Call of Duty: Black Ops
Parlando di Treyarch una cosa è certa: quello del team capitanato da Mark Lamia è stato, nel tempo, un percorso travagliato, ricco di insidie “stilistiche” e spesso sommerso da pregiudizi. Pregiudizi che, nella realtà dei fatti, furono una semplice conseguenza al non proprio convincente Call of Duty 3, datato 2006. Ma da allora, è bastato un “secondo” esordio nella next-gen per colmare il netto gap spirituale che separava Treyarch dall’ormai decimato plotone di Infinity Ward; World at War , infatti, seppur emulando le gesta del pluripremiato Modern Warfare e nonostante l’ennesima reiterazione di vicende tratte dalla Seconda Guerra Mondiale, era riuscito a rinvigorire la saga grazie ad alcune novità, rivelatesi poi vincenti. Ma adesso, dopo una prova un po’ “fuori dagli schemi” di Modern Warfare 2, Treyarch ne approfitta per tentare il colpo grosso, quello del riscatto definitivo, atto a promuovere il team di Lamia da secondo a primo grado. Scopriamo allora se questo settimo capitolo, meglio noto come Call of Duty: Black Ops , sia riuscito o meno a centrare tutti gli obiettivi.
Quando “COD” incontra Tom Clancy
Uno dei tratti distintivi di Call of Duty è sempre stata la progressione lineare e stereotipata della trama. Di recente però, la “fedele” ricostruzione storica, che era solita accompagnarci nei capitoli dedicati al “Secondo Conflitto”, aveva lasciato ampio spazio ad una più fantasiosa spettacolarizzazione della “guerra moderna”. Con Treyarch, invece, la saga sembra tornare nuovamente sui suoi passi, ritrovando finalmente nuova linfa vitale, di supporto ad un impianto stilistico – narrativo di stampo chiaramente cinematografico. Se da un lato, quindi, vi è un “ritorno” al passato, visto e considerato il contesto storico riprodotto, dall’altro ritroviamo un copione narrativo curato nei minimi dettagli, degno sicuramente di un action movie a metà tra l'”hollywoodiano” e il fantapolitico. In Black Ops, infatti, non seguiremo le vicende parallele di più gruppi militari, ma vestiremo, quasi esclusivamente, i panni di due soli protagonisti; quelli del soldato Mason , un membro delle forze speciali SOG guidate nientemeno che dal “Rambo” della situazione, il capitano Woods, e dell’agente segreto della CIA Jason Hudson . E già solo l’intro iniziale racchiude in sé l’essenza di questo settimo capitolo: la sensazione di assistere ad un “Call of Duty” più corposo in termini narrativi prende presto il sopravvento, proprio a partire dal menu “Start”. Un impatto iniziale disorientante e misterioso, tanto quanto la “stanza delle torture” dentro la quale il giocatore viene risvegliato dopo un’iniezione di adrenalina.
Wake up Mason!
“Svegliati Mason e raccontaci un po’ quello che è successo”. Queste, espresse in termini moderati e sintetici, le minacciose richieste di una voce cupa e metallica, proveniente dagli altoparlanti di un’improvvisata sala interrogatori. Così, da una prigione virtuale, si diramano le vicende di Black Ops , caratterizzato sostanzialmente da una continua successione di flash-back e ricordi. Il primo tra questi ci proietta agli inizi della Guerra Fredda, esattamente nel ’61 durante la storica invasione della “Baia dei Porci”: l’obiettivo della nostra prima missione, infatti, sarà proprio quello di fuggire, nei panni di un Mason in borghese, da un locale notturno cubano circondato da forze dell’ordine locali. Subito dopo, prenderemo parte ad un’impegnativa operazione segreta, la stessa in cui gli USA tentarono di sbarazzarsi, dopo anni di ricerche ed inseguimenti a distanza, di Fidel Castro. Ma questa è solo una delle tante operazioni di cui Mason si è reso partecipe nel corso della Guerra Fredda: attraverso una successione frenetica di ricordi “interattivi”, intramezzati dai pensieri parlanti del protagonista e dai toni metallici e invadenti dell'”investigatore”, spazieremo da anguste e tenebrose prigioni russe sotterranee e basi missilistiche sovietiche, a tipiche ambientazioni urbane e giungle Vietnamite del ’68. Non mancheranno, inoltre, brevi attimi di “evasione” dai campi di battaglia, come il suggestivo quanto surreale incontro notturno alla Casa Bianca col presidente Kennedy. Da questo intrecciarsi appassionato di eventi, deriva una cura inaspettatamente pregevole dei tratti psicologici di Mason e compagni: anche stavolta, dunque, Treyarch ha puntato su una “storia vera”, ma con l’intento, stavolta, di invogliarci con maggiore incisività rispetto al passato, focalizzando l’attenzione sul background storico del protagonista e dei suoi comprimari. Una mossa vincente, che, molto probabilmente, eleva Black Ops a miglior esponente della serie. Almeno sul fronte narrativo.
Spirito di Drago
In effetti, mancava da tempo, in un titolo della serie, un impianto narrativo di spessore e ricco di sfumature. L’introspezione di Mason arriva a livelli tali da mostrare persino, magari non sempre, il suo “perverso” subconscio: flash di qualche secondo, immagini distorte e “stridule”, nulla più. Un esempio lampante, evitando anticipazioni, lo avrete durante l’incontro con il presidente Kennedy, tra la seconda e la terza missione di gioco. E chissà che prima non ci siano sfuggite altre visioni/manipolazioni mentali. Certo, più “chicche” che altro ma che, se notate, avvalorano l’idea di un lavoro svolto con cura e dedizione, a discapito della sola azione frenetica e di un incedere passivo della trama. Insomma, in Black Ops le vicende non rappresentano un mero contorno: anzi, optando per una formula narrativa “frammentaria”, queste mantengono sempre alte l’attenzione e, soprattutto, la curiosità; la curiosità nel sapere chi si cela dietro quella voce interrogatoria e quali siano i suoi scopi. In proporzione, l’effetto sorpresa derivante da Black Ops è senz’ombra di dubbio maggiore rispetto a quello riservatoci all’epoca da Call of Duty 4: Modern Warfare , sia in termini di “rinnovamento” stilistico che tecnico.
Più proiettili, meno granate
E in quanto a gameplay come siamo messi? Descrivere, adesso, un Call of Duty qualsiasi risulterebbe facile a chiunque, eppure, è proprio dal capostipite che il genere FPS ha fondamentalmente attinto col passare degli anni; segno che, “formula che vince non si cambia”, e Black Ops non ripete l’errore, commesso proprio di recente (qualcuno ha citato Modern Warfare 2?), di discostarsene ampiamente col rischio di “strafare”. A partire dalla struttura di gioco a tratti pseudo aperta, ma di base spiccatamente lineare, la campagna single player propone missioni all’insegna dell’ordinario e suddivise, come da tradizione, per obiettivi. In molte di queste non mancano ovviamente eventi scriptati tipici della serie, qui resi con un certo realismo e dal taglio particolarmente cinematografico. Le sessioni a bordo dei veicoli/velivoli risultano sempre avvincenti e ben incastonate tra loro; certo, non potrete fare a meno di notare come alcune situazioni siano liberamente ispirate ad altre già vissute in Modern Warfare 2 , per esempio la famosa fuga a bordo di velocissime moto da neve qui riproposta in versione “Easy Rider”, con Mason e Woods intenti a cavalcare due motociclette imbizzarrite. Una scena quasi da film western, enfatizzata da un inseguimento a suon di speronamenti e colpi di fucile, e dall’epilogo tanto surreale quanto esaltante. Ma quello che più di tutti convince in questo Black Ops è il campo di battaglia: Treyarch è riuscita a ricreare perfettamente le atmosfere crude e drammatiche della “guerra”, con frenetici scontri su larga scala, affiancati da meditate infiltrazioni all’interno di basi missilistiche ed estenuanti operazioni di soppressione fra le trincee vietnamite. Quasi sempre, predomina la sensazione di trovarsi perennemente col fiato sul collo: anche quando avrete un attimo di tregua apparente, l’esplosione delle bombe in lontananza, le urla continue dei nemici e gli spari, manterranno costantemente viva la vostra attenzione, dall’inizio alla fine di ogni missione.
A far da supporto alla campagna single player, quindi, ci pensa un gameplay perfettamente bilanciato. Nonostante i comandi di gioco siano rimasti invariati, la velocità delle azioni è stata leggermente ridotta, in favore di un gameplay decisamente solido ed equilibrato che, in un certo senso, rimanda allo spirito originale della serie. Qui l’azione scorre in modo frenetico, è vero, ma lo fa in modo ragionato: le scene risultano ben orchestrate e ritmate tra loro, così come gli scontri a fuoco non scadono mai nel caos o nel disordine generale; l’andamento, insomma, si presenta lineare al punto giusto. Oltre a guidare veicoli e pilotare apache, infine, anche qui potrete servirvi delle comunicazioni radio per impartire, via terra, ordini di attacco o supporto aereo, nelle stesse modalità dei precedenti capitoli. Che dire poi dell’arsenale? In quanto membri di un corpo speciale, avrete accesso alle più disparate e “sofisticate” armi da fuoco dell’epoca: fucili a pompa incendiari, balestre di precisione, fucili d’assalto leggeri ed ultra-efficaci (come gli immancabili M-16 e Ak-47, armi simbolo della Guerra Fredda), lanciagranate, fucili da cecchino automatici e tanto altro ancora, saranno i vostri più fedeli compagni di reparto. Ognuna di esse, oltretutto, è stata riprodotta con grande cura, soprattutto dal punto di vista tecnico-balistico.
Sul fronte gameplay, insomma, nulla di così innovativo da segnalare; molto semplicemente, gli sviluppatori hanno mantenuto fede a quei tratti distintivi della serie andati col tempo affievolendosi. Da apprezzare, seppur fine a se stessa, l’introduzione della scivolata: a seguito di una corsa, premendo il tasto per accovacciarsi, vedrete Mason scivolare a terra; funzione utile in prossimità di una copertura, certo, ma dai risvolti più estetici che pratici. Un problema noto della serie, riscontrato purtroppo anche in Black Ops , riguarda la rigenerazione infinita dei nemici; fattore, questo, che rischia nuocere la salute dei giocatori nei livelli di difficoltà più elevati. Quantomeno, a differenza dei titoli precedenti, affrontando il gioco a modalità Veterano non assisterete più ad un’incessante pioggia di granate. Per compensare, però, sarete più soggetti ai proiettili nemici che, spesso e volentieri, vi raggiungeranno anche da dietro le coperture più recondite della mappa, col rischio di rendere frustranti alcuni segmenti di gioco, soprattutto a causa di una distribuzione non proprio ottimale dei checkpoint automatici. Ci saremmo aspettati di più anche sul fronte IA, soprattutto per quanto riguarda i nostri alleati che, troppo spesso, fingondo di non vedere il “nemico” anche a distanza ravvicinata, lasciando quindi a noi il compito di sbarazzarcene.
Una “guerra”, tre modalità
Call of Duty: Black Ops vanta una campagna single player intensa, adrenalinica e dai tratti assolutamente cinematografici. Tuttavia, il consiglio che possiamo darvi è quello di affrontare questa modalità ad un livello di difficoltà adeguato alle vostre caratteristiche. Se siete già esperti in materia e amate la sfida, il “Veterano” fa assolutamente per voi; se, invece, siete amanti del genere ma è la prima volta che vi approcciate ad un capitolo della serie, allora potreste optare per una più equilibrata modalità “Esperto”. Queste le due scelte consigliabili, sia in vista di un single player non particolarmente longevo, che di un livello di sfida tendente verso il basso nelle difficoltà più semplici. Tuttavia, chi acquista un gioco come “Call of Duty”, difficilmente se ne libera una volta completata la “storia”. La vera essenza di Black Ops risiede infatti nel comparto multiplayer. In primis, ritorna l’apprezzata modalità “Zombi”, introdotta proprio da Treyarch in occasione di “Call of Duty: World at War”. Qui cambia l’ambientazione, ma non lo spirito: la cooperazione tra i giocatori rappresenta, ancora una volta, l’elemento chiave per sopravvivere alle continue ondate di zombi che invaderanno pian piano la mappa. In questa modalità, il gioco mette a disposizione tre mappe ma, di queste, solo una è accessibile da subito. Le restanti due vengono sbloccate una volta portati a termine gli obiettivi della “prima”.
Ma non è qui che l’essenza del gioco si concentra maggiormente: vero fiore all’occhiello di questa settima edizione è, naturalmente, il multiplayer competitivo. Treyarch è riuscita nell’intento di migliorare la già ottima “infrastruttura” online di Modern Warfare 2 , potenziandola ulteriormente. Tralasciando le “solite” modalità alle quali potrete accedere (Deathmatch a squadre, Cerca e distruggi, Cattura la Bandiera. . .) avviando una sessione multiplayer, in Black Ops il “match-making” funziona “finalmente” a dovere. Impostato sulla falsa riga di Halo , la ricerca dei match disponibili è pressoché immediata, così come molteplici sono le varianti delle classi giocatore personalizzabili. Gli sviluppatori, infatti, si sono concentrati su un fattore personalizzazione che, in Black Ops , influenza non solo l’armamentario, con tanto di armi principali, secondarie ed equipaggiamenti extra da scegliere, ma anche l’aspetto estetico del proprio alter-ego. Un sistema realizzato “ad hoc”, che contribuisce a rendere l’esperienza multiplayer assolutamente variegata e molto più attenta ai gusti del giocatore. Anche il sistema dei “punti esperienza” svolge un ruolo diverso: acquisendo punti, infatti, potrete acquistare accessori per potenziare le vostre armi o sbloccare nuove personalizzazioni estetiche. Introdotte, inoltre, due modalità inedite: Cinema, con la quale rivedere le proprie partite online, e Scommessa, attraverso la quale potrete scommettere i vostri punti esperienza puntando sul giocatore o lo squadra secondo voi vincente. Nel corso dei test effettuati online, il net-code è risultato efficiente e mai complice di lag, almeno non in forma evidente. Le mappe a disposizione sono in tutto 14, ognuna delle quali strutturate in maniera tale da consentire diversi tipi approccio: dall’azione diretta dei giocatori votati all’assalto, con in braccio mitragliette e fucili a pompa, a quella più tattica e ragionata dei cecchini e dei fucilieri. Su tale aspetto, però, preferiremmo soffermarci in un secondo momento, in modo da offrirvi un’analisi più accurata delle mappe e delle diverse strategie adottabili in ciascuna di esse.
Rosso fuoco, bianco artico e grigio cenere
Dal punto di vista tecnico, Call of Duty: Black Ops riesce nell’impresa di perfezionare, e di gran lunga potremmo aggiungere, il motore grafico ereditato da Modern Warfare 2 . A partire da uno stile artistico in parte alternativo a quello della serie, quello che colpisce è il vivacissimo contrasto di luci e colori che caratterizza ogni singolo scenario di gioco. Scenari urbani sporchi, cupi, avvolti da fiamme e cenere, si alternano ad altri ricchi di luce e vegetazione, dando vita ad un impianto artistico di pregevole fattura. I modelli poligonali dei personaggi, in particolare Mason e compagni, raggiungono vette qualitative e di realismo di prim’ordine, così come le stesse animazioni, sempre fluide e verosimili. Per quanto riguarda la fisica, invece, quest’ultima consente una maggiore interazione con gli ambienti rispetto al passato, ma, come di consueto, rimane in gran parte legata ai numerosi eventi scriptati di cui è cosparso il gioco. E nonostante l’enorme mole poligonale gestita dal motore grafico e l’elevato dettaglio delle texture, salvo qualche piccola sbavatura, Black Ops garantisce un frame rate incredibilmente solido, sempre fisso a 60fps. Visivamente parlando, non v’è dubbio: ci troviamo di fronte ad una delle produzioni più convincenti di questa generazione di console. Infine, altra colonna portante del comparto tecnico va sicuramente individuata nell’impianto audio: colonna sonora, rumori ambientali e doppiaggio, regalano al giocatore un’immersione totale nelle atmosfere di gioco, dai ritmi costantemente serrati, adrenalinici e ai limiti della frenesia. Solamente il doppiaggio pecca di alcune imprecisioni, riscontrate in spesso evidenti asincronie tra labiale e parlato. Nulla di grave comunque: la localizzazione italiana vanta di voci azzeccate e carismatiche.
“Bravo, qui Charlie: pronti ad attaccare!”
In conclusione, Call of Duty: Black Ops , quasi inaspettatamente, vince e convince, centrando appieno tutti gli obiettivi prefissati da Treyarch. Una scommessa vinta anche per Mark Lamia, che vede così il suo team trionfare grazie ad un settimo capitolo ricco di fascino, fedele al passato e in grado, al tempo stesso, di riportare quella semplicità di gioco atta a riequilibrare le sorti di una saga che, ultimamente, stava perdendo parte della sua identità. Un FPS di stampo classico promosso in tutto, dalla campagna single player al comparto multiplayer, dal gameplay al tasso tecnico. Che dire, dunque? Semplice: “COD” è tornato!