IL BUONO, IL BRUTTO E IL CATTIVO
Questo è solo l’inizio di Red Dead Revolver, sparatutto targato Rockstar Games, gli stessi di Grand Theft Auto e Manhunt. Giunto sugli scaffali per le console Playstation 2 e Xbox, questo videogioco era stato annunciato come latore di novità ed esperienze di gioco mai provate prima.
Non ci sentiamo di condannare questa piccola perla videoludica al fallimento, sarebbe tanto ingiusto quanto insensato. Era legittimo, però, aspettarsi una qualità finale del prodotto almeno al passo coi tempi, specie quando si hanno a disposizione tanti anni di gestazione alle spalle. Ma, prima di entrare nello specifico dei difetti di questo gioco, andiamo con ordine ed analizziamone gli elementi.
Red Dead Revolver entra a far parte nella folta schiera di quegli sparatutto in terza persona.
Red sembra la brutta copia, o la controfigura, del più famoso Clint Eastwood, e non è un segreto che le sue fattezze siano ispirate al celebre attore americano. La storia, la narrazione e tutto l’impianto di gioco sembrano un tributo alle mai dimenticate pellicole di Sergio Leone. Fin dall’avvio del gioco, i ragazzi di Rockstar fanno l’occhiolino ad alcuni western che hanno fatto la storia: la sequenza introduttiva in bianco e nero, accompagnata da un veloce arpeggio di banjo e dalla presentazione dei personaggi che andremo a controllare più in là nel gioco, è soltanto il preludio. Il tragico prologo e la prima sparatoria fanno da primo assaggio a quello che ci aspetta, fino all’esecuzione del primo livello di gioco che, purtroppo, esaurisce subito le novità proposte dal titolo.
I fondali sono davvero ben fatti, la gestione della luce e la resa del cocente sole desertico sono le prime chicche grafiche che salteranno all’occhio.
Purtroppo, al contempo, dovremo abituarci a modelli poligonali che possiamo definire solo in un modo: tagliati con l’accetta.
Fortunatamente, durante la fase di “taglio”, non è andato perduto nulla che faccia scadere nell’anonimato i personaggi principali della storia.
Partendo da Red e passando per i suoi compagni d’avventura, concludendo con i boss di fine livello e di fine gioco, ognuno ha mantenuto il proprio carisma, il tutto a vantaggio di una narrazione (come accennato poco prima) davvero degna di un film d’altri tempi.
Lo scopo del gioco sarà quello di farci largo lungo livelli a volte troppo lineari, altre volte costruiti ad hoc, come se fossero autentiche arene da combattimento, e giungere alla fine della storia aiutando Red a porre fine alla sua sete di vendetta.
Spareremo in cima al Grand Canyon, sventeremo un assalto al treno e ne faremo uno alla diligenza, dovremo mettere in fila tutti gli sfidanti che aspirano al rango di “miglior pistolero del West” e potremo aggirarci tra le polverose strade di villaggio sulle note di “Lo chiamavano Trinità”.
Insomma: le cose da fare non mancano, questo è certo. I problemi che affliggono Red Dead Revolver sono ben altri e non mancheremo di esporli. Va ricordato però che, nonostante i difetti, questo è un gioco che vale la pena di essere giocato almeno una volta nella vita, fino in fondo.
PER UN PUGNO DI DOLLARI
Red Dead Revolver alterna l’esecuzione di alcuni livelli in maniera assolutamente lineare con parti in cui avremo un minimo di scelta.
Per essere più precisi arriveremo ad un villaggio e saremo liberi di esplorarne le strade o alcune botteghe. Potremo, inoltre, presentarci all’ufficio dello sceriffo ed essere assoldati per fare lo sporco lavoro del cacciatore di taglie, il tutto, ovviamente, ad un prezzo. La nostra parcella potrà essere investita per l’acquisto di armi più potenti, armi di supporto e oggetti assolutamente inutili al fine del gioco.
Le armi principali si dividono in pistole e fucili. Le prime andranno bene per la media distanza e per i duelli, mentre molta saggezza dovremo riservarla alla scelta del fucile più idoneo al livello che andremo ad affrontare: non avrebbe molta efficacia una doppietta in un livello in cui abbiamo bisogno della massima precisione per freddare dei briganti che ci bersagliano dal lato opposto di un burrone.
Va da sé che i modelli delle armi saranno differenti per danni inflitti, precisione e velocità di ricarica. Tra le armi secondarie ricordiamo i classici candelotti di dinamite, mentre tra gli oggetti assolutamente inutili troveranno posto una pala da becchino e una bibbia.
Il gioco alterna diverse modalità di esecuzione dei livelli. Nella maggior parte di questi dovremo partire dal punto A e arrivare al punto B impallinando tutti quelli che proveranno a fermarci. In queste sessioni, talvolta lunghe e solo occasionalmente frustranti, avremo la possibilità di farci scudo con elementi dello scenario.
L’intuizione di Rockstar ha semplicemente fatto la storia dei videogiochi, perché un sistema di copertura simile lo troviamo, ormai, praticamente ovunque si preveda uno sparatutto (da Gears of War al recente Brothers in arms: Hell’s Highway solo per citare un paio di esempi).
Durante questi livelli, e in precisi altri punti del gioco, Red dovrà affrontare alcuni personaggi in duelli all’ultimo sangue. Durante questi duelli la visuale rallenterà, attivando l’ormai famosissimo effetto “bullet time” inaugurato dal film The Matrix, e zoomerà sulla mano del protagonista.
L’abilità del giocatore starà nell’ afferrare la pistola, mirare e scaricare un intero caricatore addosso all’avversario prima che sia lui a farlo.
Altri livelli prevedono l’utilizzo di altri co-protagonisti che si alleeranno con Red. Non mancherà un livello in cui le abilità di infiltrazione saranno messe a dura prova e una lunga sessione di duelli all’ultimo sangue per eleggere il campione della contea.
Infine segnaliamo la presenza di un’abilità speciale a disposizione di ciascun personaggio che potremo controllare. A Red, per esempio, sarà affidato il devastante “Red Eye” in cui tutto il mondo circostante rallenterà permettendoci di prendere la mira e centrare con facilità i punti vitali o i punti deboli degli avversari. Ovviamente l’utilizzo delle abilità speciali è limitato da una barra che andrà riempita eliminando nelle altre modalità gli avversari.
CONTINUAVANO A CHIAMARLO TRINITA’
Purtroppo Red Dead Revolver non ha riscosso un grande successo e per questo non ha potuto imporsi come avrebbe meritato.
Ma da dove deriva la fredda accoglienza riservata da critica e pubblico? Il problema di Red Dead Revolver è, principalmente, l’ingiustificata povertà del comparto grafico, che tra ottimi scenari e mediocri modelli poligonali non è riuscito a guadagnarsi la sufficienza piena, soprattutto considerato il tempo a disposizione da parte degli sviluppatori (non si parla di pochi mesi ma di anni). Altro difetto non indifferente è quello che affligge la maggior parte dei titoli che arrivano sugli scaffali preceduti da promesse e proclami altisonanti: nel caso di Red Dead Revolver non troveremo la tanto sbandierata libertà che ai tempi offriva solo Gta ma, piuttosto, livelli molto lineari. A peggiorare la situazione arriva la tanto odiata monotonia a causa delle limitate possibilità proposte: in questo videogioco, semplicemente, si spara a tutto quello che si muove, si fanno alcuni duelli a rallentatore e si va fino in fondo senza molto altro. Il sistema di salvataggio basato su checkpoint mediocremente gestiti abbassa ancora di molto la qualità finale di un titolo che aveva tutte le carte in regola per imporsi come una pietra miliare.
Antonio “Aurenar” Patti