inclusa nell’edizione finale del gioco una classica possibilità fra modalità Performance o Resolution, quantomeno per la versione Pro della Playstation 4. Anche, se prendendo come esempio proprio le passate produzioni di Kojima (in modo particolare, Phantom Pain), riuscirono in alcuni casi, grazie ad un monumentale lavoro di ottimizzazione, a raggiungere l’agognato 4K/60 frame: perciò, nulla è ancora stato probabilmente scolpito nella pietra. È stato invece confermato, per la gioia di coloro che non masticano particolarmente bene la lingua di Albione, il completo doppiaggio in italiano del gioco: una decisione importantissima e fondamentale in un titolo dall’enorme carisma narrativo e che, appunto, fa della narrazione il perno centrale delle sue movenze.

L’articolo che avete letto, con le dovute riserve, sarà espanso regolarmente non appena si presenteranno nuovi elementi da aggiungere alla complessiva descrizione del gioco. Ricordiamo che Death Stranding arriverà su Playstation 4 il prossimo 8 novembre.

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