Alle volte, uno si domanda come sia possibile che le cose degenerino in certe maniere impensabili. È lunedì, la copia di Arcania è arrivata in redazione e tutti festeggiano con cori da stadio e danze latino americane. Poi, il caso vuole che, misteriosamente, il pacco contenente la scatola del gioco finisce in Abruzzo, anche se doveva arrivare a te. Contemporaneamente, sempre per puro caso, compare una soluzione completa, ma nessuno si preoccupa di scrivere la recensione. Cosicché, sempre per caso, ti ritrovi a recensire il gioco con tre settimane di ritardo, chiedendoti se (almeno!) al postino sia piaciuto il gioco. Sempre per caso, a Piranha Bytes capitò di perdere i diritti della saga di Gothic, storico gioco di ruolo amato (e odiato) da tutti i Dungeon Master del mondo. Il caso (sempre) volle che questi finissero nelle mani di JoWood che, a sua volta, per non rinunciare al brand, affidò lo sviluppo del quarto capitolo a Spellbound, già autori di Robin Hood e Desperados. Il risultato, a conti fatti – come già è successo in passato con altri brand famosi – è stato, naturalmente, l’uscita di due giochi, ad opera dei due diversi sviluppatori: l’uno il naturale seguito di Gothic 3 , l’altro un gioco completamente inedito. Ovviamente, come i più arguti (e informati) avranno intuito, il gioco completamente inedito si chiama Gothic 4 , mentre quello che segue le orme dei predecessori, Risen . Quindi, se avete passato tre mesi (conteggiati in ore di gioco) della vostra vita girovagando per Myrthana, fatevi un favore e preparatevi una bella tazza di caffè bollente, prima di leggere questa recensione…
Benvenuti a El Paso… o a Myrthana.
A Myrthana le cose sembrano essere andate per il verso giusto. L’eroe dei tre Gothic ha finalmente posato le proprie natiche sul trono, e adesso può permettersi persino dei vestiti nuovi (una cosa utopica, per la maggior parte dei giocatori di Gothic!). Naturalmente, però, proprio sul più bello della storia, quei simpaticoni di Spellbound hanno deciso di metterci nei panni di un nuovo personaggio, ancora più sfigato del precedente. In effetti, a ben guardare, è stato il modo più semplice e pratico per riavviare la saga di Gothic senza apportare troppi cambiamenti al… protagonista; il nostro eroe, infatti sarà totalmente privo di personalità (anche se vagamente cinico), particolarmente sfortunato, con l’aria di un barbone e l’espressività di un macaco: praticamente, tale e quale al suo predecessore (solo, un po’ meno brutto da guardare). Fondamentalmente, quindi, l’atmosfera della saga di Gothic, assieme all’approccio che il gioco ha con il protagonista, è rimasta invariata e, a conti fatti, riprodotta anche abbastanza bene. Persino la trama, sebbene non raggiunga picchi d’eccellenza particolarmente emblematici, ben si sposa con i capitoli precedenti, pur portandosi dietro numerosi cliché. Il nostro scopo iniziale, infatti, sarà quello di vendicarci da un massacro – del quale, naturalmente, saremo gli unici sopravvissuti – ad opera degli uomini di Rhobar III, nientedimeno che il sopracitato “eroe senza nome” dei precedenti capitoli della serie. Purtroppo tutte le similitudini con Gothic, Gothic 2 e Gothic 3 finiscono qui. Arcania: Gothic IV si presenta come un ibrido tra il gioco di ruolo classico e l’hack&slash più furioso. Il fiore all’occhiello della serie, il forte realismo, è andato a farsi benedire assieme a Piranha Bytes. È sufficiente farsi un giro tra le lande vaste e rigogliose di Myrthana, per rendersi conto di quante cose siano cambiate. Gli npc, ad esempio, non reagiscono più ai nostri furti o alle nostre bravate: in Gothic IV, anche senza aver appreso alcuna abilità specifica, è consentito svaligiare tranquillamente tutte le case del gioco, quando – invece – per un ladro allenato in Gothic 3 poteva rivelarsi un’autentica missione suicidio. E che dire dei ritmi che regolavano la vita dell’ecosistema del mondo di gioco? Spariti anche quelli: non c’è quasi più differenza tra giorno e notte, e l’esemplare meccanica di diffusione della fama del protagonista “a macchia d’olio”, introdotta da Gothic 3, è ormai un ricordo lontano. Persino il sistema di gestione delle abilità, tanto singolare quanto adorato dai fan della saga, ha ceduto il posto ad una più placida e semplificata schermata delle abilità piuttosto scarna, lineare e comunque tendenzialmente poco incline a un’alta personalizzazione dell’alter ego.
Botte da orbi
Non per questo però, almeno in senso generale, giocare a Gothic 4 si rivela un’esperienza noiosa o di scarsa qualità: semplicemente, è qualcosa che non ha nulla a che fare con la trilogia firmata Piranha Bytes. La filosofia di gioco è stata sradicata e ripiantata del tutto e, se da un lato, forse, questo quarto capitolo non brilla per profondità, di certo ha guadagnato decisamente in termini di immediatezza e di varietà nelle fasi di combattimento, mai come prima d’ora dinamiche e competitive, complici anche di una maggiore accessibilità a un buon numero di incantesimi, anche fin dalle prime fasi di gioco. In linea di massima, Spellbound ha cercato di stimolare in modo uniforme l’uso delle varie abilità a disposizione del protagonista, scoraggiando gli “incaponimenti” sulle singole discipline (come il combattimento a distanza, la mischia, la magia ecc.). D’altro canto, invece, la componente ruolistica è ridotta vergognosamente ai minimi termini. È difficile incappare in percorsi alternativi, lande inesplorate o del tutto superflue rispetto alla main quest, e lo è ancor di più farlo “sprovvisti” delle risorse necessarie per attraversarle. Chi ha giocato uno dei tre Gothic ricorda sicuramente quanto spesso potesse succedere di fare incontri spiacevoli con creature eccessivamente potenti, rispetto al proprio personaggio – e questo avveniva anche nelle aree visitate durante le prime fasi di gioco. Lo sviluppatore di Arcania, invece, ha preferito “pilotare” l’esplorazione del mondo di gioco, dividendolo in delle specie di “bolle d’azione” dalle quali difficilmente si può uscire senza aver superato una certa quest e, quindi, di conseguenza, senza aver raggiunto un certo livello di esperienza. Questo rende il gioco non diverso da un qualsiasi action o, se preferite, da un hack&slash qualunque. Neanche l’andazzo dei dialoghi e delle quest aiuta, che non brillano né per varietà né tantomeno per libertà d’approccio offerta al giocatore. Purtroppo, salvo qualche spunto interessante, la trama non si discosta molto dal quadro generale, rischiando di venire alla noia anche prima dell’impostazione fortemente “rettilinea” dell’intera avventura.
Arcani con clausole
Non si pensi però che Arcania sia un brutto gioco: come già detto, è semplicemente concepito in maniera diversa. La longevità, ad esempio, garantisce più di quaranta ore di gioco (necessarie per completare la quest principale) durante le quali l’innominato (o innominabile?) protagonista visiterà un gran numero di città e terre variopinte e ben caratterizzate. Il retrogusto “casual” è forte, ed è una condizione imprescindibile alla quale è necessario fare l’abitudine, per giocare. Un’altra condizione non propriamente “piacevole” è data dalla discreta pesantezza del motore grafico che, sebbene regali più di una soddisfazione (senza però risultare stupefacente), in sede di prova (la versione testata è quella per Windows) si è rivelato piuttosto gravoso per la macchina sul quale il gioco è stato istallato. In ogni caso, un sistema medio di nuova generazione è perfettamente in grado di gestire al meglio Arcania anche a dettaglio massimo. Da segnalare, tra l’altro, la gradita presenza di un’opzione che permette di scegliere lo spettro di colori più adatto ai nostri gusti: l’uno americano (luminoso e colorato) e l’altro europeo (sicuramente più tetro, ma anche più realistico).
Conclusioni
L’impostazione decisamente più occasionale e arcade del nuovo capitolo della saga di Gothic metterà sicuramente a dura prova la fedeltà di coloro che hanno amato i titoli di Piranha Bytes. Non per questo, però, il gioco di Spellbound può dirsi meno rifinito e di qualità. “Semplicità” è il nome del prezzo che chiunque vorrà continuare a esplorare Myrthana dovrà essere disposto a pagare, se non altro per garantirsi un’esperienza che, sebbene non verrà ricordata nei decenni a venire per la propria profondità o per le innovazioni introdotte, terrà incollati ai monitor (o alle TV) sia grandi, che piccini, che orchi, che goblin.