L’aquila mangia uomini
Questo è l’anno delle uscite insperate, non c’è dubbio.
Fumito Ueda e i suoi iniziarono a lavorare su “Trico: l’aquila mangia-uomini” nel lontano 2006, per poi svelare il gioco all’E3 2009 con il nome di The Last Guardian, in esclusiva per PlayStation 3. Stiamo parlando di una valanga di tempo fa, di quando i dinosauri solcavano la terra praticamente, visto che nel 2006 è uscita l’edizione Subsistance di Metal Gear Solid 3, e che nel 2009 ha fatto il suo debutto la serie Batman Arkham di Rocksteady. Vi sentite vecchi?
I giovinastri brufolosi di allora sono diventati papà con figli, i bimbini del 2006 adesso sono giovinastri brufolosi, e chi vi scrive si è tramutato in un esaurito cronico con tendenze psicotiche. Bella robetta.
Insomma, questa nuova creatura di genDESIGN è riuscita a sopravvivere all’avanzare degli anni, delle generazioni di console, e a far breccia nel mio cuore di pietra? Ma soprattutto, cos’ha da dire un puzzle game così particolare alle porte del 2017? Lo scoprirete qui, adesso… a Voyager!
Un’insalatona di bestie
The Last Guardian, non diversamente dagli altri titoli di Ueda, è sprovvisto di una vera e propria sceneggiatura e della partizione in atti. Attenzione, non sto dicendo che non ci sia una trama o che non venga raccontata una storia, soltanto che dovrete calarvi nei panni di un giapponese visionario per viaggiare in sincronia con essa. Un ragazzino si sveglia d’improvviso davanti a una gigantesca creatura, Trico. Cosa è Trico? Gli indizi sono tutti nel caricamento iniziale, che raffigura a mo’ di enciclopedia decine e decine di animali, partendo dai roditori fino ad arrivare alla leggendaria fenice. Avete presente quando a casa non è rimasto nulla e i vostri genitori (nel caso ci viviate) sono fuori? Vogliosi di buon cibo, vi ricordate di essere delle capre malate di mucca pazza ai fornelli, e quindi andate di insalatona ignorante. Almeno quella sarebbe l’idea ma, nel migliore dei casi, vi ritrovate per le mani una brodaglia stracarica di tonno morto affogato nell’olio, la copia farlocca della Manzotin, mais della terra dei fuochi, piselli novembrini, e altre leccornie.
Ecco questo è Trico.
Trico è un insieme di moltissimi animali, che sfugge a ogni definizione di specie. Come dicevo, non è soltanto la storia a farvi apprezzare il bestione, ma anche e soprattutto “il viaggio” che intraprenderete assieme. Passata la prima metà del gioco vedrete finalmente il primo filmato, che vi fornirà alcune delucidazioni, ma tutto ciò che c’è da capire lo potrete apprendere soltanto durante la bellissima fase finale del gioco. Questo svolgimento “atipico” della narrazione non è esattamente il massimo, ma forse è quello che si sposa meglio con la natura di questo titolo.
No, non è Call of the Last Guardian
È bene fare una precisazione: per sua stessa natura The Last Guardian non è un gioco per tutti. Si tratta di un puzzle game con elementi platform e un’abbozzata componente action. Se proprio non riuscite a digerire un tale mix di generi, allora il titolo, inutile girarci attorno, non fa per voi. L’avventura, che ho terminato in meno di 15 ore, si compone di molti rompicapo, solo sporadicamente intervallati dalle futili aggressioni di misteriosi soldati di pietra. Va anche detto che il gameplay in sé non spicca per varietà: in sostanza farete altro che scalare maestosi torrioni, nutrire l’animale con dei misteriosi barili dai riflessi bluastri e… rompere degli specchi multicolore a forma di occhio. Ovviamente non mancheranno gli enigmi un po’ più impegnativi, ma ancora una volta è la “filosofia” dietro queste attività a fare la differenza.
Il ragazzino non può nulla contro i soldati senza volto e non può certo smuovere pesanti macigni o immensi agglomerati di detriti ma, allo stesso tempo, Trico ha paura degli specchi a forma di occhio e resta “limitato” da alcuni fattori di cui è meglio non parlare. Le paure e le debolezze dell’uno vengono colmate dalle forze dell’altro, e durante questo viaggio fiabesco entrambi i protagonisti si arricchiranno e impareranno a superare questi loro limiti. Purtroppo per voi sarà impossibile non imbattervi in problemi alla telecamera più o meno gravi, e addirittura in fastidiose schermate nere in alcune circostanze. Il gioco scorrerà ugualmente, ma troverete frustranti alcuni passaggi in spazi angusti e certi specifici frangenti. Trattandosi di un puzzle game con elementi platform, il non poter operare facilmente con la telecamera non è esattamente un problemino da poco.
La vera croce e delizia di The Last Guardian è però l’IA di Trico, senza ombra di dubbio. Preparatevi a meravigliarvi nello scoprire che l’animale vanta decine e decine di comportamenti realistici, tanto da sembrare vivo. Potrete accarezzarlo (le sue reazioni variano a seconda di dove lo coccolate), medicargli le ferite, impartirgli l’ordine di saltare o di restar fermo, e perfino nutrirlo con estrema naturalezza. Di contro, sappiate che, di tanto in tanto, il vostro amico a quattro zampe si “incanterà” a fissare il vuoto, e talvolta ignorerà la strada da percorrere finendo per disorientare anche voi.
Una bestia “next gen”
E adesso veniamo al punto che ha fatto preoccupare fino “all’infartictus” moltissimi maniaci della grafica (come il sottoscritto). The Last Guardian è un titolo tecnicamente discontinuo, che più volte viene tradito dal suo passato old gen, ma che riesce anche a sorprendere in svariate occasioni: Trico non è soltanto – il più delle volte – “vivo” ma anche incredibilmente bello da vedere. Le centinaia di piume gestite dalla fisica, che si muovono in accordo con le sferzate del vento, sono solo alcuni dei dettagli minuziosi che compongono l’ensamble di questo affascinante animale. Lo stile del ragazzino è particolare e ricercato, certo, ma il protagonista assoluto, in tal senso, è e sarà sempre Trico. Grande nota di merito per gli effetti particellari e per la resa dei fluidi: quando Trico si tufferà in acqua assieme a voi, si formeranno delle vere e proprie onde anomale che vi spingeranno via, mentre i fulmini che la bestia spara dalla coda provocheranno l’esplosione dei nemici di pietra, in un nugolo di schegge che andranno a depositarsi in giro per la mappa. La fisica degli oggetti è curata sin nei minimi particolari, così come la splendida illuminazione generale. La palette cromatica subirà svariate modifiche mentre avanzerete nel gioco, e si parla sempre di un “bel vedere”. Le strutture colossali che vedrete in lontananza e gli immensi panorami sono di grande impatto, ma sarà impossibile non notare le texture da paleolitico dei templi e delle stanze.
E fossero queste superfici poco convincenti il problema…
Il vero “tasto dolente” dell’impianto tecnico di The Last Guardian è rappresentato, senza dubbio alcuno, dal suo frame rate. I 30fps saranno quasi sempre un lusso, e in alcune situazioni vi sembrerà di guardare un (favoloso) album di fotografie. La situazione migliora sensibilmente su PlayStation 4 Pro, ma è inaccettabile che si debba essere provvisti della nuova mid gen di Sony per poter scongiurare gli inconvenienti prestazionali del gioco. Molto buono invece il comparto audio, che brilla ulteriormente per quanto concerne la sonorizzazione di Trico. Qualsiasi rumore udibile è curato in ogni minimo particolare, e nel 2016 ho scoperto di riuscire ancora a sopportare bene la “strana lingua” dei protagonisti dei titoli di Fumito Ueda. Inutile dilungarmi sulla bontà della colonna sonora, che costituisce sempre “la ciliegina sulla torta” dei titoli di Team Ico. Siamo dinanzi a qualcosa di superiore rispetto al tema dei colossi in Shadow of the Colossus?
Assolutamente no, ma gradirete lo stesso.
Concludendo…
The Last Guardian non è un capolavoro assoluto, c’è poco da fare, ma resta comunque un grandissimo titolo in grado di emozionare e meravigliare. Fumito Ueda & Co. riescono sempre a donarci delle perle di rara bellezza, anche se aspettare 10 anni ogni volta non è più un qualcosa di sopportabile. Il mercato videoludico sta subendo grandi sconvolgimenti e, diciamocelo, se non si fosse trattato di un titolo leggendario e atteso sin dalla notte dei tempi, The Last Guardian non avrebbe probabilmente fatto lo stesso scalpore. Per genDESIGN è arrivato il momento di evolversi e di guardare al futuro, anche e soprattutto dal punto di vista del gameplay.